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L’Argentina di Milei: bilancio di dieci mesi di presidenza

Con la presidenza Milei, l’Argentina ha intrapreso un faticoso percorso di stabilizzazione economica. Il rallentamento dell’inflazione e la sostanziale tenuta dell’attività economica sono segnali incoraggianti, ma rimangono le fragilità strutturali.

Dieci mesi di presidenza Milei

Javier Milei ha assunto la carica di presidente dell’Argentina nel dicembre 2023. Nei suoi primi dieci mesi di governo è riuscito a rallentare la corsa dell’inflazione, raggiungere il pareggio di bilancio e stabilizzare il mercato valutario. Il rischio paese diminuisce, benché rimanga ancora molto elevato: Buenos Aires deve infatti ancora risolvere numerose fragilità strutturali, affrontare la crisi sociale e rilanciare l’economia.

A settembre, il tasso di inflazione ha raggiunto il 3,5 per cento, su base mensile. Un dato che sarebbe allarmante in altre economie, ma per l’Argentina rappresenta il livello più basso degli ultimi tre anni. Annualizzando i dati degli ultimi quattro mesi, l’inflazione si attesta ora al 61 per cento: un netto miglioramento rispetto agli ultimi quattro mesi del governo precedente, che aveva lasciato un tasso d’inflazione medio annuo pari al 270 per cento, a cui bisognava aggiungere un’inflazione latente dovuta ai controlli sui prezzi, alle restrizioni sulle importazioni e agli effetti di un tasso di cambio artificialmente sopravvalutato.

Appena insediato, Milei ha liberalizzato l’economia e, prendendo atto della tensione sul mercato valutario, ha svalutato il peso del 45 per cento generando così un’inflazione del 25 per cento solo nel mese di dicembre. Da quel momento in poi il governo ha deciso di svalutare il valore ufficiale del peso argentino a un ritmo mensile del 2 per cento.

Primo obiettivo: sconfiggere l’inflazione

Per via dei controlli di capitale, l’Argentina convive ancora con un tasso di cambio ufficiale e uno non ufficiale, il “blue” che riflette la sfiducia di mercati e cittadini. La differenza tra i due tassi si attesta adesso attorno al 20 per cento, mentre negli ultimi mesi del governo precedente superava il 100 per cento.

Sembrava che Milei volesse unificare subito i tassi, ma la decisione è stata rimandata. Riallineare immediatamente il tasso ufficiale al “blue” provocherebbe un picco inflazionistico simile a quello di dicembre 2023 e il governo preferisce invece ridurre gradualmente il divario, per meglio gestire l’impatto sull’inflazione.

La politica economica del governo è infatti interamente orientata alla lotta contro l’inflazione, il male cronico dell’Argentina. Poco importa se ciò richiede di mantenere un doppio mercato dei cambi che scoraggia gli investimenti esteri, o se porta a una contrazione dell’attività economica o a tagliare drasticamente la spesa pubblica: Milei ritiene che il suo mandato sarà giudicato dall’andamento del tasso d’inflazione.

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Si spiega così la scelta pragmatica di preferire una limitazione della circolazione di capitali e una recessione a un ulteriore deprezzamento del tasso di cambio che stimolerebbe l’economia ma importerebbe ulteriore inflazione. La scommessa di Milei è che gli argentini siano disposti a sopportare una recessione pur di liberarsi dell’endemica inflazione che, da anni, affligge l’economia e grava sulle classi sociali più deboli. La stabilità sociale si raggiungerebbe, in poche parole, attraverso la sconfitta dell’inflazione. La libera circolazione dei capitali, l’unificazione del tasso di cambio, le riforme e la ripresa dell’economia verranno dopo.

Perché il pareggio di bilancio a ogni costo

Si spiega così anche l’ossessione di Milei di raggiungere il pareggio di bilancio in un solo anno, riducendo drasticamente la spesa pubblica. Storicamente, l’Argentina ha finanziato il proprio deficit con l’emissione monetaria perché da anni le è impedito l’accesso ai mercati finanziari, visti i numerosi default del passato. Eliminare il disavanzo pubblico e, quindi, il finanziamento monetario è cruciale per contenere l’inflazione.

La riduzione del deficit è stata ottenuta attraverso un aumento della tassazione, in particolare con il ritorno dell’imposta sul reddito eliminata a fini elettorali durante gli ultimi mesi di gestione dell’ex presidente Alberto Fernandez, e attraverso una contrazione del 30 per cento in termini reali della spesa pubblica. Tra le voci che hanno subito i tagli più forti figurano i trasferimenti alle province (-70 per cento) e gli investimenti pubblici (-80 per cento). Ma viene ridotta anche la spesa sociale per prestazioni sociali (-17 per cento), pensioni (-21 per cento) e trasferimenti alle università (-33 per cento).

