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Istruzione: che fare per una spesa regionale equa

Tra le materie su cui Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna chiedono la competenza esclusiva, quella che “costa” di più è l’istruzione. Il finanziamento deve comunque avvenire attraverso una compartecipazione al gettito Irpef. Ecco come potrebbe essere strutturata.

Quanto vale l’istruzione

Dopo le prime bozze di accordo sul federalismo differenziato, il 25 febbraio il presidente del Consiglio e i presidenti delle regioni Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna hanno siglato le intese relative al decentramento di funzioni di spesa previste dall’articolo 116, terzo comma della Costituzione.

La lista delle funzioni da trasferire ne include venti per la Lombardia, ventitré per il Veneto e sedici per l’Emilia Romagna. Tra queste, la funzione che ha maggior rilievo finanziario è quella dell’istruzione scolastica e universitaria, che è pari al 13 per cento della spesa regionalizzata dello stato. Le risorse a disposizione per la Lombardia ammonterebbero a 5 miliardi e 600 milioni su un totale per le regioni a statuto ordinario di 34 miliardi: circa il 16 per cento del totale della spesa regionalizzata. Solamente questa voce aumenterebbe le spese della Lombardia del 24 per cento. Per il Veneto le risorse sono 2 miliardi e 900 milioni, che rappresentano l’8,5 per cento del totale della spesa e il 26 per cento di quella attuale regionale. Per l’Emilia Romagna abbiamo 2 miliardi e 800 milioni, che sono l’8,4 per cento della spesa totale e il 27 per cento di quella regionale.

Nelle tre regioni confluirebbe quindi circa un terzo del totale della spesa per istruzione, aumentando le spese regionali in media di un quarto del totale.

L’articolo 5 delle intese definisce il modo in cui devono essere attribuite le risorse finanziarie. In particolare, i fabbisogni standard dovranno essere determinati entro un anno dall’adozione dei decreti che formalizzano il decentramento delle funzioni. Nel caso in cui non si riuscisse ad accordarsi sui fabbisogni standard, vi è una clausola di salvaguardia secondo la quale, dopo tre anni dall’approvazione dei decreti, l’assegnazione delle risorse non può essere inferiore al valore medio nazionale pro-capite della spesa statale. Tutte e tre le regioni hanno al 2017 una spesa pro-capite inferiore alla media nazionale. In particolare, la Lombardia riceverebbe 98 euro pro-capite in più rispetto alla situazione odierna (il 17 per cento in più), il Veneto 66 euro pro-capite in più, pari all’11 per cento, e l’Emilia Romagna 19 euro pro-capite in più pari al 3 per cento. Per un totale di risorse pari a quasi un miliardo e 400 milioni da recuperare tra le spese per istruzione delle altre regioni, visto il vincolo previsto dalle stesse intese all’articolo 6 di non “derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica”. L’alternativa, certo, potrebbe essere quella di diminuire altre spese centrali.

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Il finanziamento di nuove funzioni di spesa devolute deve avvenire – come recita il terzo comma dell’articolo 5 delle intese – attraverso una compartecipazione “al gettito maturato nel territorio regionale dell’imposta sui redditi delle persone fisiche e di eventuali altri tributi erariali”.

Un calcolo sulle compartecipazioni

Come strutturare la compartecipazione, ovvero la quota di Irpef che spetterebbe alle regioni? La legge 42/2009 prevede già l’istituzione di una compartecipazione che finanzi le spese cosiddette primarie sui territori regionali (quelle comprese nell’articolo 117, secondo comma lettera m), tra cui rientra certamente l’istruzione. Facendo ricorso agli articoli 7, 8 e 9 di quella legge si potrebbe pensare a un’aliquota unica per tutte le regioni, che finanzi la spesa della regione più ricca, ovvero quella con rapporto tra spesa e imposta netta Irpef minore. Sarà poi necessario definire un’ulteriore aliquota di compartecipazione che finanzi il totale della differenza tra la spesa delle altre regioni e il gettito derivante dall’applicazione dell’aliquota prima definita.

Un primo esercizio può essere fatto utilizzando per il momento la spesa storica. Otteniamo così una compartecipazione al gettito Irpef pari al 16 per cento che azzera la spesa storica per istruzione della Lombardia. Poi è necessaria un’ulteriore compartecipazione dell’8,6 per cento che finanzi la somma delle differenze tra la spesa per istruzione e la compartecipazione al 16 per cento delle altre regioni. Quindi, per finanziare la sola spesa per istruzione occorre una quota al 24,6 per cento dell’Irpef.

Tabella 1

Nota: spesa regionalizzata e dichiarazioni fiscali Irpef (Mef), popolazione residente (Istat)

Le compartecipazioni e i trasferimenti avverrebbero solo per le regioni che hanno siglato l’intesa per l’autonomia. Per le altre, la compartecipazione e il trasferimento calcolato contribuirebbero a definire la quota della spesa statale loro assegnata.

Un finanziamento così strutturato implica che le regioni ricche finanzino parte della spesa delle regioni povere. Infatti le regioni ricche avrebbero bisogno di una compartecipazione al reddito aggiuntiva inferiore all’8,6% per finanziare la propria spesa mentre le regioni più povere necessiterebbero di una compartecipazione superiore all’8,6%.

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D’altronde, questo risultato si può osservare applicando compartecipazioni diverse per ogni regione, in modo tale da coprire la spesa a esse relativa, come si vede dalla quarta colonna della tabella 1. In questo caso, infatti, le regioni povere tratterrebbero nel proprio territorio una quota di Irpef superiore a quella trattenuta dalle regioni ricche.

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  1. Savino

    La vera lista della spesa, sulle spalle delle aree depresse. è negli atti del processo Formigoni.

  2. Ernesto Longobardi

    La legge 42/2009 prevedeva che, una volta portata in pareggio, con la compartecipazione, la regione “più ricca”, i gap delle altre regioni venissero colmati con il fondo perequativo. Il sistema a doppia aliquota che viene qui proposto mi sembra ne riproponga la sostanza, ma in modo più complicato e meno trasparente. Forse ci sono dei vantaggi che non vedo, saluti cordiali Ernesto Longobardi

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