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Per una vera staffetta tra generazioni

La staffetta generazionale proposta dal Governo Letta si basa sull’idea che per dar lavoro ai giovani sia necessario “toglierlo” agli anziani. Servirebbe invece una nuova distribuzione dei trasferimenti pubblici e una riduzione del carico fiscale sul lavoro. I costi per le finanze dello Stato.
COME FUNZIONA LA STAFFETTA TRA LAVORATORI
In risposta alla crescente disoccupazione giovanile il governo Letta propone una staffetta generazionale. Vediamo in cosa consiste. Ai lavoratori anziani, ovvero presumibilmente sopra i 60 anni, è consentito di passare da un regime di impiego a tempo pieno a uno a tempo parziale. I lavoratori che scelgono di usufruire di questa possibilità vedono dunque aumentare il loro tempo libero, ma diminuire lo stipendio. Per le imprese, invece, si riducono le ore lavorate, ma anche il monte salari. Quindi, queste imprese possono utilizzare il circa 40 per cento del salario (tipicamente elevato per via degli anni di anzianità) risparmiato con il lavoratore che ha scelto il part time per assumere un giovane, a tempo pieno o parziale. Tutti contenti dunque?
In realtà, la staffetta generazionale lascia perplessi, per almeno due motivi.
In primo luogo, il meccanismo ricorda molto le politiche del mercato del lavoro in voga negli anni Settanta e Ottanta, quando in tutta Europa alle imprese era consentito di mandare in pensione anticipata i lavoratori “anziani” (spesso anche solo cinquantenni) per far posto ai lavoratori giovani. Come ben sappiamo queste politiche si sono rivelate disastrose: la disoccupazione è aumentata sia tra i giovani che tra le persone anziane, a causa del forte incremento dei contributi previdenziali richiesto e del conseguente aumento del costo del lavoro. In realtà, la staffetta generazionale di oggi non prevede il ricorso al pensionamento anticipato, bensì al part time, e dunque non dovrebbe avere costi aggiuntivi per le casse dello Stato. Tuttavia, si continua a far leva sull’idea che per dar lavoro ai giovani è necessario “toglierlo” agli anziani.
Figura 1 – Tasso d’attività (55-64) e disoccupazione giovanile (15-24)
Cattura
La figura qui sopra mostra che nei dati la sostituibilità tra lavoratori giovani e anziani proprio non esiste. Sarebbe dunque utile abbandonare questa logica. L’aumento dell’occupazione giovanile, così come quella degli anziani e delle donne (le tre categorie nelle quali l’Italia è in fondo alla classifica), passa per una riduzione del dualismo sul mercato del lavoro, della pressione fiscale sul lavoro e per un aumento della produttività.
SQUILIBRIO DI RISORSE
In secondo luogo, non è ovvio che la staffetta generazionale sia effettivamente a costo zero per le finanze dello Stato. I lavoratori anziani propensi a usufruire del part time, oltre a una riduzione dello stipendio, dovrebbero accettare anche una riduzione dei benefici previdenziali, che risulterebbe automatica con il sistema contributivo in vigore. Se invece il Governo deciderà, come sembra intenzionato a fare, di intervenire con contributivi figurativi per coprire la differenza nei contributi previdenziali tra full time e part time – mantenendo così inalterati i benefici previdenziali dei lavoratori anziani che optano per il part time – bisognerà chiedersi il costo della staffetta e se le risorse non possano essere spese in maniera più efficiente altrove.
Ormai da decenni, in Italia, lo squilibrio tra le risorse devolute agli anziani e quanto destinato ai giovani è palese, così come è evidente uno squilibrio nei meccanismi di protezione, ad esempio sul mercato del lavoro. Ben venga dunque una staffetta generazionale, ma che modifichi la distribuzione dei trasferimenti pubblici, non dei posti di lavoro, e alleggerisca il carico fiscale sul lavoro.
Si potrebbe iniziare riducendo in piccola parte i benefici previdenziali a chi detiene una pensione di anzianità e ha beneficiato di tassi di rendimento elevati sui contributi versati. Ad esempio, chi ha ottenuto rendimenti del 3 per cento all’anno ha goduto di un trattamento nettamente migliore non solo di chi andrà in pensione col contributivo, ma anche di chi ha avuto accesso alla sola pensione di vecchiaia col retributivo. Sarà come un riconoscimento ritardato del regalo che hanno ricevuto in tutti questi anni. I risparmi potrebbero essere utilizzati per finanziare crediti di imposta e sussidi condizionati all’impiego per i lavoratori a basso reddito, aumentando le opportunità di impiego soprattutto per giovani e donne.

