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Più il comune è piccolo, più sale il costo della politica

Sono in molti a sostenere che i costi della politica a livello centrale sono nettamente superiori rispetto al livello locale. Ma non è così se si confronta la spesa per il funzionamento degli organi istituzionali con il relativo potere decisionale. Problemi di efficacia nei comuni molto piccoli.

I COSTI DELLA POLITICA LOCALE

In una fase di forte impopolarità del ceto politico, sono molte le analisi che mirano a sottolineare come la politica centrale sia molto più costosa di quella locale. Ciò è vero se ragioniamo in termini di spesa per singolo amministratore, o anche in termini di contributo al costo complessivo della politica dei diversi livelli di governo (centrale, regionale, provinciale, comunale). Ma non lo è, invece, se assumiamo un’ottica costi-benefici, se cioè confrontiamo la spesa per il funzionamento degli organi istituzionali con il relativo potere decisionale.
L’accezione dei costi della politica adottata in questo articolo si riferisce alla spesa dichiarata dai comuni nei Certificati dei conti consuntivi di bilancio (Cccb) per il funzionamento degli organi istituzionali. La voce comprende sia le indennità e i gettoni di presenza corrisposti ai componenti degli organi elettivi e di governo (consigli e giunte), sia le spese per i rimborsi delle trasferte e i servizi di supporto (segreterie, addetti stampa, consulenze, apertura delle sedi, invio delle comunicazioni, eccetera).
Secondo quanto riportato nei Cccb del 2010, i comuni italiani hanno speso complessivamente 1,7 miliardi per il funzionamento degli organi istituzionali, di cui 600 milioni di indennità e gettoni di presenza e poco più di 1 miliardo di rimborsi spese e servizi di supporto. (1)
Nella tabella 1 sono riportati i valori medi per classe demografica degli enti.

Tabella 1Spesa per organi istituzionali per classe demografica dell’ente

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Fonte: elaborazioni su Cccb 2010

Come si può vedere, la spesa per amministratore cresce al crescere della dimensione dell’ente. Ciò avviene perché entrambe le componenti dei costi della politica sono legate positivamente alla taglia demografica: le indennità sono definite dalla legge in questo modo, al fine di tener conto della maggiore complessità associata alle dimensioni più grandi e lo stesso avviene per le spese accessorie, ovvero rimborsi spese e servizi di supporto. In più, la seconda componente di spesa aumenta decisamente la sua importanza al crescere della dimensione dell’ente.
L’incidenza della spesa per gli organi istituzionali sulle risorse complessivamente disponibili (totale spesa corrente) mostra invece un andamento a “U”, raggiungendo valori elevati in corrispondenza degli enti di dimensioni molto ridotte, toccando il minimo nella classe tra 15mila e 30mila abitanti per poi tornare a crescere in corrispondenza delle dimensioni maggiori. Lo stesso andamento si riscontra per la spesa per abitante.
I dati evidenziano, dunque, la presenza di costi da eccesso di frammentazione nei comuni fino a 15mila abitanti e di costi da maggiore complessità per quelli superiori ai 30mila abitanti. Emerge poi un divario tra i comuni del Centro-Nord e quelli del Centro-Sud (Lazio e Regioni meridionali), dove i secondi tendono ad avere una spesa per abitante più elevata, specialmente in corrispondenza delle maggiori città, da cui si ricava che le città del Sud gestiscono in modo meno efficiente la funzione di rappresentanza democratica (grafico 2).
Le informazioni ricavabili dai Cccb suggeriscono, quindi, la presenza di spazi per il recupero di efficienza sia in termini generali (divario Nord-Sud) sia nello specifico delle piccole dimensioni.

