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Il Fiscal compact in Italia: tanta spesa, poca resa

Nella lettera inviata alla Commissione europea, il ministro dell’Economia sottolinea il prolungato sforzo di bilancio attuato negli ultimi anni dall’Italia. Ma se confrontati con quelli dell’Eurozona i nostri risultati appaiono molto meno soddisfacenti.

Tre anni in una frase

Nella lettera inviata dal ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan alla Commissione europea lo scorso 30 maggio c’è una frase importante che richiede di essere spiegata con attenzione. La frase – un riassunto di come l’Italia ha applicato il Fiscal compact negli ultimi anni – è la seguente:

“Il rapporto debito pubblico-Pil si è di fatto stabilizzato grazie a un prolungato sforzo di bilancio che non ha virtualmente confronti nell’Eurozona dall’inizio della crisi economica, con speciale riguardo per l’ammontare del surplus primario ottenuto”.

Spezzo la frase in parti.

Il rapporto debito pubblico/Pil si è di fatto stabilizzato…

Come si vede dal grafico 1 il rapporto tra debito pubblico e Pil era pari al 99,8 per cento nel 2007. Ha poi superato il 110 per cento nel 2009, per arrivare al 116,5 per cento del Pil nel 2011. Da allora le politiche di austerità del biennio 2012-13 sono riuscite a frenare la crescita del numeratore, riducendo ma non azzerando il deficit. Ma, a causa della tenaglia di recessione e bassa inflazione, non hanno controbilanciato e hanno anzi forse peggiorato il calo del denominatore. E così il debito ha superato il 130 per cento del Pil nel 2014. Dal 2014, però, la crescita del rapporto si è ridotta a mezzo punto percentuale l’anno. È a questa attenuata dinamica del debito che si riferisce Padoan quando parla di stabilizzazione “di fatto”. Non può dire che il rapporto ha smesso di crescere perché non sarebbe vero. Ma può certamente affermare che il debito in termini relativi è cresciuto molto meno rapidamente che negli anni precedenti.

Grafico 1

… grazie a un prolungato sforzo di bilancio che non ha virtualmente confronti nell’Eurozona dall’inizio della crisi economica…

Per (quasi) stabilizzare il rapporto debito-Pil c’è voluto uno sforzo di bilancio prolungato, cioè il governo ha dovuto far scendere il rapporto deficit-Pil anno dopo anno. Il calo non è avvenuto in tutti gli anni, in realtà, come si vede dal grafico 2. Dopo l’aumento boom al 5,3 per cento del Pil nel 2009 (largamente attribuibile al crollo del Pil cui fa seguito la riduzione delle entrate fiscali e l’aumento delle spese sociali), il rapporto deficit-Pil ha cominciato la sua discesa: al 4,2 per cento nel 2010 (soprattutto grazie al ritorno alla crescita dell’economia) e al 3,7 del 2011. Con l’aggiustamento fiscale di fine 2011 e degli anni seguenti il disavanzo si è stabilizzato intorno al 3 per cento, per poi ricominciare a scendere sotto il 3 per cento solo quando l’economia è ripartita e lo spread è sceso grazie alla Bce. Da questi dati è difficile concludere che in Italia si sia verificato un “prolungato sforzo di bilancio”. È forse più preciso parlare di un episodio di aggiustamento fiscale concentrato nei dati del 2012 e quindi ascrivibile al decreto “salva-Italia” del governo Monti.