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Il costo della staffetta generazionale

20 commenti

  1. Federico B

    Buongiorno. Condivido le perlessità esposte nell’editoriale. E si fa bene a segnalare la necessità di vera equità intergenerazionale (ultimo paragrafo). Mi pare che tale (ipotetica: oggi si starebbe discutendo di DDL sul finanziamento pubblico, che però è solo parte dei vari nodi da risolvere) proposta sconti il malinteso equivoco di fondo per cui il lavoro dei giovani priverebbe gli anziani di opportunità. Non è un gioco a somma zero. Una maggiore apertura (mercato; concorrenza, competitività) creerebbe opportunità per entrambi. Meglio sarebbe tagliare il cuneo fiscale per i lavoratori giovani, il costo del lavoro, intervenire sulle pensioni nella direzione indicata, una spending review e puntare su digitale/efficienza. Ma soprattutto, in termini concreti, un simile meccaismo rispetto a quali funzioni e/o ambiti professionali dovrebbe/potrebbe concretamente operare? Francamente mi sfugge. Cordiali saluti

    • Piersergio

      Ho letto tante cose, ma mi piacerebbe che qualcuno chiarisse il concetto di staffetta generazionale e come beneficiarne in un momento di crisi non economica, ma dell’intero sistema.
      Non sarebbe giusto visto che siamo alla frutta (lo dicessi io ma lo ha detto Squinzi…..) che si facesse l’inevitabile? Ovvero tagliare tutte le pensioni fino al limite dei 3.000 € gli stipendi dei manager pubblici e di tutti quelli che non sono allineati con quelli privati?
      Demagogia? No si chiama giustizia generazionale: chi ha avuto tanto deve pagare tanto e aggiungo mi sembra anche il minimo.
      Non sono bruscolini, fanno 10 miliardi che uniti a una seria legge anti corruzione e all’applicazione stretta della spending review a trovarne altri 10/15 non ci metti poi tanto. E 25 miliardi sul cuneo fiscale qualcosa farebbero.
      Perchè è così tabu’ parlarne? Non si tratta di diritti acquisiti, si tratta di privilegi acquisiti e sottratti alle future generazioni.
      Ma no si cerca di fare il possibile per non cambiare le cose, anziani part time giovani part time, alle ditte serve l’efficienza non un lavoro fatto da due persone. E l’efficienza si fa in primis con meno burocrazia (avete visto qualche provvedimento?) e con dipendenti soddisfatti professionalmente.

  2. G. Caniglia

    Ho letto con interesse l’articolo, ma vorrei soffermarmi su un punto: là dove si dice che le categorie lavorative più svantaggiate in Italia sono le donne e i giovani. Io credo che prima di affermare ciò, ci si dovrebbe sforzare di regolarizzare il lavoro nero almeno nei limiti della decenza (intendo sui livelli degli altri stati europei). Avremmo un incremento delle percentuali e probabilmente anche delle retribuzioni di queste due categorie e si finirebbe di fare della demagogia che fa’ comodo ad alcuni sindacati e forze politiche.

  3. Alberto Lusiani

    Queste proposte stravaganti e ingiustificate empiricamente per aumentare l’occupazione giovanile prepensionando o mandando in part-time gli anziani sono una reazione sbagliata, miope e poco onesta alle distorsioni dei contratti di lavoro che prevedono in Italia piu’ che in altri Paesi una progressione di salario con l’anzianita’ totalmente svincolata da considerazioni di produttivita’ e qualificazione dei lavoratori interessati. Succede cosi’ che in media le imprese paghino maggiori salari a parita’ di produttivita’ solo per effetto dell’ anzianita’ di servizio e obbligo contrattuale, e, poco onestamente, dopo aver firmato contratti di lavoro impegnativi nel lungo termine, premono sulla politica per non pagarne i costi differiti nel tempo, escogitando una varieta’ di escamotage variamente denominati (scivoli, mobilita’ lunga) tutti accomunati dal principio mai messo in discussoine di scaricare sulle tasche del contribuente i costi dei contratti sindacali, operazione che poi a sua volta implica aumento della tassazione e quindi riduzione dell’occupazione per tutti. Sindacati e imprese dovrebbero rendersi finalmente conto che sarebbe meglio per il bene di tutti, meglio per il PIL pro-capite nazionale, meglio per il tasso di occupazione dei 50enni e per le possibilita’ di un 50enne senza lavoro di trovare occupazione dipendente, meglio anche per l’occupazione dei giovani, che i compensi del lavoro dipendente siano piu’ legatii a qualificazione e produttivita’ e meno a parametri “feudali” e distorsivi come l’anzianita’ di servizio presso una medesima impresa.

