Il miglioramento dei servizi pubblici è un obiettivo irrinunciabile per l’Italia. Ma la riforma della pubblica amministrazione si sta trasformando da storica opportunità a contenitore sterile di adempimenti burocratici. Mancano infatti tutte le condizioni necessarie per il suo successo: dal supporto politico alle risorse umane e finanziarie. A preoccupare è soprattutto l’impatto a lungo termine di una percezione della valutazione del personale come strumento utile solo a castigare. Unito all’erezione di barriere impenetrabili a qualsiasi strumento gestionale.
Il miglioramento dei servizi pubblici è un obiettivo primario e irrinunciabile per lItalia. Purtroppo lattuale riforma della pubblica amministrazione sta passando da opportunità di innovazione a contenitore sterile di adempimenti burocratici. Non si raggiungono così i risultati auspicati e si rende il settore pubblico ancor più resistente al cambiamento.
Chiunque affronti seriamente la riforma della Pa, sa che ad attenderlo cè la sfida, molto ardua, del cambiamento culturale. Il merito del ministro Brunetta è stato quello di promuovere una riforma ambiziosa. Vizi sostanziali nella sua attuazione potrebbero però portarla al fallimento, con ripercussioni negative nel lungo termine.
COME CREARE LE CONDIZIONI PER LINSUCCESSO
In Italia la riforma della Pa è stata tentata in tempi relativamente recenti, mentre nei paesi nord-europei e anglosassoni da quasi cinquantanni vengono introdotte innovazioni manageriali con lintento di modernizzare il settore pubblico. (1) Ricerche in questo campo hanno evidenziato una serie di condizioni necessarie per il successo delle riforme. (2) Purtroppo, nessuna è presente nella cosiddetta riforma Brunetta:
1 – Supporto politico per sottolineare utilità e urgenza della riforma. Il supporto si è concretizzato soprattutto in annunci mediatici; dubbi su utilità e urgenza della riforma sono sorti quando la presidenza del Consiglio e il ministero dellEconomia si sono auto-esclusi dallapplicazione.
2 – Introduzione di entità indipendenti: come ho scritto allatto delle mie dimissioni dalla Civit, è chiaro che in Italia non si vogliono creare entità indipendenti e con poteri effettivi, né a livello a livello di sistema (Civit), né a livello organizzativo, con organismi di valutazione nominati dal vertice politico-amministrativo. (3)
3 – Chiari rapporti tra le organizzazioni coinvolte: in Italia vi è una pletora di organizzazioni, commissioni, gruppi e tavoli tecnici/giuridici che si occupano degli stessi temi, ma senza alcun coordinamento, né alcuna indicazione delle priorità.
4 – Risorse umane e finanziarie: nonostante si propagandino riforme a costo zero, le innovazioni hanno bisogno di risorse consistenti per partire. Per ottenere queste energie basterebbe evitare le sovrapposizioni, ma ben noti conflitti a livello governativo rendono ogni razionalizzazione impossibile.
GESTIONE O AMMINISTRAZIONE?
Nonostante la riforma della Pa sia ispirata a criteri manageriali, il persistente approccio burocratico-normativo sta convertendo le novità della riforma in adempimenti normativi.
Un esempio per tutti è il ciclo di gestione delle performance, ispirato alla gestione della qualità e al performance management. Attuare questo ciclo presuppone cambiamenti radicali nel funzionamento delle amministrazioni, ottenibili solo attraverso una dialettica concreta tra politica e amministrazione, il coinvolgimento degli stakeholder, la definizione degli impatti dellazione organizzativa, la formulazione della strategia e lattuazione di un sistema di misurazione e valutazione.
Questi cambiamenti non sono adempimenti normativi, ma percorsi fatti di sperimentazioni, benchmarking tra amministrazioni comparabili e iterazioni finalizzate allapprendimento organizzativo e non alla sanzione.
