La crisi catalana ha già prodotto conseguenze. Nella società si sono polarizzate le posizioni tra chi è favorevole all’indipendenza o all’unità nazionale. Intanto l’incertezza politica nuoce all’economia. Tornare alla normalità non sarà facile.
Un mese dopo il referendum
La crisi catalana continua ad avvitarsi. Dopo il referendum del 1° ottobre, il 27 ottobre è arrivata la dichiarazione unilaterale di indipendenza. Il governo spagnolo ha risposto con l’attivazione dell’articolo 155 della costituzione, la conseguente destituzione del governo regionale catalano e la convocazione di nuove elezioni regionali per il 21 dicembre, a cui hanno annunciato la partecipazione anche i partiti indipendentisti. Nel frattempo le funzioni di presidente del governo regionale sono svolte dalla vicepresidente del governo nazionale, mentre le funzioni dei vari assessorati regionali sono state assunte direttamente dai corrispondenti ministeri nazionali.
Dall’inizio ufficiale della crisi è dunque passato poco più di un mese, ma se ne vedono già alcune conseguenze, sociali ed economiche.
L’aumento della “militanza”
Fino a ottobre si parlava dell’esistenza di una “maggioranza silenziosa” in Catalogna: i contrari alla secessione. Maggioranza perché alle ultime elezioni regionali del 2015 i partiti non secessionisti avevano ottenuto intorno al 52 per cento dei voti anche se erano in minoranza in termini di seggi. Silenziosa perché, a differenza dei secessionisti, non aveva l’abitudine di manifestare in pubblico. Ora la situazione è cambiata. Già in risposta al referendum del 1° ottobre, l’8 ottobre si è celebrata a Barcellona una prima manifestazione popolare a favore dell’unità con la Spagna e contro la secessione. In risposta alla Dichiarazione unilaterale di indipendenza, domenica 29 ottobre si è svolta un’altra manifestazione, sempre nelle strade di Barcellona, ancora una volta a favore dell’unità nazionale e contro la secessione. In entrambi i casi c’è stato il classico gioco delle cifre sull’effettiva partecipazione (secondo le fonti si oscilla tra i 300mila e un milione di persone), in ogni caso è chiaro che i partecipanti erano migliaia e non decine o centinaia. Quindi adesso in Catalogna, se è necessario, manifestano in strada anche gli unionisti e non solo i secessionisti.
Il resto del paese non è stato a guardare. Manifestazioni a favore dell’unita della Spagna si sono verificate in varie città spagnole. Chiunque visiti Madrid in questi giorni vedrà molte finestre e balconi adornati con la bandiera spagnola. Lo stesso accade in altre città spagnole.
Riassumendo, in Catalogna, ma anche nel resto della Spagna, in questo momento è più difficile mediare, stare nel mezzo, non schierarsi.
La fine del “miracolo” catalano?
Durante il mese di ottobre circa 1.800 imprese hanno spostato la loro sede legale dalla Catalogna a un’altra regione spagnola. Lo hanno fatto le due più grandi banche catalane (Caixabank e Banco Sabadell) che sono state seguite da altre imprese altrettanto importanti come Abertis, Cellnex e Colonial. Nell’indice di borsa che raggruppa le imprese quotate più rilevanti di Spagna (IBEX 35) ne è rimasta una sola con sede in Catalogna (Grifols). Per il momento, la fuga ha effetti solo “legali”. Non si sono verificati spostamenti significativi di personale o di strutture produttive. Però c’è molta incertezza sul futuro. Se la situazione si normalizza, le imprese riporteranno la loro sede in Catalogna? L’esempio del Quebec sembra dimostrare che non è ovvio. La fuga di imprese che si verificò nella regione canadese negli anni Ottanta e Novanta in seguito ai due referendum sull’indipendenza non si è mai invertita del tutto, anche se in entrambe le consultazioni il secessionismo fu sconfitto.
Più in generale, in Catalogna si è aperto un periodo di incertezza sul futuro della regione e non è facile prevedere se e quando si risolverà. L’incertezza sta già producendo effetti economici negativi. Due esempi: le prenotazioni dei voli per la Catalogna sono scese del 22 per cento nel mese di ottobre; nel secondo trimestre del 2017 l’investimento estero verso la regione è stato del 10 per cento più basso rispetto al secondo trimestre del 2016, mentre nel resto della Spagna si è registrata una crescita del 13 per cento. Più in generale si prevede che gli eventi che si sono prodotti in Catalogna possano aumentare il rapporto deficit/Pil dello stato spagnolo di almeno due punti percentuali e ridurre la crescita dell’economia spagnola.
Le ferite aperte in Catalogna nel mese di ottobre sono profonde. Non è facile prevedere quanto tempo ci vorrà per curarle e per recuperare la normalità perduta.
