A Bruxelles aleggia la convinzione che esistano ancora ingiustificate barriere all’ingresso e restrizioni non necessarie alla pratica di alcune professioni. Così la Commissione europea ha annunciato l’inizio di un sistematico esame della regolamentazione che le concerne. Obiettivi e difficoltà.
REGOLE DA GIUSTIFICARE
Il 2 ottobre 2013 la Commissione europea ha annunciato l’inizio di un sistematico esame della regolamentazione delle professioni nell’Unione.
Da tempo la Commissione europea ritiene che un’appropriata regolamentazione delle professioni possa giocare un ruolo nello stimolare la crescita dell’occupazione e la mobilità del lavoro tra Stati e tra professioni, con possibili effetti positivi sull’andamento dell’economia. Se da una parte si constata che la regolamentazione possa avere effetti positivi, per esempio garantendo minimi livelli di qualità, dall’altra si nota come possa anche causare aumenti dei prezzi, minore utilizzo di certi servizi e minore occupazione. A Bruxelles aleggia la convinzione che esistano ancora ingiustificate barriere all’ingresso e restrizioni non necessarie alla pratica di alcune professioni.
L’obiettivo per i prossimi anni è dunque valutare la giustificazione economica della regolamentazione esistente. La Commissione vuole indurre gli Stati membri a confrontarsi sul tema, studiando i modelli di regole adottati nei diversi paesi. Nel far questo, ci si domanda se l’attuale regolamentazione sia proporzionata all’obbiettivo che intende raggiungere, o se invece le restrizioni introdotte siano eccessive.
In una prima fase (entro marzo 2014), gli Stati membri dovranno esaminare la propria regolamentazione e descrivere dettagliatamente le regole di accesso e di pratica delle professioni. Si tratta di un esame globale che coinvolgerà i settori più diversi, dalle costruzioni a trasporti, turismo, intrattenimento, salute, grande e piccola distribuzione. Nella seconda fase, la Commissione organizzerà incontri tra i rappresentanti degli Stati membri per valutare e confrontare le differenze esistenti. A questo punto, la Commissione chiederà agli Stati di preparare un documento in cui si illustrino i cambiamenti in atto o in programma. La seconda fase si dovrebbe concludere entro il 2015. In fine, nella primavera del 2016, la Commissione proporrà a sua volta, ove ritenuto necessario, cambiamenti o riforme. Non si esclude, a questo punto, l’apertura di procedure di infrazione ove gli Stati siano in violazione di direttive europee.
Le preoccupazioni della Commissione sembrano giustificate. Gli effetti della regolamentazione sono difficili da valutare se si prende come metro una qualche misura di benessere sociale, che includa cioè i vantaggi e gli svantaggi di chi presta (o vorrebbe prestare) il servizio e di chi lo consuma (o vorrebbe consumarlo). Sulla base di precedenti rilevazioni della Commissione, non sono solo medici, infermieri e insegnanti a essere soggetti a regolamentazione. Anche agenti immobiliari, agenti di viaggio, manicuristi, podologi, istruttori di golf, allevatori di api, scalpellini, meccanici, liutai, fabbricatori di busti e ceramisti sono professionisti soggetti a regolamentazione in almeno uno Stato europeo (se ne contano oltre 800 in totale). Non si può escludere che esistano buone ragioni per la regolamentazione di ognuna di queste attività, ma non si può che comprendere una certa perplessità da parte di chi cerca di guardare al fenomeno nella sua interezza.
La regolamentazione delle professioni europee è quanto meno eterogenea. Confrontarsi con questa eterogeneità potrebbe avere l’effetto di eliminare gli approcci più dogmatici. Prendiamo come esempio il mercato degli avvocati. In alcuni Stati europei (per esempio Danimarca, Finlandia, Olanda, Svezia,) molte attività tipicamente riservate agli avvocati possono essere svolte anche da non avvocati: L’appartenenza all’ordine professionale può dunque essere garanzia di qualità, ma non vi è obbligo di acquistare questi servizi da persone iscritte all’ordine. Non risulta che il mercato dei servizi legali finlandesi sia molto peggiore di quello di altri Stati, per esempio nel Sud del continente. Bisognerà prepararsi a un pragmatico confronto su questi temi, riconoscendo che esistono diversi approcci alla regolamentazione di uno stesso mercato.