VALUTAZIONE DEL PERSONALE: LA WATERLOO DI BRUNETTA
Prima di introdurre un sistema di valutazione individuale è indispensabile sviluppare una strategia e un sistema di misurazione a livello organizzativo. Se non si sa cosa fa unorganizzazione, dove vuole andare e come può arrivarci, sarà arduo valutare in maniera sensata i suoi dipendenti.
Inoltre, soprattutto nel settore pubblico, i benefici maggiori della valutazione individuale sono stati riscontrati nel modo in cui avviene il processo di valutazione, piuttosto che nel suo risultato. È il dialogo tra valutatore e valutato che può dare limpulso maggiore al miglioramento della performance, non tanto il bonus ricevuto dal dipendente. (4) Questo presuppone che le risorse umane abbiano un ruolo non solo amministrativo-burocratico, ma di gestione e coordinamento, e che i dirigenti e le organizzazioni abbiano notevole autonomia.
La riforma della Pa sta seguendo un itinerario opposto: la valutazione individuale ha un ruolo di assoluto primo piano e le fasce di valutazione definite per legge irrigidiscono i sistemi deresponsabilizzando la dirigenza. Cè poi una schizofrenia dovuta alla doppia funzione che il sistema di valutazione dovrebbe svolgere: da un lato volto a migliorare le performance individuali e, quindi, organizzative; dallaltro a reprimere, per stanare i fannulloni. Il problema è che la riforma, legando al sistema di valutazione lindividuazione dei comportamenti rilevanti, ha escluso a priori il valore della valutazione come strumento di valorizzazione delle competenze, riconducendolo a strumento di repressione. (5)
Queste lacune nellesecuzione della riforma non comportano soltanto il suo potenziale collasso. Ben più preoccupante è limpatto a lungo termine derivato dalla percezione della valutazione del personale come strumento utile solo a castigare, e dellerezione di barriere impenetrabili a qualsiasi strumento gestionale. Insomma, la crescente opposizione di dipendenti e sindacati e la possibile implosione della riforma potrebbero determinare un tragico "rinculo", senza che si sia sparato alcun colpo di cannone.
(1) Negli Stati Uniti il Planning, Programming and Budgeting System fu introdotto nel 1965, in Gran Bretagna fu costituito il Fulton Committee (per trasferire idee e strumenti manageriali nei ministeri) nel 1966. Per quanto riguarda riforme specificamente ispirate al New Public Management, si veda: Hood, C. (1995), The New Public Management in the 1980s: Variations on a theme, Accounting, Organizations and Society, Vol. 20, No. 2/3, pp. 99-109.
(2) Si veda, ad esempio: Barber, M. (2007), Instruction to deliver: Tony Blair, the public services and the challenge of achieving targets, Politico’s Publishing Ltd.
(3) http://www.repubblica.it/cronaca/2011/01/15/news/brunetta_civit-11246926/
(4) Marsden, David (2009) The paradox of performance related pay systems: why do we keep adopting them in the face of evidence that they fail to motivate?. CEP Discussion Papers, 946. Centre for Economic Performance, London School of Economics and Political Science, London, UK.
(5) Tratto da un recente scritto di Sylvia Krantz: http://www.pietroichino.it/?p=12458.
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Franco
Finalmente un pò di chiarezza sull’argomento visto che il Brunetta, da quando si é insediato, ha solo fatto come le oche del Campidoglio per una sua visibilità personale e politica. Invece é necessario fare altro : prima di tutto una strategia con un responsabile "vero e altamente professionale" a cui va aggiunto un "processo" moderno che permetta la responsabilizzazione e la partecipazione di tutti i soggetti interessati. E poi, mai " gridare, attaccare, minacciare, reprimere i soggetti interessati al cambiamento. Risultato: resistenza e Waterloo come definisce bene Pietro Micheli nell’articolo.La letteratura internazionale sul questo argomento é notevole. I pillars del cambiamento sono : 1. Comunicazione-Informazione : bisogna comunicare che cosa si sta facendo e perché 2. Partecipazione : in modo da contribuire ad aumentare l’appartenenza 3. Delega e controllo : il responsabile della strategia controlla i progressi e delega i compiti specifici 4. Manipolazione e Coercizione : che però sono l’ultima spiaggia e non permette di raggiungere i risultati voluti. In ogni caso é necessario adottare più di un sistema a seconda della tipologia degli individui interessati.
