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Grecia, peggio di così non si poteva fare

La crisi greca è stata gestita davvero male e ha provocato un notevole aumento dei suoi costi. Ma il caso Grecia mette in luce la debolezza della governance europea e la mancanza di leadership dei governanti. Che si sono mossi sotto la pressione di scadenze elettorali immediate, senza una visione di lungo periodo. Per evitare che si ripetano gli stessi errori, si deve fare un salto di qualità, puntando su un grado di integrazione maggiore dell’attuale. Un primo passo potrebbe essere quello di affidare la gestione delle crisi debitorie a un organismo tecnico e indipendente.

 

Il voto di fiducia ottenuto dal governo Papandreou il 21 giugno ha fatto tirare un sospiro di sollievo allEuropa, ma la situazione è ancora molto tesa.

UNA CRISI MAL GESTITA

Fra pochi giorni (28 giugno), il parlamento greco è chiamato ad esprimersi sul piano di aggiustamento fiscale e di privatizzazioni concordato con la “troika” (Fmi, Commissione UE e Bce) durante l’’ultima missione ad Atene. Il passaggio parlamentare è cruciale per l’’erogazione della quinta tranche di finanziamenti prevista dal piano di assistenza concordato l’’anno scorso, come si legge nel comunicato finale del vertice dei ministri finanziari della zona euro del 20 giugno. Questa minaccia mette l’’Europa in un vicolo cieco. Se il parlamento greco – condizionato da una situazione sociale esplosiva e con un governo che dispone di una maggioranza di soli cinque seggi – non dovesse dare la sua approvazione alla manovra fiscale, i partner europei avranno due opzioni. O si rimangiano la minaccia ed erogano comunque il finanziamento, giocandosi così la propria credibilità, oppure costringono la Grecia a una insolvenza disordinata: impossibilità di restituire il debito in scadenza a luglio e difficoltà nel pagare stipendi pubblici e pensioni. A quel punto, forse, solo un intervento in extremis della Bce potrebbe evitare il baratro alla Grecia e il diffondersi del contagio ad altri paesi europei, ma questo intervento non sarebbe certo privo di conseguenze negative nel medio periodo.
Come si è arrivati a questo punto? Il Pil della Grecia rappresenta il 2,5 per cento di quello dell’’area euro; il suo peso relativo sull’’economia dell’’area è quindi paragonabile a quello delle Marche per l’’Italia (2,7 per cento); e il debito pubblico greco è pari solo al 3,6 per cento del Pil della zona euro. Come è possibile che la crisi debitoria di un paese di dimensioni così ridotte metta a repentaglio la stabilità finanziaria dell’’Europa e la sopravvivenza della stessa moneta unica?
La crisi greca poteva essere gestita senza traumi, attraverso un intervento di sostegno da parte dei partner europei che prevedesse, da un lato, finanziamenti a tassi agevolati per un lungo periodo (diciamo un decennio) e, dall’’altro, l’’adozione di un programma di aggiustamento fiscale e di riforme graduali per ridare competitività al paese, realisticamente realizzabile nell’’arco di alcuni anni. Un piano credibile di lungo periodo avrebbe consentito alla Grecia di tornare sui mercati finanziari presto e a tassi ragionevoli. Si è scelto invece di erogare un finanziamento a tassi penalizzanti e (nella previsione iniziale) per soli tre anni, imponendo allo stesso tempo una correzione fiscale repentina e costosa sul piano sociale: sette punti di riduzione del disavanzo primario nel 2010 (dal 10 al 3 per cento, dati IMF Outlook), facendo sprofondare il paese nella recessione (4,5 per cento la riduzione del Pil nello stesso anno). Questa correzione ha creato le premesse per l’’attuale disordine sociale e politico in Grecia.
Non solo, ma si è anche fatto di tutto per destabilizzare i mercati finanziari. Alcuni governi europei, in particolare quello tedesco, avevano in un primo momento addirittura minacciato di non partecipare al piano di sostegno, creando un clima di forte incertezza. Più di recente, hanno preteso di inserire nella trattativa, già complessa e tormentata, la partecipazione dei creditori privati ai costi per il “salvataggio” della Grecia inducendo ulteriori incertezze nei mercati sulla sostenibilità del debito pubblico greco.
Tutto questo è stato fatto per venire incontro ai malumori dell’’elettorato in Germania e in alcuni altri paesi nordici. I loro governi hanno però ignorato un principio economico fondamentale. Una garanzia di assistenza finanziaria (a una banca così come a un paese sovrano) deve essere credibile e deve evitare costi ai creditori: solo così questi ultimi mantengono le loro esposizioni e il costo dell’’intervento di sostegno si riduce al minimo. Al contrario, la mancanza di credibilità e la volontà di “farla pagare” ai creditori fanno scappare questi ultimi, aumentando la dimensione e il costo del salvataggio. Per non dispiacere ai suoi elettori, Angela Merkel ha fatto aumentare il conto a carico degli stessi contribuenti tedeschi: infatti, il piano di assistenza concordato l’’anno scorso dovrà essere raddoppiato, per l’’impossibilità della Grecia di tornare a finanziarsi a tassi ragionevoli sul mercato.