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Grafico 2

C’è poi da capire se il “prolungato sforzo di bilancio” abbia avuto eguali nell’Eurozona durante la crisi. In Italia il deficit pubblico si è ridotto di tre punti percentuali, dal 5,3 per cento del Pil del 2009 fino al 2,2 per cento nel 2017. In parallelo, il rapporto deficit-Pil dell’eurozona si è ridotto di cinque punti percentuali, dal 6,3 per cento all’1,4 per cento del 2017. Forse l’aggiustamento si è concentrato solo nei paesi piccoli? Non è così. I dati dei grandi paesi segnalano risultati migliori di quelli ottenuti dall’Italia. La Germania ha trasformato il suo deficit di 3,2 punti di Pil del 2009 in un avanzo di 1 punto percentuale nel 2017. Il calo post-2009 del deficit per la Francia è stato di 4,2 punti (dal 7,2 al 3,0 per cento del 2017). Per la Spagna la riduzione è stata di quasi 8 punti (dall’11 per cento del 2009 al 3,2 per cento di oggi). Lo stesso per il Portogallo: meno 8 punti, dal 9,8 per cento all’1,8 per cento del Pil. E persino la Grecia ha ridotto il suo deficit dal 15,2 per cento del 2009 all’1,2 per cento del Pil nel 2017.

L’Italia ha (forse) fatto uno sforzo di bilancio prolungato, ma di confronti fiscali con i paesi dell’eurozona se ne possono fare parecchi. E a nostro sfavore, almeno se si valutano i progressi rispetto all’epicentro della crisi.

… con speciale riguardo per l’ammontare di surplus primario conseguito

In effetti, la figura 2 in allegato alla lettera indica che l’avanzo primario italiano – l’eccesso di entrate sulle spese vive dello Stato – è stato di poco superiore all’1 per cento del Pil nel 2009-16: il più elevato nell’Eurozona, secondo solo a quello della Germania.

Ma anche qui se si guarda ai risultati dell’Italia rispetto agli altri paesi nel migliorare il proprio avanzo primario rispetto al 2009, le conclusioni sono diverse. L’Italia ha sì trasformato il proprio disavanzo primario del 2009 (pari a quasi l’1 per cento del Pil) in un avanzo dell’1,7 per cento del Pil nel 2017. Un buon risultato. Nello stesso periodo di tempo, però, l’Eurozona, partendo da un disavanzo primario del 3,5 per cento del Pil, si è riportata a un avanzo dello 0,7 per cento. La correzione del saldo primario in Italia è stata di 2,6 punti, quella dell’eurozona di 4,2 punti.

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È guardando a questa sequenza di dati che i burocrati di Bruxelles diventano ficcanaso. Non si contentano di osservare i miglioramenti del deficit, ma si spingono a chiedere un “adeguato miglioramento delle spesa primaria netta alla luce delle previsioni autunnali della Commissione”, come hanno fatto i commissari europei Valdis Dombrovskis e Pierre Moscovici nel rispondere alla lettera di Padoan. A imporci di fare di più non è l’Europa matrigna. È l’Italia furbetta che vende più di quel che ha conseguito.

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19 commenti

  1. Savino

    Con quale coraggio dichiariamo (a chiacchiere e con disco rotto) di battere i pugni sul tavolo, con un apparato pubblico che fa acqua da tutte le parti. Non è stato preso un prevvedimento negli ultimi 3-4 anni per evitare di sprecare danari pubblici. Anzi, gli inutili bonus a pioggia hanno solo peggiorato la cosa creando nuovi rivoli.

  2. Virginio Zaffaroni

    Un illuminante contributo del prof. Daveri. di fronte al balletto di dati e autoattribuzioni di meriti, vizietto peraltro più congenito al precedente Capo del Governo che al Ministro del Tesoro. Un invito anche a giudicare con più serietà il governo Monti e le drastiche decisioni che era stato chiamato ad assumere. I confronti temporali ed orizzontali proposti nell’articolo spingono a chiederci quanto dei “buoni” risultati sia dovuto a fattori esogeni (ripresa internazionale, QE, euro debole) e (se e) quanto a scelte endogene.