Sand
Il merito di Brunetta è stato quello di urlare contro una Pubblica Amministrazione lenta e pesante, che sprecava risorse, cassa di risonanza di un paese decaduto. Brunetta ha avuto coraggio, sembrava quasi compiaciuto di guadagnarsi giorno dopo giorno sempre più nemici. Ma è una riforma la sua? Per rispondere è necessario definire il concetto espresso dalla parola "riforma", tanto abusata dai politici e dagli esperti. E per portare avanti un nostro discorso, poniamo che "riforma" significa anticipare ed accompagnare il cambiamento sociale con adeguatezza e competenza. Allora, il principio che si è tentato di seguire nel contrapporsi alla burocrazia obsoleta della Pubblica Amministrazione è stato quello di affermare la necessità di premiare la meritocrazia. Come si è messo in atto questo principio? Controllando e punendo i cosiddetti "fannulloni". In questi ultimi due anni è cambiato qualcosa per il management pubblico? Sono stati pubblicati gli stipendi dei dirigenti, e i risultati delle loro performance? Insomma, si è scelta la solita strategia di rafforzare i controlli sul personale, in maniera generalizzata, alla ricerca di risultati "cash", di risparmio e immediata visibilità.
Dario Quintavalle
Molto opportunamente, nella sua lettera daddio, il prof. Micheli ha sottolineato quanto questa cd. Riforma abbia ulteriormente seminato demotivazione tra i ranghi della PA, additati da quattro anni a questa parte al pubblico disprezzo come i principali responsabili di tutto ciò che non va in Italia, anche contro levidenza di una crisi economica che certo non è nata nelle stanze dei Ministeri. Oggi appare evidente a tutti quello che la saggezza popolare suggerisce da tempo, e cioè che il pesce puzza dalla testa. E’ di tutta evidenza che lapproccio punitivo e castigatorio verso la PA non è stato un mero incidente di percorso della riforma, ma una impostazione consapevole, volta a fare dei dipendenti pubblici i capri espiatori dello scontento popolare verso fenomeni di malcostume, spreco e privilegio, che sono invece residenti soprattutto nel segmento politico dellamministrazione dello Stato. Non cè da stupirsi che dipendenti e sindacati non abbiano accolto bene una incessante campagna di delegittimazione nei loro confronti: cè da stupirsi semmai che tanti si siano bevuti quella che, a conti fatti, era pura e semplice propaganda.
Marinella
Molti dipendenti pubblici non hanno nessuna idea di quale sia il loro compito (anzi spesso non ne hanno) e tanto meno quello dell’ufficio (organizzazione) in cui operano. Per quanto scontata possa apparire la cosa, per una maggiore efficienza del personale occorre:
a) competenza, motivazione e trasparenza da parte dei dirigenti
b) coinvolgimento del personale in obiettivi chiari e compresi (da quelli generali a quelli spiccioli quotidiani)
c) delega oculata corredata da opportuni riconoscimenti
d) creazione e motivazione di team coesi
e) autorevolezza del dirigente che prima di "reprimere" fa capire "ti ho visto"……
raffaele principe
E’ difficile, per chi la vede da dentro la PA, sostenere che la cosiddetta riforma Brunetta abbia migliorato i servizi, ma al più appesantito le procedure burocratiche. Al più possiamo dire che si è stimolato una maggiore presenza. Ma per fare cosa e come soprattutto, questo la riforma lo elude. Innanzitutto perchè parlando di singoli non coglie il ruolo dei gruppi, settori, unità organizzative, distribuzione del personale, sua formazione. Per raggiungere quella qualità da tutti auspicata servirebbero tre cose: organizzazione e distribuzione delle risorse: umane, materiali e finanziarie, con comparazioni fate da organismi indipendenti, responsabilità dei dirigenti e a scendere dei funzionari, formazione. Fatto ciò individuare obiettivi perseguibili e verificabili,anche con audit anche interne alle stesse amministrazioni. Concordo con il fatto che si è preferito cavalcare la propaganda, piuttosto che lavorare con strumenti normali, molti amministrativi piuttosto che normativi. A tal proposito in Italia se ne prodotta tanta che spesso è complicato raccapezzarcene.
