Una quota consistente delle importazioni europee di gas naturale russo transita per l’Ucraina e l’inasprirsi delle tensioni tra Kiev e Mosca fa temere la sospensione delle forniture. Tuttavia la possibilità che l’Europa si trovi senza gas è molto lontana.
LA SITUAZIONE ATTUALE
Il gas naturale russo contribuisce, nel complesso, per poco meno di un terzo del totale delle importazioni europee. La metà del metano russo, circa 80 miliardi di metri cubi annui, transita per l’Ucraina (il 15 per cento del consumo europeo) (1). Non siamo però tutti sulla medesima barca, alimentata a gas russo/ucraino: l’Italia è al timone delle importazioni (25 miliardi di metri cubi nel 2013), seguita da Turchia (13 miliardi) e Germania (12 miliardi). Molti Paesi possono comunque contare sulla produzione interna (2) o su altre fonti di approvvigionamento: gas dalla Norvegia e dal Nordafrica, il Gnl (Gas naturale liquido) e lo stesso gas russo che transita via altri gasdotti (v. cartina). La capacità massima di questi ultimi (134 miliardi di metri cubi) non sarebbe sufficiente a coprire l’intero fabbisogno europeo di gas russo per l’anno in corso, stimato dalla russa Gazprom in 150 miliardi di metri cubi.
Mai, anche in piena guerra fredda (3), l’Urss ha messo in dubbio il suo ruolo di fornitore affidabile per l’Europa. Del resto, oggi, almeno nel breve periodo, il gas russo non ha altri sbocchi significativi per la propria produzione di gas naturale. I proventi del gas naturale (e del petrolio) aiutano non poco l’economia russa e non c’è ragione per cui debbano essere messi in predicato.
Se dunque può essere esclusa un’interruzione generalizzata dei flussi russi, merita più attenzione un possibile blocco dei flussi dall’Ucraina. Una simile circostanza si è già verificata, da ultimo nella notte tra il 6 e 7 gennaio 2009, protraendosi per meno di una settimana (4). I motivi scatenanti di tale crisi – aumento di prezzo e debiti pregressi – potrebbero riproporsi oggi (5). Questa volta tuttavia gli aspetti e le complicatezze (geo)politici sono maggiori e, purtroppo, non è il gas l’“arma” che bisogna temere. Il fatto stesso che non sia stata utilizzata finora, quando l’impatto sarebbe stato maggiore grazie al ‘Generale Inverno’, fa dubitare sul suo ricorso in clima primaverile. Va inoltre considerato che la Crimea dipende dall’Ucraina per il 65 per cento dei suoi consumi di gas e per l’80 per cento di quelli elettrici e idrici.
IL RISCHIO DI UN BLOCCO UCRAINO
Ma cosa comporterebbe un’interruzione continuata, per quanto non prolungata, dei flussi che transitano dall’Ucraina?
Il grafico mostra le fonti di import di gas naturale che, assieme alla produzione nazionale, soddisfano la domanda dei paesi europei (inclusi i paesi extra-UE).
Mostra inoltre la capacità delle infrastrutture e la quantità di capacità inutilizzata. Buona parte di tale capacità può essere chiamata in causa per fronteggiare una temporanea estromissione del corridoio ucraino dalle importazioni. Con i tepori estivi alle porte, è lecito aspettarsi che i gasdotti, la cui capacità è difficilmente impegnata per intero, saranno ancor più lontani dalla saturazione. Similmente, i rigassificatori sono ben lontani dall’operare a pieno regime e potrebbero attivarsi per accogliere una quantità maggiore di Gnl.
Tutte le previsioni escludono un incremento sostanziale del consumo di gas naturale in Europa nei prossimi anni. Nei prossimi mesi non ci dovrebbero essere particolari problemi a soddisfare la domanda di gas, dovendo al più sacrificare una quota della capacità di recupero degli stoccaggi, con possibili effetti negativi in inverno, specie nel caso in cui si dovesse rivelare freddo e lungo. I problemi di copertura delle punte giornaliere, che abbiamo affrontato anche in occasione dell’emergenza gas di febbraio 2012, danno proprio alla stoccaggio un ruolo cruciale.