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Luca Ba
La ricerca di indipendenza è stata un colpo di testa emotivo fatta da un gruppo di politici mediocri non all’altezza della situazione. non hanno assolutamente pensato a come gestire un’eventuale fase successiva, i rapporti con la Spagna con l’Europa e con il resto del mondo. Hanno cercato di dipingere la Spagna come un regime oppressivo senza però dire in che modo. Insomma è stata solo una caciaronata in stile italiano che per fortuna non ha portato a conseguenze di violenza.
Bruno
Uscire dalla Spagna comporta cambiamenti economici e sociali negativi, fatti che riguardano non solo i giocatori della partita ; il riflesso nei cuori nelle menti delle persone che abitano e vivono le piccole patria presenti in Europa può generare un impulsi di pancia e aspettative dagli esiti poco prevedibile, ma forse il problema centrale è sempre lo stesso:i politici e i cittadini “europei” e lo spazio mentale e gli interessi spesso divertenti tra queste due categoria
Marco Spampinato
L’economia è scienza di qualche valore – con i suoi limiti – o passepartout per parlare di tutto rivestendolo/si di una “patina” di autorevolezza? La risposta per me è la prima: le scienze sociali e umane non sono solo “scrittura on line”. Molti praticanti mi sembra preferiscano la seconda risposta, evidentemente più remunerativa (su qualche piano).
Nell’articolo mancano DOMANDE/RISPOSTE elementari. 1ma DOMANDA: quanti gg. ci vogliono a spostare la sede legale di una società multisede tra regioni dello stesso Paese? Penso sia pratica relativamente “facile” che non dice nulla – l’autore stesso lo fa notare -, sulla localizzazione delle attività. 2nda DOMANDA: perchè una società sposta la sua sede, in pochi giorni, come conseguenza di un Referendum come quello in Catalogna? Quale incertezza/eventi teme? A caldo, me ne vengono in mente due: maggiori costi amministrativi (es. rifare carta intestata) e aspettative di maggiori tasse (la Catalogna non promette paradisi fiscali). Se nessuno di questi (o altri) motivi fosse avvertito, allora i motivi potrebbero essere politici: una grande società sposta la sede legale come arma di ricatto contro gli autonomisti/indipendentisti catalani. Altro? In ogni caso, gli IDE non sembrano indicatore di “ulteriori problemi economici” bensì lettura finanziaria dell’informazione sugli spostamenti di sede. Idem per i viaggi aerei, salvo distinguere viaggi di turismo e affari, etc. Obiettività e rigore scientifico non prendono parte.
Henri Schmit
Articolo condivisibile in quanto descrittivo e in apparenza neutro. In realtà condanna – giustamente – l’indipendenza come dannosa. Perché allora la parte ragionevole degli “indipendentisti” (sono fra il 40 e il 55% della popolazione locale, a seconda della definizione dell’obiettivo e della contingenza degli eventi) la richiede? Sotto il dibattito di superfice (pretesa d’indipendenza repubblicana, voto irregolare ostacolato e contestato, supremazia formale della costituzione, applicazione articolo 155, elezioni, situazione giuridica dei governanti locali) si nasconde un vero problema della giovane democrazia spagnola: istituzioni fragili, governo di minoranza, ingovernabilità, frammentazione dell’offerta politica, cleavage secolare fra destra già franchista ora popolare e monarchica, spesso collusa con poteri oscuri e corruzione, sinistra tradizionale senza proposta, numerosi gruppi di protesta in disaccordo fra di loro. Questa situazione ha portata al muro (sfida, richieste eccessive) contro muro (formalismo, durezza, arroganza). Oramai solo un potere esterno può disinnescare la bomba ad orologeria. Dietro le quinte tanti ci provano. Le parole più sagge sono state pronunciate dai politici belgi, pardon: fiamminghi e valloni (che sanno di cosa parlano). L’Italia farebbe bene guardare al caso come una lezione per le proprie istituzioni. Nuova legge elettorale, frammentazione politica, populismi, bicameralismo, regioni scatenate contro il potere centrale, ci siamo quasi.
Volty De Qua
Trovo che parlare di “maggioranza silenziosa” unitaria sia mistificatorio. Sono contro l’indipendenza soltanto coloro che votano per l’indipendenza. Alle ultime regionali, del 2015, non si era votato pro o contro l’indipendenza, bensì per eleggere i rappresentanti regionali. Quelli che avevano votato per i partiti indipendentisti certamente votavano per una autonomia spinta o per l’indipendenza, ma quelli che avevano votato per gli altri partiti non necessariamente avevano votato contro l’indipendenza. In democrazia vige il principio per cui chi tace acconsente.
