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Pensioni: il nodo della flessibilità

Il superamento di “quota 102” deve essere l’occasione per rimediare alle inaccettabili disparità che discriminano i lavoratori entrati in assicurazione entro il 1995 da quelli entrati dopo. A tutti occorre garantire la stessa flessibilità in uscita.

“Misti” e “puri”: disparità inaccettabili

La riforma Fornero lasciò disparità fra i “contributivi puri”, che hanno cominciato a lavorare dopo il 1995, e i “misti” che hanno cominciato entro tale anno. Infatti, consentì ai puri di:

  • andare in pensione fra 64 e 67 anni, purché possano vantare un’anzianità contributiva di almeno 20 e abbiano maturato una pensione non inferiore alla soglia di 2,8 volte l’assegno sociale che si riduce a 1,5 volte quando sono compiuti 67 anni;
  • proseguire l’attività lavorativa oltre tale fascia d’età se in difetto di almeno uno dei due menzionati requisiti “accessori”;
  • a 71 anni, maturare comunque il diritto alla pensione purché sia vantata un’anzianità di soli 5.

Ai misti fu negata ogni forma di flessibilità imponendo loro di andare in pensione a 67 anni a condizione di poterne vantare almeno 20 d’anzianità.

Ecco tre esempi clamorosi.

Avendo cominciato a lavorare il 1° gennaio 1996, a 64 anni Tizio può andare in pensione se ha maturato i requisiti accessori. Come spiegare a Caio che, pur avendo maturato quei requisiti, deve aspettare fino a 67 anni sol perché ha cominciato a lavorare il giorno prima?

Avendo cominciato a lavorare il 1° gennaio 1996, a 67 anni Sempronio non può andare in pensione se non ha contribuito per 20 anni. Tuttavia, può proseguire l’attività lavorativa e, in extremis, ottenere la pensione a 71 anni purché abbia contribuito per 5. Come spiegare a Mevio che, a parità d’età e anzianità, deve rinunciare alla pensione sol perché ha cominciato a lavorare il giorno prima?

Non sempre il confronto è a favore dei puri. Avendo cominciato a lavorare il 31 dicembre 1995, dopo aver contribuito per 20 anni, a 67 Calpurnio ha diritto alla pensione anche se inferiore a 1,5 volte l’assegno sociale. Come spiegare a Filano che, a parità d’età e anzianità, non ha lo stesso diritto sol perché ha cominciato a lavorare il giorno dopo?

Quota 102: le ipotesi in campo

A distanza di otto anni dalla Fornero, è intervenuta la “sperimentazione” di “quota 100” nel 2020‑2021, seguita da “quota 102” nel 2022. Ai misti con 38 anni d’anzianità, entrambe le quote consentono di anticipare il pensionamento: la prima fino a 62 anni e la seconda fino a 64. A breve il governo Draghi avrebbe dovuto definire forme di flessibilità in uscita non più sperimentali.

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Le principali ipotesi in campo sono due. Entrambe consentono ai misti di anticipare il pensionamento fino a 64 anni purché possano vantare un’anzianità di almeno 35 e abbiano maturato una pensione almeno uguale a 2,2 volte l’assegno sociale. In realtà, il requisito “economico” appare pleonastico, essendo il suo contrario scarsamente compatibile col requisito contributivo di 35 anni. È tuttavia apprezzabile la sua estensione ai puri in sostituzione dell’attuale (2,8 volte).

Entrambe le ipotesi prevedono interventi sulla componente retributiva della pensione. L’ipotesi più “severa” ne contempla addirittura la scomparsa, cioè il ricalcolo contributivo. L’ipotesi più “mite” prevede di moltiplicarla per un “correttore attuariale” che coinvolge i coefficienti di trasformazione devoluti al calcolo della componente contributiva. Infatti, il correttore è ottenuto dividendo per il coefficiente dei 67 anni quello della (minore) età alla quale si vuole anticipare il pensionamento. Poiché il coefficiente decresce con l’età, così fa il correttore che, in tal modo, “punisce” maggiormente chi vuole andare in pensione prima.

Una variante dell’ipotesi mite quantifica il correttore nella misura forfettaria del 3 per cento per ogni anno di anticipo. Il recente Rapporto Inps 2021 fa notare che, a conti fatti, il correttore forfettario equivale a quello fondato sui coefficienti di trasformazione. Tuttavia, quest’ultimo resta preferibile perché l’equivalenza potrebbe venir meno in futuro, man mano che i coefficienti saranno aggiornati secondo l’evoluzione della mortalità.