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PER UNA VERA FEDERAZIONE DI STATI

La cattiva gestione della crisi greca mette in luce la debolezza della governance europea e la mancanza di leadership dei governanti. Questi ultimi si sono mossi sotto la pressione di scadenze elettorali immediate, senza una visione di lungo periodo. Per evitare che si ripetano gli stessi errori,  la governance europea deve fare un salto di qualità, puntando su un grado di integrazione maggiore rispetto a quella attuale. Su questo fronte, un appuntamento importante è il Consiglio europeo che si tiene in questi giorni (23-24 giungo), che è chiamato a completare, in accordo con il Parlamento europeo, le innovazioni introdotte nel marzo scorso. Le linee fondamentali della nuova governance europea sono già state delineate allora. (1)
In particolare, il nuovo Patto di stabilità e crescita prevede vincoli più stringenti rispetto alla sua forma attuale e la sorveglianza degli squilibri macroeconomici è un giusto allargamento di orizzonte rispetto al tradizionale focus sui saldi di finanza pubblica. Siamo ancora lontani dalla creazione di una vera e propria federazione di stati con un suo bilancio, ma questa prospettiva, per quanto avveniristica possa sembrare al momento, è l’’unica che può garantire davvero la sopravvivenza della moneta unica nel lungo periodo.
Per rendersi conto di quale sarebbe la maggiore solidità della “casa comune” europea se i bilanci degli stati appartenenti alla zona euro fossero consolidati in un unico bilancio federale, basta guardare la tabella qui sotto. Tutti gli indicatori di finanza pubblica della “federazione” sarebbero migliori di quelli degli Usa, paese che tuttora gode di un rating AAA. Questa è l’’idea alla base degli eurobond (da molti visti come il fumo negli occhi): se il debito pubblico della zona euro fosse garantito dal Pil di tutta l’’area nel suo complesso, quel debito avrebbe una affidabilità elevata, consentendo anche ai paesi “periferici” di finanziarsi a tassi molto contenuti. Naturalmente, ciò richiede un accentramento delle decisioni in materia di politica fiscale e una forte capacità della Unione Europea di fare rispettare la disciplina fiscale ai paesi membri, punendo le eventuali deviazioni. Una seria riflessione dovrebbe andare in questa direzione, anziché cullarsi nell’idea che si possa risolvere tutto espellendo una “mela marcia”: sarebbe solo l’inizio del crollo della “casa comune”.

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Disavanzo complessivo

Disavanzo primario
(al netto degli interessi)

Debito pubblico

AREA EURO

6,07

3,59

85,04

USA

10,59

8,88

91,55

Dati in percentuale del Pil, riferiti al 2010. Fonte: IMF Economic Outlook, aprile 2011.

Un primo, piccolo ma significativo passo che si potrebbe già fare nella direzione di una politica di bilancio europea è costituito da una revisione nei meccanismi di governance delle crisi debitorie. L’’attuale Efsf e il futuro Esm lasciano sotto questo profilo molto a desiderare, poiché ogni decisione circa l’’erogazione dei fondi è subordinata al consenso unanime dei governi nazionali che vi partecipano. Inoltre, l’’Esm è sottoposto a vincoli che sul piano tecnico non hanno molto senso (quali l’’impossibilità di intervenire sul mercato secondario dei titoli di stato) e ne pregiudicano l’efficacia. Bisognerebbe, invece, che la gestione venisse affidata a un organismo tecnico, simile all’Fmi, dotato di un mandato chiaro, più ampi poteri anche nei confronti dei paesi beneficiari e di una rappresentanza adeguata. L’’indipendenza di un simile organismo dagli stati nazionali – e perciò dagli specifici e contingenti problemi di consenso politico in ciascuno di essi – potrebbe renderne non solo meno impacciata l’’operatività, ma anche più facile l’assunzione di u’n’ottica di medio-lungo periodo per i piani di salvataggio e le connesse manovre di aggiustamento dei paesi in crisi.