  4. Alessio Calcagno

    Bisogna creare lavoro. Ingrandire la torta. Ormai sono rimaste le briciole in Italia. Creare lavoro con debito e politiche keynesiane non si può più. Rimangono le liberalizzazioni: sburocratizzare e privatizzare. Lo Stato che si ritira a ruolo marginale liberando la creatività italiana. Creando le condizioni perché nuovi posti di lavoro privati possano nascere. Tuttavia ciò comporta licenziamenti e perdite di posizione da parte di lobby che sono radicate nel tessuto italiano. Sono necessari quindi governi decisionisti e maggioranze solide per attuare politiche di questo genere. Senza una nuova legge elettorale maggioritaria a doppio turno, niente si può fare se non temporeggiare e prendere tempo da parte dei governi presenti e futuri. In attesa magari di aiuti dalla Germania, aiuti che non arriveranno mai.

  5. Ivano Zatarra Terzo

    Vedo all’orizzonte un terzo motivo per cui dubitare sulla reale efficacia del provvedimento. Ed è quello della possibile ereditarietà del posto. Ovvero il parente (padre, madre, zia, zio, ecc…) che facendosi un poco da parte “tramanda” il posto all’eletto di turno. Conosco luoghi (e neppure sempre privati) dove tra il personale è
    possibile “scorgere” prime, seconde e addirittura terze generazioni. Più che una staffetta generazionale, vedo il rischio della concreta
    istituzionalizzazione del “principio di Peter”.

  6. giuseppe campagnoli

    Vorrei chiosare la parte dell’articolo che propone ai pensionati di cedere una parte della loro pensione “privilegiata” a favore dei giovani, ricordando che la maggior parte dei pensionati (ahimè molti anche con pensioni al disotto dei 1000 Euro) lo stanno facendo da tempo.Infatti stanno mantenendo figli o nipoti che studiano o sono in cerca disperata di un lavoro.

    • donumberto

      E’ vero che spesso i pensionati mantengono figli o nipoti. Ma non sarebbe meglio e più dignitoso per loro che figli e nipoti si mantenessero da soli anche con il lavoro ottenuto tramite la rinuncia a qualcosa da parte dei pensionati, specie di quelli “baby” o d’oro? Tocca allo stato riequilibrare la bilancia intergenerazionale.

      • walden65

        Qualcuno mi spieghi l’automatismo per cui se riduciamo le pensioni automaticamente aumenta l’occupazione giovanile! Se ciò avvenisse vorrebbe dire che esiste un meccanismo per cui, riducendo la spesa pensionistica (che potrebbe voler anche dire aumentare la spesa sanitaria o di cura, visto che i pensionati più ricchi avrebbero meno risorse personali da destinare a queste spese), diminuirebbe il costo del lavoro e quindi si assumerebbero più giovani. Qui evidentemente qualcuno crede ancora alla Befana. Il grafico 1 può infatti essere letto anche alla maniera iversa, ossia: perchè a bassa tassi di partecipazione fra i 50enni vi è un basso tasso di occupazione fra i vent’enni: magari perchè siamo un paese in pieno declino economico, privo di filiere significativamente innovative, e quindi dove, al limite, sarebbe più sensato agire dal lato della domanda, che da quello dell’offerta….

    • Ottima osservazione, ma non e’ la stesa cosa. Il problema del sistema attuale e’ che una maggiore tassazione sul lavoro giovanile per mantenere la pensione dell’anziano disincentiva il lavoro giovanile. Al contrario, il trasferimento da genitori anziani a figli avviene sotto forma di aiuto per la casa, etc… in modo piuttosto indipendente da quanto il giovane lavora e guadagna. Ci sarebbe inoltre un discorso da parte da affrontare fra l’evidente ingiustizia del sistema nel caso in cui il lavoratore giovane non ha genitori con pensioni alte, o nel caso in cui i pensionati non abbiano figli a cui trasferire.