  3. Michele

    In pochi hanno notato che le recenti previsioni sulla crescita del GdP di Bankitalia mostrano un declino della crescita nel 2018 e 2019 da 1,4% nel 2017 a 1,2% nel 2019. Il calo è ancora più accentuato se si guarda la mediana nelle distribuzione di probabilità delle previsioni di GDP, addirittura sotto 1% nel 2019. Segno evidente che anche Bankitalia non crede nella resa strutturale delle riforme e della capacità di rilancio dello sforzo di bilancio

  4. Maurizio Cocucci

    Lei, prof.Daveri, fa bene da ‘tecnico’ a fare queste precisazioni (chiamiamole così) alle dichiarazioni che provengono sì da un ‘tecnico’ di elevata competenza come il ministro Padoan, ma espresse in chiave politica. Il nostro ministro si trova in mezzo alle regole economiche, in questo caso di bilancio, e le posizioni politiche sia del responsabile di governo, oggi il premier Gentiloni, e sia del predecessore ed oggi a capo del maggior partito di maggioranza: Matteo Renzi. E’ sufficiente vedere l’imbarazzo di come si è trovato Padoan nel sottrarsi alle posizioni espresse da Matteo Renzi riguardo al Fiscal Compact e alla sua intenzione di chiedere alla Commissione UE di concedere all’Italia una deroga temporanea alle attuali regole di bilancio. E’ stato evidente l’imbarazzo di Padoan che da una parte non può condividere queste ‘boutade’ da parte della politica e la posizione che lo induce a difenderle in quanto membro del governo. Va rammentato che da noi il ministro non è scelto dal primo ministro incaricato, bensì nominato dal Presidente della Repubblica su proposta di costui, Padoan infatti fu voluto dall’allora Presidente Napolitano mentre Renzi aveva in mente un’altra figura di sua fiducia. Questo significa che ogni ministro dovrebbe curare il suo dicastero in maniera più indipendente e Padoan dovrebbe esprimere più chiaramente le sue posizioni. Come Schäuble in Germania, che di certo non si lascia influenzare né dalla cancelliera né tantomeno da leader di partito.

  5. Henri Schmit

    Fact checking impeccabile! Prossimo passo: che cosa hanno fatto di buono i due governi con PCD al MEF e che cosa hanno sbagliato. Plus: contratto di lavoro, alcune semplificazioni, alcuni risparmi. Minus: troppe misure spot a favore della domanda, mancanza di riforme vere (durevoli) a favore dell’investimento privato. Se questa analisi è corretta, c’è da chiedersi quale tipo di governo possa nel 2018 riprendere il corso delle riforme strutturali. Il futuro comunque si affronta più facilmente se non si raccontano (troppe) bugie (troppo fuorvianti), e qualora si raccantano lo stesso, se almeno non si credono e non si perdonano.

  6. Numeri giusti ma la domanda che pongo è: “cui prodest?” Bisognerebbe fare un confronto tra andamento debito/PIL Eurozona e Stati Uniti e poi vedere gli andamenti della crescita del PIL.

  7. enzo

    La cosa più preoccupante è che in Italia non esiste un partito che abbia nel suo programma la riduzione del debito. Le opzioni politiche si dividono su tutto ma quando si tratta di politica di bilancio sono concordi che il debito è salutare (per loro ?) e che bisogna trovare scuse con la commissione per poter continuare a fare la cosa giusta : scaricare sulle generazioni successive il costo della legittimazione politica

  8. Roberto boschi

    Caro professore, perché non dice le cose come stanno? Monti ha fatto salire il DEB/PIL di ben 6,9%, dal 116,5% al 123,4% nel solo 2012, a fronte di un misero -0,8% di DEF/PIL. Ha scatenato una recessione che ha affossato la ripresa che stavamo, faticosamente, perseguendo. lui stesso lo ha ammesso nell’intervista alla CNN (https://www.youtube.com/watch?v=A02A4Kk48nQ). Gli altri paesi che non hanno fatto politiche pro-cicliche come quelle imposte da Monti, ma hanno sostenuto la domanda con deficit pubblico mentre introducevano riforme supply side per recuperare competitività (Spagna in primis) hanno con questo impedito la distruzione, insieme alla domanda interna, di tutto il settore produttivo di industria e servizi che ne beneficiava. Il vero problema dell’Italia era il deficit di Bilancia corrente ed il debito estero che aumentava. Questo Lei lo sa, ma non lo dice.