Comunque sia alle ultime manifestazioni in favore della unità c’erano circa 350.000 partecipanti, mentre alle manifestazioni per l’indipendenza erano oltre un milione di partecipanti. Queste cifre sono state confermate da fonti ufficiali, nonché dalle varie testate in giro per il mondo. Detto questo, pare strano che la supposta “maggioranza silenziosa” unitaria si sia fermata a questa cifra, soprattutto se consideriamo la posta in gioco, la chiamata della patria per dimostrare all’intero mondo che gli indipendentisti sarebbero una minoranza.
Ci si può schierare invece benissimo. Ci si può schierare per una nuova costituzione che codifica, in modo esplicito. il riconoscimento ed il rispetto reciproco, che quindi non lascia spazio per i giochetti interpretativi di parte (nazional-politica) della carta costituzionale. La attuale crisi è dovuta, appunto, ai trucchetti interpretativi dei partiti di Madrid.
Marco Spampinato
Certo che ci si può schierare, ma gli argomenti non sono tutti uguali. Conta anche come sono costruiti. Ad esempio, sono d’accordo che contare persino i non votanti per costruire una ipotetica maggioranza contro autonomisti e indipendentisti sia una mistificazione. Tanto maggiore è la posta in gioco in una democrazia, tanto più l’onestà intellettuale di tutti (partecipanti e osservatori “esterni”) conta. Un accademico può avere tutte le sue legittime opinioni. Quando usa il suo mestiere/ruolo, tuttavia, anche quello entra in gioco nell’influenzare il dibattito pubblico. Il modo con cui costruisce il suo argomento diventa criticabile anche “in sé” (lo è per tutti ovviamente, ma i ruoli contano). Spero di spiegarmi, laddove quel suo <> finale possa essere inteso come implicita risposta alla mia frase troppo sintetica <>. In ogni caso mi sembrava corretto chiarire il punto, anche storicamente legato proprio alla Catalogna. Nel bellissimo “Omaggio alla Catalogna” di George Orwell la mistificazione dell’informazione messa in opera da più parti – sopratutto dalla stampa internazionale, britannica iclusa- è argomento centrale del libro. Anche il termine inglese Homage mi sembra contenga un senso di rispetto che Orwell – che fu diretto e certo appassionato protagonista degli eventi – potrebbe avere scelto con oculatezza, andando anche un po’ oltre i fatti, le opinioni e le interpretazioni espresse nel testo.
Volty De Qua
Trovo che parlare di “maggioranza silenziosa” unitaria sia mistificatorio. Sono contro l’indipendenza soltanto coloro che votano contro l’indipendenza. Alle ultime regionali, del 2015, non si era votato pro o contro l’indipendenza, bensì per eleggere i rappresentanti regionali. Quelli che avevano votato per i partiti indipendentisti certamente votavano per una autonomia spinta o per l’indipendenza, ma quelli che avevano votato per gli altri partiti non avevano votato contro l’indipendenza. In democrazia vige il principio per cui chi tace acconsente. Comunque sia alle ultime manifestazioni in favore della unità c’erano circa 350.000 partecipanti, mentre alle manifestazioni per l’indipendenza erano oltre un milione. Queste cifre sono state confermate da fonti ufficiali, nonché dalle varie testate in giro per il mondo. Detto questo, pare strano che la supposta “maggioranza silenziosa” unitaria si sia fermata a questa cifra, soprattutto se consideriamo la posta in gioco, nonché la chiamata della patria per dimostrare all’intero mondo che gli indipendentisti sarebbero una minoranza. Ci si può schierare invece benissimo. Ci si può schierare per una nuova costituzione che codifichi, in modo esplicito. il riconoscimento ed il rispetto reciproco, che quindi non lasci spazio ad interpetazioni.
Henri Schmit
Segnalo un articolo pubblicato il 3 novembre su The Guardian: https://www.theguardian.com/commentisfree/2017/nov/03/catalonia-spain-basque-breton-bavaria-europe. Ecco il passaggio con la conclusione dell’autore: “It is hopeless to seek recourse from these woes (l’antagonismo fra potere dello stato nazionale e pretese di autonomia) in statute books and legal niceties. Self-determination has been the essence of Europe’s stability since Woodrow Wilson’s 14-point programme for Europe’s future in 1917. How such determination is defined may be moot: what of the self-determination of Spaniards against that of Catalans? But it is in Europe’s interest to seek that definition, to formulate protocols whereby separatism can be resolved into grades of autonomy. European statehood has long been a “vale of tiers’”. Since the EU itself is inherently centralist, it makes sense for the Council of Europe, the 47-nation organisation which deals with democracy and human rights across the European continent, to undertake such a task, urgently. The EU has worked itself into a political straitjacket, such that few of its member nations would dare hold a referendum on continued membership. This cannot be healthy for the EU or for Europe. The rising tide of identity politics is now the greatest threat to Europe’s free development. Catalonia is not a little local difficulty. It is an awful warning.” Condivido. Ma ad ogni stato nazionale spetta fare la propria parte.