  7. ferdinando

    Mi riferisco alla vs affermazione sulle pensioni di anzianità .mi sembra che vi sia una inesattezza in quanto le pensioni INPS sono state liquidate con un rendimento massimo del 2% su un determinato limite , superato il quale si riduce progressimanente , tamto che mediamente si riduce a meno dell’1,4% , quindi meno della metà da quanto da voi asserito. Quindi già all’atto della liquidazione vi è un contributo di solidarietà pur pagando il contributo del 33% sull’intero stipendio

  8. jorge

    Il punto è proprio quello indicato: la vera anomalia della spesa pubblica italiana (a parte la spesa per interessi sul debito) è rappresentata dalle pensioni, in gran parte concesse per decenni con benefici pari a multipli dei contributi versati. Le pensioni oltre una determinata cifra (e.g. 2000 euro lordi mese) non legate a equivalenti contributi versati devono essere decurtate di percentuali crescenti con il reddito. Non è sostenibile una situazione in cui un giovane a mille euro al mese, che avrà una pensione di 500 euro a 70 anni, mantiene un cinquantacinquenne con una pensione di 3000 euro di cui oltre la metà semplicemente regalata.

    • gianpaolo

      Il 55 enne che le sta scrivendo, medico ospedaliero, assunto dopo 8 anni di precariato, andrà in pensione a 68 o 70 anni, verosimilmente con una pensione discreta dato che ha ricevuto una retribuzione dignitosa ed un alto montante contributivo. I 55 enni già pensionati da anni a 3000 euro al mese sono rarissimi.

  9. Davide Scianatico

    I soliti provvedimenti tampone senza alcuna possibilità di successo nella soluzione del problema dell’occupazione. L’aspetto maggiormente irritante è il continuo sberleffo che la classe politica continua a rivolgere al mondo del lavoro in generale, e alle giovani generazioni in particolare. Si continua ad insistere sull’idea di un conflitto generazionale da sanare attraverso una diversa redistribuzione occupazionale dell’attuale numero di posti di lavoro a disposizione, quando la missione politica di qualsiasi Governo dovrebbe essere quello di realizzare le condizioni che favoriscono la creazione di nuovi posti di lavoro. Capisco che l’attuale quadro macroeconomico non depone certo a favore del vecchio continente, e che l’Italia in tale scenario a malapena rappresenta una periferia priva di centro decisionale, ma gli sforzi governativi dovrebbero tendere quantomeno verso qualcosa che non rappresenti la consueta ideologia del laissez-faire. Troppo ambizioso o, forse, troppo rischioso per dirigenti politici abituati ai privilegi garantiti da uno status quo che dà loro pochi brividi e molte certezze. In ogni caso, sarà ben difficile invertire la rotta senza prima passare attraverso una indispensabile revisione degli attuali fuorvianti indicatori economici. E, ovviamente, mi riferisco innanzitutto al PIL, che tutto misura fuorché la realtà: la realtà del lavoro nero, la realtà dell’inquinamento, la realtà delle speculazioni finanziarie, la realtà dello sfruttamento minorile della criminalità organizzata, una piaga ancora aperta al sud, e, soprattutto, la realtà della vita reale delle persone, specialmente la realtà legata alle condizioni delle donne. Quelle per le quali il reale problema quotidiano non è la mancanza di lavoro, ché di lavoro domestico gratuito ne svolgono in abbondanza, ma la mancanza di reddito spendibile per la sopravvivenza propria e dei propri familiari. Senza considerare le difficoltà future a cui andranno incontro a causa della mancanza di un serio piano previdenziale.
    Al di là delle giaculatorie, la proposta sarebbe questa: intanto recuperare nelle facoltà di economia gli insegnamenti di Gunnar Myrdal, di troppa cultura non è mai morto nessuno; poi indirizzare la nostra economia verso quei settori i cui prodotti hanno una domanda estera maggiormente consistente, senza abbandonare il settore manifatturiero, ma rendendo appetibile ogni forma di turismo, da quello paesaggistico, passando per quello naturalistico, finendo con quello culturale.

  10. Marco Leonardi

    Verissimo. Si può solo obbiettare che nel breve periodo ci può essere un problema di sostituzione tra giovani ed anziani, e l’evidenza empirica non distingue tra breve e lungo periodo. La riforma delle pensioni ha allungato “improvvisamente” l’età pensionabile e da un anno all’altro ci sono circa 1 milione di anziani al lavoro più del previsto. E’ possibile che questo abbia un effetto di spiazzamento dei giovani almeno nel breve periodo.

  11. Libero pensiero

    A mio avviso i reali, concreti, profili su cui intervenire sono quelli efficacemente illustrati da “the Economist”, in data 21 gennaio 2012, nell’eloquente special report intitolato “state capitalism”. Ne trascrivo di seguito alcuni passaggi: “But state capitalism nevertheless suffers from deep flaws. How can the state regulate the companies that it also runs? How can it stop itself from throwing good money after bad? How can it remain innovative when innovation requires the freedom to experiment? MIT’s Mr Steinfeld argues that state capitalists are learning to play “our game” by listing their shares and engaging in mergers and acquisitions. That, he says, makes them a “self-obsolescing” ruling class. But state capitalists are surely playing “our game” in order to strengthen their political positions” […] “But state capitalism’s biggest failure is to do with liberty. By turning companies into organs of the government, state capitalism simultaneously concentrates power and corrupts it. It introduces commercial criteria into political decisions and political decisions into commercial ones.” Altrettanti punti su cui intervenire. Il digitale (cfr. BCG report) è il migliore driver per la crescita, ed efficienza P.A. eppure..