Nelle ultime settimane il presidente ha posto il veto a due tentativi del parlamento di aumentare la spesa per pensioni e per l’università.. Per Milei, qualsiasi concessione di spesa in disavanzo potrebbe innescare un effetto domino che comprometterebbe il pareggio di bilancio, il totem della politica economica. Non a caso il primo articolo della legge di bilancio 2025 stabilisce che il settore pubblico dovrà ottenere un risultato finanziario in pareggio o in surplus. Per una eventuale riduzione delle entrate, le spese dovranno essere diminuite nella stessa proporzione.

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Nonostante i drastici tagli, i primi mesi di governo sono stati caratterizzati da un ampio sostegno popolare, oltre il 45 per cento. È un appoggio cruciale per un governo che non dispone di una maggioranza parlamentare. Finora Milei ha rappresentato, a torto o a ragione, l’illusione che l’economia possa tornare a crescere dopo un decennio di stagflazione. Nei primi mesi della sua gestione si è registrata un’inevitabile caduta del Pil, ma l’indice destagionalizzato dell’attività economica di luglio è già tornato in linea con il dato di dicembre. Secondo la banca mondiale, il 2024 registrerà una caduta del Pil del 3,5 per cento e una crescita del 5 per cento nel 2025.

Il rallentamento dell’inflazione e la tenuta dell’attività economica hanno fatto scendere il rischio paese attorno ai 1100 punti. Un livello ancora alto che rende proibitivo il finanziamento sui mercati. Ma se la tendenza ribassista dovesse confermarsi, l’Argentina potrebbe tornare presto a finanziare un eventuale deficit attraverso l’emissione di debito, Milei permettendo.

A quasi un anno dall’inizio della presidenza Milei, l’Argentina ha intrapreso un doloroso ma necessario percorso di stabilizzazione economica. Il rallentamento dell’inflazione e la sostanziale tenuta dell’attività economica sono segnali incoraggianti, ma rimangono le fragilità strutturali e un cronico tasso di povertà salito al 52 per cento. Tuttavia, è difficile attribuire a Milei la responsabilità delle attuali difficoltà economiche del paese. La causa dei mali per l’Argentina risiede in anni di politiche fiscali e monetarie insostenibili, terminati con un decennio di stagflazione. Invertire la rotta non è un processo né facile né immediato.

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Una manovra ben poco strutturale

  1. Enrico

    Il “miracolo” argentino somiglia molto a quello dei Chicago Boys di Videla e di Pinochet e anche di Thatcher e Reagan. Anche in quei casi lo smantellamento di un welfare inefficiente purtroppo avvenne con un forte consenso popolare. Lasciare che i soggetti più fragili si “arrangino” è una ricetta facile, soprattutto se gli extra profitti delle imprese che forniscono istruzione, sanità e sicurezza sono reinvestiti all’interno del paese (in sud america anche per mancanza di un accesso ai mercati internazionali). Un mercato del lavoro selvaggio crea ulteriori extra profitti che alimentano la crescita. Il problema è che questi meccanismi non possono durare a lungo. Appena si riapriranno i mercati finanziari i profitti fuggiranno dal paese, come al solito, e la situazione tornerà drammatica.

    • Antonio Fanelli

      Il problema chiave in Argentina e’ la radicata mancanza di fiducia della popolazione nel moneta nazionale, nelle banche e nel governo, conseguenza delle distorte politiche economiche perseguite da decenni. Questo ha determinato che il risparmio delle famiglie e delle imprese venisse immediatamente convertito in dollari o tenuto all’estero, ma non depositato nelle banche argentine.
      Questo fa si che deficit di balancio tutto sommato non straordinari (intorno al 3-4 per cento del PIL) siano insostenibili e siano stati coperti fino alle ultime elezioni con l’espansione della massa monetaria (che ha prodotto un crescente inflazione e ulteriore perdita di fiducia) e con l’indebitamento estero (con le ricorrenti crisi di insolvenza).
      L’attuale politica di Milei riduce l’inflazione con alti costi e conflitti sociali, ma poiche’ é molto conflittuale rischia di non ottenere risultati significativi in termini di ritorno di fiducia nella moneta e nelle istituzioni.
      Dopo la prima fase di riduzione drastica del deficit di bilancio e dell’inflazione, sarebbe opportuno introdurre politiche basate su un piu’ largo consenso mirate a una ripresa della crescita economica.

      • Ciò che ha fatto Milei in Argentini, in termini macroeconomici, non ha eguali al mondo. Il cammino intrapreso verso l’abolizione della Banca centrale è ancora più entusiasmante. Già a fine 2025 potremo toccare con mano i primi risultati del sui programma e renderci conto se l’Argentina diverrà il cigno nero che sarà da esempio per il mondo occidentale che non vuole cadere nel baratro dell’agenda 2030.

        • L22

          Non so se arrivano a dicembre 2025. Anche il grafico dell’attività economica mostra un minimo simile a quelli dei precedenti governi degli ultimi 10 anni.

          Se non crescono più del passato non ci sarà nessun miglioramento.

          L’austerità modello Ceausescu non porta da nessuna parte.

  2. AndreaCostou

    si, come no. Credici.

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