È anche il caso di ricordare che proprio a marzo del 2012 è stato adottato il Gas Target Model (Gtm) da parte dello European Gas Regulatory Forum (6), con cui sono state definite le azioni da compiere per arrivare a un mercato unico europeo, favorendo il buon funzionamento dei mercati all’ingrosso e la realizzazione di investimenti adeguati, specie nell’interconnessione per garantire un mercato efficiente. Di questi interventi è dunque lecito attendersi una decisa accelerazione (ma il completamento richiederà tempo).
QUALI CONSEGUENZE PER L’EUROPA?
La questione, infatti, oggi resta di non semplice risoluzione e presenta risvolti logistici ed economici non irrilevanti. Innanzitutto si presenterebbe il problema del trasporto intraeuropeo di gas: la rete presenta ancora numerose strozzature e non è sufficientemente integrata per fronteggiare uno stravolgimento delle direttrici di importazione (ad esempio perché non è sempre possibile invertire la direzione dei flussi di gas). Alcuni Paesi dell’Europa sudorientale sarebbero pertanto particolarmente vulnerabili. Inoltre, importare gas da fonti alternative comporterebbe dei costi significativi e non sarebbe sempre realizzabile in modo rapido. Per attrarre in Europa volumi di Gnl, ad esempio, dovremmo essere disposti a pagare prezzi decisamente più alti degli attuali, data la competizione con gli importatori asiatici. Un’interruzione delle forniture di gas russo all’Ucraina non rischia di lasciare l’Europa a secco di gas, ma rischia di farne lievitare i costi d’importazione. Nel negoziare con la Russia una soluzione all’importante nodo del debito di Naftogaz e dello stato ucraino, l’Europa deve tenere in considerazione questo rischio e domandarsi se si può permettere bollette più salate proprio quando sta faticosamente tentando di uscire da una pesante crisi finanziaria.
(1) I dati comprendono anche la Turchia.
(2) Che tuttavia è prevista in declino nei prossimi anni, v. EU Energy Roadmap 2050.
(3) Negli anni ’80, dopo la lunga ”pax atomica”, mentre gli Stati Uniti investivano ingenti risorse nel programma SDI (Strategic Defense Initiative), meglio noto come “scudo spaziale”, i contratti di fornitura di metano con l’Unione Sovietica venivano tranquillamente rinnovati aumentandone i volumi e prevedendo il potenziamento dei gasdotti.
(4) Staffetta Quotidianadel 13 gennaio 2009
(5) La russa Gazprom, asserendo che il debito dell’importatore ucraino, Naftogaz, avesse superato i 2,2 miliardi di euro, ha già da aprile rivisto al rialzo i prezzi applicati all’Ucraina, interrompendo gli sconti. Dal canto loro, gli ucraini hanno annunciato che non pagheranno le forniture al nuovo prezzo.
(6) Noto anche come “Madrid Forum”, un organismo di consultazione che comprende i governi, le autorità per l’energia nazionali, la Commissione europea, i gestori di rete e i principali operatori del settore.
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marco
La crisi in Ucraina potrebbe provocare una riduzione delle forniture di gas russe all’Europa con un evidente vantaggio per gli Usa che potrebbero vendere all’Europa lo shale-gas sostituendosi così alla Russia. Una spiegazione del sostegno americano alla destra al potere a Kiev?
Federico Pontoni
Peccato che gli Stati Uniti non abbiano terminal di liquefazione e che prima di 10 anni non sia possibile realizzare una capacità di export significativa dagli Usa all’Europa; peraltro, a parte dichiarazioni di facciata, dubito che gli Usa investiranno sull’export di shale gas. Credo debba cercare altri motivi per il sostegno Usa alla “destra al potere a Kiev”.
riccardo gallottini
Fosse anche che domani mattina (impossibile visto che non possono attualmente liquefarlo) il DOE autorizzi l’export di lng, l’Europa e’ disposta a pagarlo quanto gli Asiatici, ovvero esattamente il doppio di quanto attualmente viene quotato sugli hub europei?
Di conseguenza: ammesso (e dubito fortemente) che gli USA abbiano tutto questo over supply di lng, perche’ faticare quando il Giappone te lo paga praticamente in lingotti d’oro?
Enrico
Scusate la provocazione ma Mosca più affidabile di Kiev vuol dire “lasciamogliela questa Ucraina”, magari diamogli pure una mano. In tempi di crisi qualche ordinativo in più per le forze armate fa sempre comodo…