  12. Elena Stanghellini

    Concordo. In realtà una vera politica a favore dei giovani dovrebbe essere a tutto tondo, e considerare sgravi fiscali per incentivarli ad andare a vivere da soli e politiche a sostegno dell’infanzia. Focalizzarsi sul lavoro, benché necessario, è riduttivo. In epoca pre-crisi, il 44% dei genitori italiani di oltre 50 anni viveva con almeno un figlio contro il 14% degli svedesi (Fonte SHARE data http://www.share-project.org). Perché questa differenza? Chi conosce la Svezia sa degli incentivi sulla casa e degli aiuti all’infanzia. La differenza non è irrilevante se pensiamo ai flussi economici che questo genera. Non a caso la Svezia è la patria di Ikea.

    • Libero pensiero

      Condivido l’analisi, ma è impensabile tagliare il cuneo fiscale, o trasferire potere d’acquisto a favore di lavoratori ed imprese, senza una – preventiva- – razionalizzazione della spesa pubblica e riduzione degli sprechi (da altri Economisti quantificata in complessivi 40 miliardi di euro pa: dal mero raffronto by COFOG dati OECD con la Germania assunta come benchmark). I soliti, noti, temi. Sono lavoratori ed imprese che dovrebbero esigere un taglio delle tasse, e puntare su settori con maggiori margini di crescita (digitale, es; cfr. BCG report), meritocrazia, mercato e concorrenza. I risultati elettorali, e le parole di Fara (Eurispes 2007) mi sembrano più che eloquenti di quanto ancora sia profondo il gap da colmare. Eppure…quali potrebbero essere i driver per il cambiamento?

  13. Francesco

    Spiace ,
    in questo periodo di deindustrializzazione occorre guardare al futuro , e, il futuro dell’italia sono i servizi alla persona e alle imprese.
    necessita che i governi di qualsiasi colore siano lungimiranti al fine di valutare e proporre energie per il futuro.
    per l’immediato, in considerazione non c’è lavoro, occorre ripartire il lavoro esistente su più soggetti, riducendo per legge l’orario di lavoro da 8 ore a 6 ore e assumendo 1 persona ogni tre che si riduce l’orario.
    sarebbe a costo zero per le aziende, si verserebbero i contributi e le tasse regolarmente, sparirebbe nel giro di 6 mesi la disoccupazione.
    l’unico costo sarebbero le minori entrate per la minore aliquota irpef sugli stipendi.
    i benefici sarebbero molteplici
    maggiori redditi nelle famiglie con il secondo occupato
    maggiori consumi
    aumento della produzione
    possibilità per i giovani di costituire nuove famiglie
    possibilità per i giovani di versare i contributi per la loro futura pensione
    etc etc
    scusate se mi prendo la libertà di dire che sono baggianate le storie del governo sulla staffetta generazionale, è solo la bufala del giorno.
    sono disponibile ad illustrare e sviscerare tutti i problemi inerenti ad una iniziativa simile che darebbe risalto all’economia italiana

  14. Roberto

    Approfitto di questa discussione per chiedere una cosa.
    Il contributo richiesto (Il comma 250 dell’unico articolo di cui si compone la legge n. 228/2012, alla lettera f), riformula il comma 31 dell’articolo 2 della legge 92/2012), alle aziende, anche con meno di 15 dipendenti, che licenziano personale a tempo indeterminato, perchè non riescono a quadrare i loro conti, si configura come un aggravio del costo del lavoro, differito nel tempo ma sempre lì come un macigno. E’ stata battezzata “tassa sui licenziamenti”, ed è un errore legislativo. Perchè si pone in contrasto con la libertà che ha l’imprenditore di licenziare personale a tempo indeterminato se lo ritienie opportuno. Questa tassa è stata pensata per essere un deterrente ai licenziamenti e per contribuire alle casse della gestione dell’ASPI, ma è un pericolo perchè impedisce nuove assunzioni di personale a tempo indeterminato.
    Come se ne esce ?
    Grazie.
    Saluti a tutti.
    Roberto.

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