(1) Per commenti pubblicati da lavoce.info si vedano Baglioni e Bordignon e Manasse.

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13 commenti

  1. Rossano Zanin

    Il modesto peso della Grecia sul Pil europeo e l’incidenza del debito greco sul totale del debito pubblico erano i presupposti per gestire una crisi con costi contenuti e senza allarmare i mercati. Invece siamo entrati in un tunnel da cui sarà complicato uscire indenni.

  2. giovanni

    Sarebbe anche una grave espropriazione di sovranità l’affidamento di competenze su materie che incidono sulla vita di milioni di persone a un organismo tecnico non elettivo. Sarebbe preferibile un organismo composto da tecnici e da politici eletti negli Stati membri che approva le decisioni a maggioranza, non più vincolato all’unanimità dei consensi. Su alcune materie economiche è imprescindibile una competenza se non esclusiva, almeno concorrente degli Stati membri. Con l’istituzione di una Bce autonoma e indipendente si sono privati gli Stati nazionali della leva monetaria. Vogliamo eliminare la politica economica, privandola anche del controllo sulla leva fiscale?

  3. DDPP

    Sono convinto che si possa governare la tragedia, ma non la commedia. E’ difficile, ma possibile imporre tagli con una rivoltella alla tempia. Convincere qualcuno, con ragionevolezza, a ridurre il proprio tenore di vita per colpa di qualcun’altro, credo che sia impossibile.

  4. Prof. Antonino Tramontana

    Concordo pienamente: la crisi greca è stata affrontata dall’Europa con una buona dose di dilettantismo, condizionata da giochi politici che si dovevano evitare. Non si possono imporre ad un Paese che ha bisogno di assistenza finanziaria misure che non soltanto impediscono la crescita, ma addirittura strozzano l’economia. Bisognerebbe avere il coraggio di riconoscere che anche la manovra che si prospetta per il nostro Paese è ugualmente sballata. Ho inviato qualche articolo in merito al Corriere della Sera e al Sole 24 Ore, ma si sono ben guardati dal pubblicarli!

  5. rino

    Il lavoratore tedesco avrà pur il diritto di non volere pagare le tasse per gli altri. "Tecnico e indipendente" dalla volontà popolare dunque, per un sistema che non è stato scelta in base ad una votazione. La democrazia è dare la possibilità alle persone anche di fare scelte sbagliate.

  6. C8A

    Il punto è: ma i governi si rendono effettivamente conto di questa necessità? Insomma, chi ha il potere di creare questa unione fiscale, perché ancora non l’ha fatto? Non voglio credere che non siano consapevoli dei benefici di un eventuale ente sovranazionale, ma sicuro sono perfettamente consapevoli del prezzo. Nessuno vuole rinunciare al suo giardinetto in nome del potere che ha. In caso di una politica di bilancio comune ad esempio i politici non potrebbero più promettere di abbassare le tasse per farsi eleggere, per i vari paesi sarebbe solo una cosa positiva perché permetterebbe di concentrarsi sulle effettive capacità del soggetto in questione senza abbagli di sorta e non lascerebbe nelle mani di soggetti sconsiderati la possibilità di depauperare le finanze pubbliche solo per il potere personale e vantaggi di categoria. Il problema fondamentale è appunto quello evidenziato dall’articolo: la short term view tipica ormai di noi occidentali. Una visione di lungo termine e un maggior senso dello stato permetterebbe di far intravedere la necessità di un intervento fiscale a livello sovranazionale.

  7. renato calfi

    C’è di più: per limitare la perdita di consensi in una elezione amministrativa (che comunque ha ugualmente perso) la Merkel minacciò di lasciare uscire la Grecia dalla UE. Per la prima volta un capo di governo della UE, quello del Paese indiscutibilmente più influente, adombrò irresponsabilmente la reversibilità della partecipazione all’Unione che non è prevista dai trattati e non era mai stata neppure ipotizzata. Ovvio che, a quel punto, i mercati accrescessero la loro diffidenza verso i titoli greci e, soprattutto si chiedessero chi altro avesse corso il rischio di uscire. Di qui la speculazione sul Portogallo e sugli altri "periferici". Il passato governo greco ha combinato un bel guaio, ma più che questo l’Europa oggi paga la spregiudicatezza della Merkel.