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Grafico 2 – Spesa per organi istituzionali per abitante, classe demografica dell’ente e ripartizione territoriale

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Fonte: elaborazioni su Cccb 2010

IL CONFRONTO TRA COSTI E BENEFICI

Secondo un recente rapporto curato dalla Uil, il costo di funzionamento degli organi istituzionali ammonta complessivamente a 6,1 miliardi nel 2013, di cui il 49 per cento assorbito dagli organi centrali, il 16 per cento dalle Regioni, il 6 per cento dalle province e il 28 per cento dai comuni. (2) Mettendo a confronto tali importi con la spesa pubblica di competenza si ottiene che ogni miliardo di euro di costi della politica “muove” 150 miliardi di spesa pubblica complessiva a scala nazionale, 185 a scala regionale, 30 a scala provinciale e 45 a scala comunale (spesa pubblica per livello di fonte Istat). Il potere decisionale del livello di governo comunale appare dunque piuttosto limitato, anche se maggiore di quello del livello provinciale.
Approfondiamo il caso dei comuni.

Tabella 3 – Costo, potere decisionale e ampiezza della rappresentanza per amministratore locale*

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Fonte: elaborazioni su Cccb 2010

Nella tabella 3 si propongono alcuni semplici indicatori per misurare costi e benefici dell’attuale assetto dei governi comunali. Il potere decisionale degli amministratori dei comuni molto piccoli, misurato prendendo in considerazione le risorse disponibili al netto dei costi di funzionamento dell’ente (ovvero spesa corrente al netto della spesa per funzioni generali e dei costi della politica), è estremamente ridotto, per cui sono di fatto nella condizione di non poter prendere decisioni significative per il benessere della comunità di riferimento. Nei comuni estremamente piccoli, laddove spesso gli amministratori rinunciano anche a parte delle loro indennità e svolgono nei fatti un’azione di volontariato a favore dei loro concittadini, le risorse finanziarie disponibili sono talmente ridotte da determinare il peggior rapporto tra costi della politica e potere decisionale. In sintesi, gli amministratori dei piccoli comuni costano molto poco, ma decidono anche molto poco per le loro comunità.
Un argomento molto utilizzato a difesa degli enti locali di piccole dimensioni è quello della tutela della partecipazione dei cittadini, ovvero del livello di democrazia della società. È tuttavia evidente che la dimensione del governo locale è soggetta a dei trade-off, non solo in relazione a questioni di efficienza economica e di efficacia dell’azione pubblica, ma anche in merito al funzionamento stesso della democrazia. (3)
I dati evidenziano che, se esiste un deficit di democrazia del governo locale, riguarda le città più che i piccoli comuni, le quali uniscono una maggiore eterogeneità sociale a un numero decisamente più elevato di persone rappresentate da ciascun amministratore.

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UN PROBLEMA DI EFFICIENZA ED EFFICACIA

In conclusione, se il problema a livello del governo centrale e dei governi regionali è quello dell’eccessivo costo per amministratore (Perotti, I costi della politica), su scala locale la maggiore criticità sta nel rapporto tra i costi sostenuti e i benefici ottenuti. La presenza di un sistema molto frammentato pone il problema della dimensione minima adeguata per lo svolgimento di funzioni in grado di incidere sul benessere delle comunità di riferimento.
Fatta eccezioni per le maggiori città, per le quali i dati evidenziano un forte divario Nord-Sud, e dunque la presenza di margini per il recupero di efficienza (ovvero la stessa funzione può essere svolta con minori risorse), il problema dei comuni più piccoli (almeno fino a 15mila abitanti) è quello di recuperare efficacia, ovvero di utilizzare meglio le risorse disponibili e ciò è possibile solo riducendo la frammentazione.

(1) I dati provengono dai Cccb al 2010 di 7.716 comuni sul totale di 8.092. Per tutti i comuni è disponibile il dato relativo alla spesa corrente per “organi istituzionali, partecipazione e decentramento”, mentre per poco più di un terzo (2.662) è disponibile anche il dato relativo alla componente “indennità”. I dati mancanti sono stati stimati con una funzione che fa dipendere l’indennità degli organi istituzionali dalla dimensione demografica dell’ente e dal ruolo di capoluogo di provincia, con un correttivo per gli enti molto piccoli (<5mila abitanti). Più precisamente IND = β + β1 pop 2010 + β2 capoluogo + β3 piccoli. Si ottiene un R2 pari all’87%.
(2) Uil (2013), I costi della politica
(3) Iommi S. (2013 a), “Dimensioni dei governi locali, offerta di servizi pubblici e benessere dei cittadini”, Irpet, Firenze