Cesare
In pratica Pietro Micheli ha riassunto in un breve articolo tutti i principi rilevanti di management strategico e i fattori critici per il successo e la gestione del cambiamento organizzativo, tutti elementi considerati chiave e che puntualmente non sono stati adottati dall’On. Min. Brunetta. Suppongo sia estremamente difficoltoso gestire il cambiamento di una organizzazione che conta milioni di impiegati, e differenziata in molteplici funzioni… ma se l’On. Min. Brunetta che sta lavorando esclusivamente a questo progetto da quasi tre anni, si fosse perlomeno ripassato i testi fondamentali di qualunque MBA (anche in riassunto), ora avrebbe perlomeno definito la risposta alle prime tre domande: 1) what is the big picture? 2) where are we? 3) where do we want to go? 4) how do we get there? 5) Have we reached the target? Puntualmente l’On. Min. Brunetta, buttandosi a capofitto sulla domanda 4) ha fatto l’errore del pivello. E ora ne raccoglie i non-risultati. Difficile a questo punto ripartire da capo…
umberto carneglia
Dalla lettura del testo della riforma Brunetta ne emergeva chiaramente il carattere gattopardesco. Pur non priva di spunti interessanri e buone intenzioni, la riforma mostrava chiaramente la volontà della politica di non rinunciare ad un atteggiamento invasivo e per forza di cose clientelare. Come previsto il fallimento si è verificato. Occorrerebbe un inversione ad U della politica italiana (di destra e di sisnistra) per rinunciare alle interferenze cui è abituata da lunghissimo tempo. Eppure questa inversione – una vera rivoluzione in Italia – è più che mai necessaria ( ma non è all’ordine del giorno di nessun partito). Il peso dell’interferenza della politica negli enti ed anche nelle imprese -oltre che nelle banche – e’ la palla al piede del Sistema Italia ed è fonte di conflittti d’interesse con i loro corollari di corruzione e permeabilità alla mafia . La situazione è ancora più grave e perniciosa negli enti territoriali, dalle regioni in giù, con pesantissime ricadute sull’efficienza e sulla tutela del territorio, spesso devastato da disastri ambientali, speculazione edilizia, inquinamento e perfino immondizia.
Diego
Ritengo personalmente che il problema principale sia nella mancanza di volontà politica di rendere la Pa efficace ed efficiente. Una Pa come quella italiana (lenta, complicata, borbonica, inefficiente, contraddittoria) alimenta un sottobosco di professioni (mi si passi il termine con il massimo rispetto per tutti coloro che le praticano) per così dire "parassitarie".Tali professionisti lavorano perchè il cittadino normale non può confrontarsi autonomamente con la Pa. Se la dichiarazione dei redditi consistesse in una pagina sola, solo chi ha davvero necessità di professionalità specifiche si rivolgerebbe ad un commercialista, mentre il resto dei contribuenti potrebbe gestire autonomamente i propri obblighi. Idem per una voltura catastale, o per quella di un autoveicolo (in una Aci ci si mettono 10 secondi, in motorizzazione è una corsa ad ostacoli). Riformare la Pa rendendola a misura di cittadino, vorrebbe dire fare perdere lavoro (e dunque reddito) a una serie infinita di persone e di enti (pensiamo ai Caf: solo in Italia un dipendente o un pensionato non può autogestirsi! In Francia i piccoli imprenditori fanno tutto da sé!).