  8. Confucius

    La redditività degli investimenti speculativi si gioca sul panico e sulla "esuberanza irrazionale", dei quali non fanno parte le soluzioni razionali e pianificate. I nostri governanti europei sanno benissimo quali siano le conseguenze della gestione ondivaga della crisi (od almeno lo sanno i tecnici dei ministeri competenti), ma i mercati hanno le loro esigenze e così si mette in scena il teatrino del salvataggio, con suspance e colpi di scena. In ogni caso, il conto alla fine lo paga sempre Pantalone… E’ ovvio che un’ Europa veramente unita non si sarebbe trovata nella situazione precaria nella quale si trova. La situazione finanziaria della California è sicuramente peggiore e più pesante dal punto di vista economico di quella della Grecia, ma nessuno si sogna di speculare sul ritorno della California al peso dei tempi di Zorro e sul futuro del dollaro, proprio perchè gli USA sono un vero stato federale.

  9. roberto

    Perchè non facciamo la bad bank come si è fatto per la cartolarizzazione dei mutui spazzatura americani anche con il debito greco? Facciamola fallire cosi’ almeno riparte (come argentina)

  10. lorenzo romani

    Anche la BCE, come del resto la Fed, è una istituzione indipendente dai singoli governi nazionali. Ciò tutela il perseguimento del mandato della banca centrale di mantenere l’inflazione entro il due per cento, e nel caso americano di incentivare l’occupazione. La tecnicità risiede proprio nella ristrettezza del compito di un ente, che deve solamente perseguire un determinato fine, concordemente al suo mandato che è vincolante e non può essere suscettibile di pressioni politiche. Pensate a cosa succederebbe in Italia se ci fosse una banca centrale dipendente dal governo… Anche la magistratura, allora, dovrebbe essere elettiva? Questo è un discorso spinoso.

  11. Gianfranco Vilardo

    Il Parlamento Greco ha approvato il piano chiamato di Austerity: mi chiedo paga il Popolo per le speculazioni Bancarie ed gli errori politici? O è a causa dei suoi privilegi ed un tenore di vita al disopra delle proprie possibilità? Vivo in Sicilia, credo che la mia regione non abbia degli ottimi Indicatori di Finanza Pubblica, ma sul Vostro ragionamento, un’ Italia federale porterebbe i politici in generale e i siciliani in particolare e il popolo italiano in generale e quello siciliano in particolare ad una maggiore responsabilità? Quindi meno sprechi meno privilegi. Lo spero, prima che si finisca come la Grecia.

  12. GIANNI

    Non vedo altre soluzioni: la Grecia deve fallire. Primo perchè continuare ad aiutarla ha un costo sociale superiore al costo dell’insolvenza, infatti la UE può tranquillamente tassare gli stati, ma il ricavato di questi conferimenti può essere accantonato in un fondo di sicurezza che serva per risarcire i creditori quando accadrà- Secondo perchè questo serva di monito agli stati, Italia compresa. Come si fa ad uscire dalla crisi? Quello che farebbe una famiglia, semplice: – riduzione del numero degli statali e riduzione degli stipendi superiori a 50 mila con un tappo massimo di 100 mila; – 80 deputati e 40 senatori; – ridurre del 70% tutte le cariche elettive (comune, regione) – abolire regioni; – accorpare le authority in una sola da 500 dipendenti massimo, con stipendi parificati a quelli pubblici (max 100 mila); – vendere i beni demaniali indisponibili (il nostro presidente della repubblica con 100 dipendenti e non 1000 può andare a lavorare in un bel centro direzionale, insieme a camera, senato e 10 ministeri accorpati); – le auto blu? 1300 cc, italiane e per la 4 cariche di stato, gli altri vadano in autobus come in finlandia; – vendere il capitale di eni, enel.

  13. Stefano Valenti

    Condivido pienamente il contenuto dell’articolo. La politica dell’Eurogruppo sulla Grecia è stata, ed è, demenziale e controproducente, perché è stato imposto un piano di austerità draconiano che sta strangolando l’economia greca, che sembra dettato più dalla voglia di farla pagare alla Grecia che dal desiderio di risolvere un problema, dimenticando che, sebbene la causa sia l’irresponsabilità del governo greco, neanche altri soggetti sono esenti da colpe. Per quale motivo si è lasciato che la Grecia aderisse all’UEM senza averne i requisiti? Perché la proposta di Prodi di un’agenzia indipendente che sorvegliasse i dati di finanza pubblica dei paesi dell’UEM fu cassata? E che dire della Goldman Sachs che aiutò la Grecia a camuffare il suo reale indebitamento? Per non parlare delle sparate della Germania sul "coinvolgimento dei creditori". Io ho qualche risparmio investito in titoli greci e mi guarderò bene dal reinvestirli quando, tra breve, giungeranno a scadenza. Non so proprio come Schäuble pensa, in questo modo, di aiutare la Grecia a rifinanziarsi a tassi non astronomici.

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