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  1. Giò

    Scrivo questo commento da un paese di 480 abitanti dell’Astigiano, un paese che 1991 aveva un collegamento pubblico di autobus, una scuola materna, una panetteria, una macelleria, una pompa di benzina, un emporio e un negozio di alimentari. Ora siamo nel 2014: la scuola materna ha chiuso, esiste solamente uno scuolabus e un bus per gli studenti più grandi che parte alle 6.45 del mattino e torna alle 15,30 del pomeriggio e dei tre negozi ne è rimasto solo uno. Il bilancio comunale è rimasto in equilibrio grazie al fatto che tutti i consiglieri comunali e il sindaco hanno fatto opera di volontariato in questi 10 anni di amministrazione. Dove sono i costi della politica nei piccoli paesi? Francamente non capisco

    • marco

      Sono anch’io residente in un piccolo paese dell’Astigiano, faccio il consigliere comunale e non ho alcun gettone. I costi non sono quelli della politica (che massacrano i piccoli) ma quelli di una burocrazia elefantiaca studiata a tavolino per imbandire le tavole di consulenti e altri analoghi sui et sibi servant che appestano il paese come squallidi sciacalli. Ci vuole più rispetto per ciascuno nelle sue scelte individuali, anche di mantenere piccoli centri, altrimenti diamo il via alle deportazioni staliniste e mussoliniane e pace per tutti.

  2. Piero

    Ho vissuto per circa 25 anni in Olanda ed ho assistito ad almeno 2 ondate di integrazione dei comuni piu’ piccoli in entita’ piu’ grandi .

    Questo con altre misure ha ridotto di decine di migliaia il numero di dipendenti “statali” (civil servants) anche escludendo le numerose privatizzazioni (poste , societa’ municipalizzate etc. ).

    Nel frattempo la popolazione olandese e’ passata dai 14 ai 17 milioni (16.8 milioni) .

    In Olanda l’ organizzazione statale e’ oggiornata continuamente tenendo conto il progresso tecnologico ed aumentando la partecipazione democratica.

    I cambiamenti non possono essere una tantum , si deve progettare un organizzazione politica ,statale , municipale etc. che sia obbligata ad evolversi con i cambiamenti tecnologici e le esigenze democratiche dei cittadini .

    Piero Fornoni
    Toronto, Canada

  3. rob

    Senza dire cose già ripetute fino alla noia, la follia è sola una: la regionalizzazione del Paese decisa negli anni ’70: la stiamo pagando cara e non si sa come andrà a finire! La regionalizzazione fu la somma di due stati d’animo: frustrazione congenita della sinistra e amore ben radicato nel DNA per i governi ombra. Perché i Governi regionali furono concepiti con l’idea di governo parallelo contrapposto al Governo centrale di potere DC. I risultati sono sotto gli occhi di tutti. L’ Italia, in un ipotesi federale è di per sé una Regione per grandezza territoriale e abitanti; come si può concepire il Molise o il Friuli, territori che hanno gli abitanti di due condomini di Roma? In 40 anni interi nuclei familiari, parenti, amici degli amici sono cresciuti con la concezione del particolare locale: procurarsi il posto alla ASL, da bidello, da funzionario regionale, provinciale, comunale, da consigliere di circoscrizione o anche dal mettere su una bella lista civica (sindaci eletti con l’appoggio di 10 liste civiche, alcuni anche con firme false) in cui il capo lista aveva come riconoscenza un posto al consiglio o a capo di una municipalizzata. Gente, che nella vita avrebbe stentato a campare, con simili giochetti si trovava con stipendi faraonici senza sforzo alcuno, senza responsabilità e senza competenze. Un’intera generazione è cresciuta con questa mentalità. Il Paese martoriato da queste metastasi si ritrova ad affrontare un mondo globale senza più la mentalità del sistema-Paese. Dove possiamo andare?

  4. Libero pensiero

    Editoriale molto utile, grazie.
    Condivido la sostanza dell’intervento del Sig. Piero Fornoni sotto.