giovanni
Sono un "esternalizzato" di un ente pubblico, l’Università di Bologna. L’unica cosa che mi sento di dire è: la cosa pubblica è percepita solo come granaio di interessi privati…. La politica può limitarsi a fare solo annunci, i sindacati possono solo difendere le posizioni acquisite, cioè solo i dipendenti strutturati, e tutto va…finché la barca va…
bob
Ci sono due categorie nel mondo: 1) gli ingenui e 2)i furbi. Chi ci viene a parlare di riforme, di federalismo appartengono alla seconda. In pratica sono persone direttamente interessate che urlano al contrario per conservare il presente. Se ci dimentichiamo che dal 1970 in poi in ogni tornata elettorale (e sono state tante) il signor politico a riempito Regioni, Asl, Provincie di impiegati inutili, mi domando: adesso che facciamo li licenziamo tutti? Come è possibile parlare di riforme strutturali senza tenere in considerazione questo problema. Alla stazione di Verona due giorni orsono un bus della Atm in cui ero io con altri 15 passeggeri è stato controllato all’arrivo da ben 11 controllori tra vigili e addetti Atm. Allora cosa vogliamo riformare su queste fondamenta? I sistemi economici obsoleti crollano quando entrano in contatto (come sta avvenendo) con sistemi più efficienti. A Londra (15 milioni di abitanti) un addetto gestisce un bus a due piani. Rispondiamo qualche volta alle obiezioni!
giuseppe
Salve. Sono un dipendente della pubblica amministrazione laureato in economia e con parecchi master alle spalle. Chiedo a tutti voi di aiutarmi a chiarire il seguente arcano: la produttività. Voncetto tanto caro al nostro "amato" ministro. A parte la filosofia e le scienze esatte, è inutile elucubrare. Faccio una semplice domanda: cosa possa mai chiedersi ad un impiegato pubblico con tanto di formazione (e vi assicuro sono in tanti, forse in troppi), con uno stipendio di 1.500 euro al mese, una produttività valutata da superiori che manco ti conoscono, percorsi di carriera inesistenti, e differenze salariali ridicole rispetto a mansioni molto più basse? Io la risposta ce l’ho: "passacartaggio" e "gazzetta dello sport". La verità è questa, non nascondiamoci dietro un dito. La PA, cioè, deve acquisire meccanismi e livelli di servizio di mercato a prezzi al di sotto di quelli di mercato? Follia, pura follia. Prima o poi il sistema ti accascia… vuoi o non vuoi.
Maurizio Daici
Per esperienza diretta posso dire che la valutazione sugli obiettivi individuali non comporta un miglioramento dell’attività (una maggiore efficienza). Innanzitutto, perchè gli obiettivi della P.A. sono posti dagli organi politici (legislatori o amministratori, secondo le diverse Amministrazioni), che dettano anche le regole cui la P.A. deve attenersi. In secondo luogo, perché nella P.A. non si assegna il lavoro importante – quello rilevante per gli utenti – a chi non sa o non vuole lavorare. Succede così che chi non sa o non vuole lavorare abbia obiettivi individuali "facili", che non fanno "sudare"; mentre chi sbriga sempre il suo lavoro, abbia obiettivi individuali "difficili", che si sommano in genere alla mole di lavoro ordinariamente espletata (c.d. natura "sfidante" degli obiettivi). Infine, il sistema degli obiettivi individuali favorisce un atteggiamento opportunistico, nel senso che tali obiettivi diventano la priorità assoluta per il lavoratore a scapito di attività che pure esistono ma non sono correlate agli obiettivi assegnati. Il risultato – valutando il complesso delle attività – può essere addirittura negativo.