    • Maurizio Cocucci

      Ancora con queste false accuse al governo Monti?! Qui è lei che non sa che oltre due terzi delle misure attuate durante il governo Monti furono decise da quello precedente, ovvero da Berlusconi e Tremonti. Cerchi la conferenza stampa del 12 agosto 2011 del duo citato da ben 45 mld di euro, metà corca (20 mld) con efficacia 2012 ed il resto (25 mld) nel 2013. Il governo Berluscono firmò poi la bozza del Fiscal Compact oltre al Six Pack mentre Monti non fece altro che sottoscriverlo con tanto di maggioranza parlamentare, tra cui Popolo delle Libertà oggi Forza Italia favorevole, a tal punto che per l’inclusione del pareggio di bilancio in Costituzione non fu necessario il passaggio referendario. E’ questo che ancora sfugge, il govermo può proporre ma ogni legge deve passare dal Parlamento dato che siamo per l’appunto ancora una Repubblica parlamentare e Monti all’epoca non aveva alcun partito o movimento suo, era solamente un senatore. Riguardo alle presunte politiche fiscali di altri Paesi è necessario non confondere deficit derivanti da incrementi di spesa, in particolare investimenti pubblici, e quelli quale conseguenza di calo delle entrate e aumento delle spese per il Welfare come è il caso per l’appunto della Spagna o della Francia ma anche degli stessi Stati Uniti, il cui intervento durante la presidenza Obama fu in proporzione simile a quello nella UE e rivolto più a sostegno delle istituzioni finanziarie piuttosto che a investimenti pubblici strutturali come si crede.

    • Virginio Zaffaroni

      La solita memoria corta. Nel 2011 tutti terrorizzati dallo spread a 560, il debito pubblico in esplosione da anni (leggi: berlusconi, altro che Monti!), gli italiani angosciati dal futuro dei loro BTP, delle loro pensioni, degli stipendi in forse per poliziotti, pompieri, infermieri ect. Tutti invocano: fermate l’andazzo e “FATE PRESTO” (Sole24H). Si chiama Monti a fare il lavoro sporco. Lui fa e fa presto, come chiedevano. Pare che grazie a ciò ottenga una qualche forma di sostegno BCE ai titoli di stato e, più in là, il QE. Poi arrivano gli smemorati, cittadini normali e partiti, tutti contenti di far bella figura sparando su Fornero e Monti. Loro non c’erano nel 2011, loro erano al mare.

    • francesco daveri

      Che a fine 2011, con lo spread in salita vertiginosa, stessimo “faticosamente perseguendo una ripresa” è una tesi ardita. con lo spread alle stelle la recessione sarebbe arrivata lo stesso, come succede sempre quando i tassi salgono in fretta. si può discutere del “come” si sarebbe dovuto fare (con più alte tasse oppure tagliando la spesa, ci sono opinioni diverse). ma a fine 2011 l’aggiustamento fiscale andava fatto punto e basta. Pur sapendo che sarebbe stato costoso in termini di Pil. l’alternativa era il default.

  9. Fulvio Baldin

    Molto interessante. Sono a favore di riduzione del debito, ma da profano mi chiedo e le chiedo. Visto che, come evidenziato anche nell’articolo, le politiche di austerità erano necessarie ma hanno comunque aumentato il debito, come conciliare politiche di crescita con riduzione del debito. Attraendo investimenti privati, specie esteri? Revisioni di spesa? Altra domanda: secondo lei è un errore rivedere o allentare i vincoli sull’età pensionabile a 67 anni?

  10. Enrico Motta

    Vorrei chiedere al Prof. Daveri, proprio perché lo stimo, che senso ha, per valutare l’andamento del debito pubblico, basarsi sul rapporto col PIL? Secondo me nessuno, visto che al numeratore c’è un dato della contabilità statale e al denominatore un dato della attività economica di tutto il paese, pubblico più privato. Serve forse a nascondere l’andamento del debito in valore assoluto? O permette a Padoan di dire che il debito è sotto controllo? O a mantenere le illusioni sul debito? Sarebbe invece interessante rapportare debito (e deficit) pubblico alle entrate statali.