    Pianificazione, economie di scala, via le regioni (4/5 distretti, piu’ che sufficienti) e le province, economia di processi, riduzione stakeholders, titolo V della Costituzione

    Non so cosa potra’ fare Cottarelli. Ci sarebbe lavoro per anni per decine di società di consulenza globali
    Sarebbe interessante un’analisi di correlazione che studi l’evoluzione storica di nuovi enti/spese ecc in % GDP
    F.to. Asterix, lasciapassare A38…
    http://www.google.co.uk/publicdata/explore?ds=z8ehg1neoorltg_&ctype=l&met_y=valaddac_t&hl=en_US&dl=en_US#!ctype=l&strail=false&bcs=d&nselm=h&met_y=govdefct_t3&scale_y=lin&ind_y=false&rdim=country_group&idim=country:DEU:SWE:GRC:CHE:ITA:USA:FRA:FIN:BEL:AUT:ESP:GBR:PRT:NLD:NOR:JPN:IRL:DNK:CAN:AUS:NZL&ifdim=country_group&tstart=26348400000&tend=1288652400000&hl=en_US&dl=en_US&ind=false

  5. rob

    Rispetto il suo lavoro e la sua professionalità, ma le chiedo se è possibile che in un palmo di territorio come l’Italia ci siano 21 Irpet (Istituto Regionale Programmazione)? Andiamo a prendercela con l’ultimo Comune dove spesso il sindaco è segretario, vigile, autista, etc? Non crede che si inizia dalla parte sbagliata e meno influente ai fini delle spese folli?

  6. Piero

    Complimenti per il realismo, in ogni caso dobbiamo reagire, in primis dece cambiare la politica, riduzione dei politici per legge, adesso vediamo la riforma costituzionale di Renzi, poi riduzione degli stipendi dei parlamentari e dei consiglieri regionali con legge ordinaria da dare subito; questa nuova classe politica dovrà fare cambiare la pubblica amministrazione rendendola più efficiente e quindi più economica. Sarà un sogno ma dobbiamo cercare tutti che ciò dovrà avvenire, oggi chi può garantire ciò dal lato dei partiti politici e’ il movimento cinque stelle, l’occasione in ogni caso può averla in questo momento anche Renzi se riesce a giocarsi bene la carta che ha in mano questo momento.

  7. Massimiliano Claps

    Ho analizzato per lavoro il tema del consolidamento dei comuni, o anche semplici shared services che permettano di mettere a fattor comune servizi di back office, tipo supporto informatico, personale, acquisti, raccolta rifiuti, gestione tributi e così via. Ho osservato il fenomeno in Queensland (Australia), alcuni stati americani, Canada, Olanda (come fa notare un altro lettore) e Nord Europa. La teoria, come molto ben articolata dall’analisi presentata in questo blog, non fa una grinza, soprattutto per quelle unità politico-amministrative molto al di sotto di una certa scala. Purtroppo all’atto pratico la governance del processo di consolidamento e la governance dei processi di gestione dei nuovi enti una volta consolidati è particolarmente problematica. Ciò allunga i tempi, riduce i benefici della standardizzazione per accontentare interesse locali (a volte anche legittimi), insomma finisce per ridurre il potenziale impatto positivo. In Queensland stanno addirittura pensando di tornare sui propri passi, dopo circa 6 anni. In mancanza di una chiara pianificazione, di una cultura politico-amministrativa che metta al primo posto il bene comune e non l’interesse locale, di una governance snella e con una leadership univoca, il rischio di fare quella fine è alto. E francamente molti di questi fattori “soft” in Italia sono deboli, per non dire peggio.

  8. Francesco Crispino

    L’analisi fornisce una ulteriore sostegno ad una tesi che propongo da quando si è iniziato a parlare della soppressione delle province, sostenendo per l’appunto che va riformato l’intero modello organizzativo dello stato; esso deve poggiare su due cardini, l’accorpamento dei comuni, e la formazione di macroregioni. In una parola superare la visione medievale del nostro paese. Guardare all’Europa come nazione unita di stati: in tal senso mi appare del tutto evidente che una regione come il Molise è emblematica dell’incongruenza rispetto ad una visione più allargata che superi la visione localistica italiana. Vedi http://francescocrispino.wordpress.com/2013/10/04/abolire-le-province-non-basta/

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