La Strategia energetica nazionale non dovrebbe limitarsi all’orizzonte del 2020. Dovrebbe guardare al 2050 e oltre, come fa l’Unione Europea. E l’obiettivo dovrebbe essere uno solo: la decarbonizzazione. Spiegando ai cittadini i vantaggi e i costi da pagare nel periodo di transizione.

Nella Strategia energetica nazionale (Sen) l’uso della parola “strategia” è sicuramente impegnativo perché fa immediatamente pensare a quello che il documento in realtà non è, a quello cui rinuncia deliberatamente: il futuro. Limitando il proprio orizzonte al 2020, solo otto anni da oggi, ciò che manca alla Sen è una visione. Non vuole dire, e probabilmente non sa dire, come saremo nel 2050, l’orizzonte per il quale invece l’Unione Europea già immagina se stessa – e quindi anche noi – decarbonizzata, e per quel fine già delinea un percorso.

UNA STRADA È GIÀ DELINEATA

Quello che dice questo Governo non vale necessariamente per il prossimo. Quel che una strategia energetica deve anzitutto dire è se, non nel 2020, ma nel 2050 e oltre vede e vuole un’Italia decarbonizzata, un’Italia dove, per intenderci e per buttare lì dei numeri, l’equazione 30-70 sia ribaltata a 70-30: 70 rinnovabili e 30 fossili. La Germania punta a 80-20. Un’Italia che abbia come obiettivo quello di comprimere il più possibile i consumi di energia fossile, con l’aiuto di tutte le tecnologie disponibili e di una maggiore sensibilità e consapevolezza da parte dei consumatori, e di ottenere sempre più energia con fonti rinnovabili. Questa è la vera sfida, questa è la direzione indicata dall’Europa.
In questa ottica, la “nostra” Sen avrebbe un solo obiettivo: la decarbonizzazione (o quasi) dell’Europa, e dell’Italia come parte di essa, al 2050. Le tappe del 2020 e 2030 sarebbero traguardi intermedi di questo percorso. Decarbonizzazione vuol dire emissioni ridotte al minimo e ridotta dipendenza energetica. Questo vuol dire sostenibilità, che dovrebbe essere coniugabile con crescita economica e occupazionale soddisfacente grazie e tramite la diffusione di attività economico-produttive “green”, che farebbe premio sulle attività economiche legate alle fonti di energia tradizionale, che comunque dovranno evolvere. Il tutto in un’ottica europea, fatta di sistemi e mercati dell’energia idealmente pienamente integrati.
Questo obiettivo quali interventi rende necessari? Rispetto alla Sen attuale, lunghi percorsi per efficienza, risparmio, rinnovabili, infrastrutture ed evoluzione del sistema elettrico. Se l’energia verde copre oggi un terzo della potenza elettrica installata in Europa, e salirà al 50 per cento nel 2020, allora si dovrebbe tendere all’80 per cento nel 2050. Avendo anche il coraggio di dire che in un simile scenario la rivoluzione energetica investirà profondamente l’assetto produttivo dei mercati e degli operatori, i quali dovranno largamente cambiare pelle.
La Sen 2050 dovrebbe riconoscere ciò che sta attualmente accadendo: riduzione dei prezzi elettrici all’ingrosso, domanda stagnante ed erosione dei margini dei produttori da fossili, i cui impianti giacciono ampiamente inutilizzati e la cui funzione si riduce sempre più a quella di back-up delle fonti rinnovabili a causa dell’intermittenza di alcune di queste. La Sen 2050 dovrà dire che non è possibile mantenere lo status quo frenando uno sviluppo inevitabile che invece andrà garantito intervenendo sul sistema di trasmissione, su una crescente interconnessione europea e probabilmente extra-europea, con tutte le soluzioni che il progresso tecnologico metterà a disposizione.

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I COSTI DELLA TRANSIZIONE

In quest’ottica, fissare un obiettivo di costo dell’energia perde largamente di significato. Non perché il criterio dell’economicità non sia importante, anzi. Ma perché è incoerente affermare che si vuole ridurre il costo della bolletta elettrica e del gas per famiglie e imprese e poi ipotizzare massicci interventi infrastrutturali sul sistema elettrico e del gas. Chi pagherà i nuovi rigassificatori dell’hub sud-europeo? Chi pagherà il capacity payment? Chi pagherà gli incentivi del nuovo Conto termico? Solo per fare qualche esempio. Diverso è il discorso se si dice che “durante la transizione” i costi potranno anche esserci, ma serviranno a finanziare il nuovo assetto futuro, in cui i costi saranno bassissimi e talora nulli. I maggiori costi alimenteranno forse sussidi e incentivi o saranno dovuti a finanziamenti di infrastrutture, ma dovranno essere parte di un’estesa analisi costi-benefici applicata, di regola, a ogni intervento.
Sotto il profilo del metodo, la Sen non potrà basarsi solamente su un mero confronto dei costi delle varie opzioni, come troppo spesso fatto nel dibattito. Un documento strategico dovrà necessariamente cimentarsi con uno degli esercizi più difficili: quantificare il più completamente possibile i benefici dei vari interventi. Per intenderci: il beneficio di una maggiore indipendenza energetica non può essere quantificato solo calcolando le minori importazioni di petrolio e gas dall’estero. Ricordiamoci che più che continuare a parlare di green economy bisognerà rendere verde l’economia.
Per inciso, la Sen 2050 dovrà prevedere di mettere mano in maniera organica alla fiscalità energetica (e qui ancora una volta l’Europa indica la strada) e decidere che cosa addossare direttamente ai consumatori di energia e che cosa portare nella fiscalità generale (dalle bollette elettriche e del gas ai carburanti), soprattutto di questi tempi, quando da più parti si pensa di mettere in bolletta qualsiasi onere i produttori si trovano a sostenere per il cambiamento in atto del sistema energetico e l’evoluzione dei mercati.

AVERE UNA VISIONE NON VUOL DIRE ESSERE VISIONARI

La Sen dovrà dire se pensa che, una volta passata ‘a nuttata dei consumi depressi di energia, essi torneranno ai livelli di un tempo. Quasi tutti, volenti o nolenti, sono pronti a riconoscere che così non sarà. E allora bisognerà interrogarsi su cosa ciò implica per gli assetti attuali. Un esempio? Il solare termico ha ampi spazi di crescita, ma rischia di entrare in competizione con il gas naturale ampliamente usato per riscaldare le nostre case.
In conclusione: una Sen così è da visionari? Forse vale la pena chiederselo. Se la risposta è che la Sen è una visione, allora diventa d’obbligo applicare il metodo dell’“induzione a ritroso”: fare discendere dal futuro che vogliamo gli interventi e gli strumenti da adottare adesso, per far sì che il traguardo prefissato sia raggiunto. Questo metodo è affatto differente dall’adattamento continuo e graduale dell’esistente per arrivare non si sa bene dove. Guardare solo ai prossimi anni ha poi una collaterale e antipatica assonanza con i programmi (e cicli) elettorali.

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