È un’illusione pensare che politiche in disavanzo per cinque anni possano consentire, semplicemente tagliando le imposte, di sostenere una crescita rigogliosa e tale da garantire comunque una riduzione del debito. Il risveglio potrebbe essere brusco.
L’austerity è finita da tempo
Se è importante che l’Italia partecipi attivamente alla discussione sui cambiamenti da apportare alla governance europea, un discorso totalmente diverso è usare la critica alle regole europee per finalità di politica interna o per giustificare l’abbandono del processo di controllo delle finanze pubbliche.
In primo luogo, è abbastanza agevole dimostrare, dati alla mano, che le regole non hanno impedito l’attuazione di una politica più espansiva negli ultimi anni. Si veda per esempio la nota Prometeia 2017. La vituperata “austerity” si è in realtà conclusa nel nostro paese (e in altri) nel 2014; nel 2015-2016 l’Italia ha potuto attuare, grazie anche a varie clausole di flessibilità concordate con la Commissione, una politica di bilancio decisamente più espansiva. La pressione fiscale per esempio si è ridotta di circa un punto di Pil. Pure la spesa si è ridotta, di circa l’1,5 per cento di Pil, consentendoci così di ridurre il deficit, ma questo in larga misura grazie alle politiche del Quantitative easing nel frattempo adottate dalla Banca centrale europea, cioè acquisti mensili di debito pubblico che hanno fortemente ridotto i tassi di interesse. È bene ricordare che grazie a questa politica in Italia la spesa per il servizio sul debito è ora pari al 3,9 per cento del Pil, uguale a quanto spendevamo nel 1979, prima della crescita del debito pubblico. E che il tasso medio ponderato all’emissione dei titoli pubblici italiani nel 2016 è stato dello 0,55 per cento: non male per un paese che cresce poco e che ha ancora un debito pubblico pari al 132 per cento del Pil.
Il problema è il debito
In secondo luogo, c’è da dubitare che una politica fiscale fortemente espansiva possa aiutare il paese. Il nostro problema economico principale, dal punto di vista delle finanze pubbliche, è che nonostante i tassi straordinariamente bassi non siamo ancora riusciti a ridurre in modo significativo il rapporto debito su Pil; forse siamo riusciti a stabilizzarlo. Oltretutto, la politica del Quantitative easing è agli sgoccioli ed è prevedibile un rialzo degli interessi in tempi rapidi. Il rischio principale per l’Italia è che la crescita nominale arranchi ancora dietro a quella degli altri paesi e che la Bce si posizioni su tassi di interesse appropriati per l’area, ma troppo alti per noi. Ovvio che politiche dissennate di spesa o riduzioni eccessive di entrate, se spaventano i mercati e inducono a fughe di capitali, potrebbero far lievitare i nostri tassi di interesse ancora di più, costringendoci a ulteriori correzioni, magari in momenti economici meno favorevoli, come già successo con il governo Monti.
La via più saggia sembrerebbe essere quella di mantenere un approccio prudente, riducendo più incisivamente il debito approfittando della ripresa in corso, e nello stesso tempo portare avanti politiche economiche che consentano di sostenere la crescita, modulando in modo appropriato interventi fiscali e di riforma. Contare sul fatto che politiche in disavanzo (al 2,9 per cento) per cinque anni possano consentire, semplicemente tagliando le imposte, di sostenere una crescita rigogliosa e tale da garantire comunque un calo del debito appare irrealistico.
Del resto, la stessa esperienza recente del governo Renzi dovrebbe indurre a qualche cautela. Grazie alle politiche fiscali a sostegno delle famiglie, i consumi hanno ripreso a crescere (+2 per cento), ma gli investimenti privati hanno continuato a contrarsi, con solo un lieve rialzo nell’ultimo anno. E le politiche di controllo della spesa, se hanno fatto poco sulla componente più dinamica della spesa pubblica italiana (la spesa sociale, cioè in larga parte le pensioni), hanno tagliato pesantemente gli investimenti pubblici, riducendo sia la domanda che la capitalizzazione del paese. Non c’è dubbio che riduzioni di imposte possono sostenere consumi, investimenti e crescita; ma devono essere credibili, cioè all’interno di un quadro finanziario stabile. Inutile promettere oggi tagli generalizzati di imposte, se gli operatori temono che possano essere revocati domani, per il rischio di una crisi finanziaria. Sarebbero solo controproducenti.
* Massimo Bordignon è attualmente membro dell’European Fiscal Board. Le opinioni espresse in questo articolo sono tuttavia esclusivamente personali e non sono in alcun modo attribuibili all’istituto di appartenenza.
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Savino
Per come ci hanno ridotto i politici, del passato e del presente, per i loro meschini interessi di consenso, oggi non c’è alternativa all’austerity di Merkel e Schauble. Il malato è, per definizione, bisognoso di una terapia di farmaci e non puoi anestetizzare il dolore con l’allegria di un bicchiere di vino. Piuttosto, devi ben individuare dove concentrare la riduzione della spesa, senza creare ulteriori diseguaglianze. In Italia, i centri di spesa improduttiva sono miliardi di rivoli dove il danaro pubblico si spreca e si perde. C’è, quindi, solo l’imbarazzo della scelta per capire da dove cominciare. Nessuno può sentirsi immune dai tagli e nessuno può più fare il giochino del sentirsi povero o del “non toccatemi, tengo famiglia”. Va stanata l’eterna furbizia degli italiani che fanno o gli “indignati grillini” o dicono che nulla va cambiato mantenendo, tuttavia, tenori di vita agiati.