Il Rapporto indica i costi annui delle due ipotesi fino al 2035 benché nel lungo periodo seguano risparmi di spesa. I risparmi compensano i costi nel caso della proposta mite, mentre li superano nel caso di quella severa. Infatti, la correzione attuariale abbatte la componente retributiva quanto basta a bilanciarne la maggior durata dovuta all’anticipo, mentre il ricalcolo contributivo la abbatte di più.

Infine, il Rapporto menziona la terza via già proposta dall’Inps nel 2020, che consente una sorta di pre‑pensionamento parziale. Più esattamente, consente di anticipare la sola componente contributiva della pensione, mentre quella retributiva continua a spettare a 67 anni.

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Il contrasto alle disparità

Le due ipotesi sopra riassunte contrastano le disparità fra misti e puri. Infatti, consentono a tutti di andare in pensione nella stessa fascia d’età a condizione che sia soddisfatto lo stesso requisito economico. Tuttavia, i requisiti contributivi sono diversi e restano in vita le altre disparità della legge Fornero.

Il requisito contributivo di 35 anni per i misti, contrapposto a uno di 20 per i puri, è motivato dall’esigenza di contenere la spesa nel medio termine. Tuttavia, il costo di estendere a tutti il requisito di 20 anni sarebbe limitato dal requisito economico perché contribuzioni comprese fra 20 e 35 anni difficilmente consentono di raggiungere 2,2 volte l’assegno sociale. Senza contare che, nel lungo periodo, l’estensione sarebbe gratuita nell’ipotesi mite, mentre consentirebbe perfino un ulteriore risparmio netto nell’ipotesi severa.

La pensione d’anzianità

Le ipotesi in campo non sfiorano la pensione d’anzianità, un istituto tipicamente italiano che riduce l’età media di pensionamento a valori tra i più bassi in Europa. È diffusa l’idea che diventerà “innocua” quando il sistema contributivo andrà a regime perché la sua superiore durata sarà compensata da coefficienti di trasformazione inferiori. In realtà, la compensazione potrà essere solo parziale per le ragioni, non banali, accennate qui. Già spina nel fianco del sistema retributivo, la pensione d’anzianità resterà quindi tale per quello contributivo. Salvo che sia mutuato il sapiente meccanismo – qui spiegato – che il sistema contributivo svedese ha escogitato per anticipare il pensionamento senza costi.

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  1. Gianfranco

    Salve, nonostante l’età me lo consentisse (nato il 1957) nel 2019 e 2020 non avevo i contributi per accedere alla quota 100. Nel 2021 con 64 anni d’età e 36,5 di contributi (SOMMA 100) ancora non rispettavo i requisiti. Nel 2022 a 65 anni con 37,5 anni di contributi (SOMMA 102) non rientro nella quota 102 per 6 mesi. Nel 2023 finalmente supero i 38 anni di versamenti e raggiungo così “Quota 104” ma sembra che neanche riesca a rispettare i requisiti e dovrò aspettare i 67 anni e andare in pensione con chi ha versato solo 20 anni e nel frattempo lavoratori con 9, 8, 7 ….. anni d’età meno di me hanno utilizzato una delle vie d’uscita che le normative consentono. Buon lavoro.

  2. Chiara

    Ho iniziato a lavorare stabilmente nel 1998 e ho immediatamente riscattato la laurea (conseguita interamente prima del 1995) con il risultato che non solo non potrò anticipare la mia data di pensionamento a 60 anni (era quello il pensiero all’epoca, ma visti i problemi del nostro sistema pensionistico, mi va pure bene che siano state cambiate le carte in tavola, nulla quaestio), ma non posso nemmeno usufruire del canale anticipato di tre anni perchè risulterei essere un misto solo per i contributi di riscatto laurea. Quindi aspetterò i miei quasi 68 anni per poter andare in pensione (e prima del 1998 mi sono ammazzata di studio, con qualche lavoretto e stage). Con il senno di poi, gli svariati milioni di lire che ho speso per il riscatto li avrei certamente investiti altrove.

  3. Paolo BIDOLI

    Io sono come Chiara del commento precedente. Sarei un puro contributivo in quanto ho iniziato a lavorare come dipendente con contributi pagati dal 1998 (nei tre anni precedenti di tirocinio professionale non ho potuto versare contributi).
    Peccato che lo scorso anno ho avuto la pessima idea di riscattare (gratuitamente) il servizio militare svolto nel 92-93, quindi prima del 1996.
    Quindi sono diventato misto mio malgrado.
    A seguito del riscatto l’INPS, nel sito in cui si effettua la simulazione, non mi propone più la pensione a 64 anni…ma solo a 68!!!!

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