    • francesco daveri

      Il rapporto debito-Pil è usato da tutti gli istituti che ci osservano, non è un’invenzione di Padoan. Si guarda al rapporto perché si vuole commisurare lo stock di debito con una variabile che misuri la capacità di rimborso del paese. Si potrebbe anche mettere al denominatore – come suggerisce lei – le entrate fiscali

      • Enrico Motta

        La ringrazio della risposta, ma rimango della opinione che il PIL non sia in grado di misurare la “capacità di rimborso del paese”.

  11. Paolo Bosi

    Sull’avanzo primario, a me pare più illuminante la figura 3 della lettera di Padoan, che rappresenta l’avanzo primario sul prodotto “potenziale”. Questa mostra che la politica fiscale italiana è stata molto più restrittiva degli altri paesi (esclusa Grecia).

    • francesco daveri

      Ho imparato dal governo italiano che delle misure del Pil potenziale (specie se in livelli) è meglio diffidare. Preferisco quindi guardare ai dati su variabili fiscali e Pil effettivi, per poi correggere più qualitativamente per il ciclo.

  12. Alessio Rindi

    Mi dispiace dover dissentire quasi per intero ma stavolta sono d’accordo col ministro Padoan nel dire che l’Italia ha faato uno sforzo superiore a quello degli altri paesi, Francia e Spagna in primis. E’ vero che questi paesi hanno diminuito il deficit più di noi ma è anche vero che hanno fatto ricorso a politiche anticicliche che noi invece non abbiamo fatto e adesso stanno rientrando dal defict straordinario che avevano contratto. Noi invece siamo sempre stati in avanzo primario e perciò in una situazione finanziariamente più stressante. Avevamo quindi anche meno margini di miglioramento rispetto a loro. Voglio vedere nei prossimi anni se riusciranno a raggiungere un avanzo primario, con le loro economie che attualmente stanno crescendo a deficit. La Francia addirittura pur pagando interessi irrisori sul suo debito non riesce a ridurlo.
    La germania d’altra parte è stata quella più favorita dal QE della BCE ed ha avuto vita facile a raggiungere l’attiale surplus visto che paga interessi negativi o quasi sui decennali.
    Concludo dicendo che fino al 2007, quando lo spread dell’italia era basso, al livello quasi di quello della Francia, il nostro debito diminuiva, ed è da quando si è alzato che non riusciamo più a farlo. Se avessimo lo stesso spread che hanno altri paesi (francia, olanda o irlanda ad esempio), già adesso molto probabilmente il rapprto debito/pil sarebbe in calo.

  13. bruno

    SPUNTI RIASSUNTIVI
    Creazione gratuita di 50 mlds/a per 30 anni (1500 mlds in 30 anni); riduzione certa del debito pubblico di 13 mlds/a (400 mlds in 30 a); Temporanea ulteriore riduzione del debito di 10 mlds/a (300 in 30 anni) da dare come premio ai proprietari cedenti il 10% della proprietà rapportato a 1/30° di proprietà per ogni anno; le società godranno di forte riduzione delle tasse (50 mlds in meno dopo il 5° anno); ci saranno almeno 12 mlds/a per investimenti pubblici aggiuntivi a quelli che il governo prevedrebbe senza codesta proposta; dal nono anno l’incasso dei 50 mlds/a risulteranno aggiuntivi subentrando ai 50 iniziali anno per anno (i 400 in circolazione manterranno gratis tale ritmo di autofinanziamento gratuito e quel che avanza/viene in più sarà manna); avremo piun paese più sicuro e nuovi cittadini più acculturati e civili di oggi.
    Bisognerà prevedere un coinvolgimento della triplice per un accordo salariale in aumento con dati certi (c’ parecchio grasso per gente che ha sofferto molto in tutti questi anni, ricordiamocelo) per almeno i primi 10 anni aggiornabili ogni 2 anni o in caso di particolari emergenze gravi. Deve apparire chiaro il vantaggio di chi lavora (qualunque lavoro) nei confronti di chi non lavor

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