W.F. Hegel
Non siete in grado di capire che i Debiti Mondiali (più pubblici x noi, più privati x altri, in Totale siamo allineati alla media) sono fisicamente irrimborsabili e nessuno mai li rimborserà. Son solo uno specchio x le allodole che le lobby internazionali (mascherate dietro i vincoli esterni di mkt e burocratici) usano x commissariare gli stati e le opinioni pubbliche. Attuale livello di distruzione del ceto medio é ancora insufficiente così le vostre politiche continueranno ancora x un pò di anni la purtroppo necessaria distruzione del ceto medio occidentale. Solo quando ci sarà il prox grande crash le Elite passeranno per forza di necessità (non volontariamente) dall’ attuale e parziale annullamento dei debiti via Qe al più strutturale Helicopt Money. È assolutamente naturale, anzi é necessario, che oggi queste cose vi sembrino assoluta follia. E neppure quando le vedrete le capirete, e soprattutto non le ammetterete perchè ciò vorrebbe dire x il vostro io ammettere che tutto ciò che credevate di sapere era basato sul 900 (capit in sviluppo) mentre oggi 2000 siamo in fase di maturità declino di questa forma di organizzazione sociale che a voi sembrava eterna.
Savino
Il nostro debito pubblico è stato reso un mostro da chi ci ha governati ed è più concreto che mai, vedendosi in carne ed ossa nell’ingordigia di generazioni che hanno trattenuto tutto per sè ed hanno lasciato miseria e cambiali perenni ai nostri giovani
Adesso queste cariatidi e questi tirannosauri vogliono farci bere la storia delle multinazionali o chissà quali accidenti cospiratori. Tirassero fuori dal materasso la parte che non gli spetta, piuttosto, che c’è da fare equità sociale e generazionale.
Alessio Rindi
Il nostro debito pubblico è diventato un mostro quando la banca d’Italia si è separata dal Tesoro non potendone più acquistare i titoli. C’è una precisa transizione nella curva del nostro debito/PIL posizionata proprio nel 1981.
PS ha ragione W.F. Hegel a dire che il debito, pubblico+privato a livello globale, sia destinato ad aumentare. I soldi per ripagare gli interessi non esistono.
Enzo
E’ davvero preoccupante che i nostri politici sappiano abbiano come unici slogan : meno tasse, più spesa, più debito. L’ostinazione nel considerare solo i valori assoluti e a rifiutare la riformulazione di spesa pubblica e politica fiscale mi sembra dettata più che dall’incapacità al rifiuto di rinunciare a quella spesa funzionale a politici partiti e affini.
Alessandro Corradi
Quindi l’austerity sarebbe finita? Molto interessante.
Motta Enrico
2,9 % del PIL, circa 45 miliardi, per 5 anni fa 225. Aggiunti al debito attuale, si arriverebbe a 2.500. Non ho capito come si potrebbe “garantire comunque un calo del debito”, anche solo in rapporto al PIL. Peggio di una illusione. Ringrazio il Prof. Bordignon per il bell’articolo, ma finché ci sono suoi colleghi che mettono in secondo piano il problema del deficit e debito, e pensano di sistemare tutto con la crescita del PIL, i politici avranno buon gioco a diffondere illusioni.
Lorenzo
Forse sta finendo l’illusione dovuta alla sbornia berlusconiana, Gli italiani, sorretti dalle buone politiche di Prodi, videro il debito calare di parecchi punti percentuali duranti i governi di fine novecento. Non stava loro bene e quindi elessero a pastoe l’ex cav. Mai abbiamo avuto un governo così deleterio per le finanze pubbliche. Il debito risalì perché il suddetto negava la fragilità del sistema Italia, anzi invitava anche all’indebitamento delle famiglie e quel che è peggio non si rese conto di quelle che potevano essere le conseguenze dell’11-09 sull’economia mondiale (figuriamoci su quella dell’Italia).
Henri Schmit
Ma come si può parlare di austerità con le politiche fiscali espansive dal 2013 (…), un deficit comunque fra 2, 0 e 2,9% e una politica monetaria ultra-accomodante della BCE?
Alessio Rindi
“E che il tasso medio ponderato all’emissione dei titoli pubblici italiani nel 2016 è stato dello 0,55 per cento: non male per un paese che cresce poco e che ha ancora un debito pubblico pari al 132 per cento del Pil.”
Ma perchè i tassi attuali dovrebbero essere considerati artificiosamente bassi? L’italia che io sappia è lunico paese del G7 oltre alla Germania ad avere un avanzo primario, ed è quello che ne ha la sequenza più lunga. Avremo anche un debito alto ma siamo anche tra i pochissimi che hanno la potenzialità di ridurlo. Questo dipenderà molto anche dagli interessi che i mercati stessi decideranno di applicare. Dovremmo barattare l’avanzo primario con bassi interessi. E’ la forza di farsi valere che manca alla nostra classe politica.