TRE PRINCIPI DA RISPETTARE
Gli obiettivi della Commissione sono ambiziosi e non mancheranno le difficoltà nel raggiungerli. Per prima cosa, gli Stati si dovranno impegnare nel censire non solo le professioni più note (per esempio, in Italia avvocati, notai e farmacisti) ma anche quelle meno conosciute, dagli psicologi alle guide alpine. Alcune professioni, come i tassisti in Italia, sono regolamentati a livello regionale o cittadino, creando oggettivi problemi per chi intenda raccogliere dati in modo sistematico.
Un secondo problema è costituito dalla scarsa abitudine di molte amministrazioni pubbliche europee ad argomentare su questioni tipicamente economiche. La Commissione richiederà di motivare l’attuale regolamentazione sulla base di tre fondamentali principi:
1. Non-discriminazione. Si tratta di garantire l’accesso alla professione di persone straniere o non residenti. Quando la regolamentazione è regionale o locale, il principio si applica non solo alla mobilità tra Stati, ma anche tra regioni o città.
2. Giustificazione (sulla base di importanti ragioni di interesse generale). A questo proposito bisognerà cimentarsi con il concetto di interesse generale ed entrare nel merito delle inefficienze che richiedono specifici interventi del regolatore. Quello che la Commissione intende per interesse generale sembra avvicinarsi molto al concetto di benessere sociale usato dagli economisti.
3. Proporzionalità. Agli occhi della Commissione, ogni intervento del regolatore deve avere un preciso obiettivo di interesse generale. La regolamentazione non deve andare oltre quanto strettamente necessario per raggiungerlo.
Il secondo e terzo principio richiederanno uno sforzo inusuale da parte dell’Italia nell’usare appropriate argomentazioni economiche ancor prima che giuridiche. Potrebbe essere dunque necessaria l’analisi di dati e statistiche, cosa ancora rara nel dibattito sul tema in Italia. L’esame della proporzionalità richiederà anche di entrare nel dettaglio delle numerosissime regole per la pratica delle professioni, come quelle sull’utilizzo della pubblicità (oggetto di recenti riforme in Italia) o sulla presenza di soci di capitale.
In conclusione, l’iniziativa europea potrà gettare un po’ di luce su un argomento spinoso (e ancora troppo poco studiato). Difficilmente la Commissione potrà obbligare gli Stati a cambiare le proprie regole contro la loro volontà, se non in casi estremi. Tuttavia, lo spostamento dell’attenzione sugli effetti globali della regolamentazione non può che essere applaudito dagli economisti, che da lungo tempo hanno notato come gli interessi di consumatori, lavoratori nella professione, lavoratori fuori dalla professione e giovani in cerca di lavoro spesso trovino rappresentazione molto diversa quando si tratta di stabilire le regole sul mercato del lavoro.
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Guido Pucci
Sono un Dottore Commercialista: non capisco questo accanimento contro le professioni. Per fare cosa? Migliorare la qualità dei servizi? Prezzi e tariffe più concorrenziali? Agevolare l’ingresso dei giovani? Ebbene, io ho 32 anni e mi sono guadagnato col sudore della fronte la laurea ed il titolo dopo 3 anni di tirocinio. In Finlandia ci sono servizi legali effettuati da non avvocati? Può darsi, anche qui in Italia. Ci sono anche servizi e consulenze fiscali fatte da non Dottori Commercialisti? Anche qui, in Italia. Come facciamo a garantire la qualità e la preparazione delle genti che si appropinqueranno a svolgere questi servizi se non professionisti riconosciuti? Regolamentandone le mansioni, con leggi e decreti precisi e puntuali. Ma allora, perchè non rimanere nell’attuale sistema di regolamentazioni? Modifichiamolo, integriamolo, ma sembra che il male dell’economia italiana siano i professionisti tutelati da ordini riconosciuti dallo stato. Ebbene, secondo me non c’è più folle affermazione. Ma voi avete idea dei compiti che un dottore commercialista deve intraprendere per non incorrere in sanzioni da parte dell’AdE? Sicuramente no, altrimenti ci pensereste due volte prima di affermare che le professioni in Italia sono da eliminare.
Antonio Nieddu
Mi aggiungo al collega, come al sig. Pasqualis. E ancora: come professionista protetto, in circa 20 anni di lavoro non ho ancora compreso quale sia stata la protezione che mi avrebbe dato l’esercizio di questa professione. Sicuramente non dal punto di vista tariffario, dato che mi sono sempre dovuto confrontare con le esigenze dei Clienti (e con la mia necessità di lavorare); sicuramente non dal punto di vista delle c.d. rendite di posizione, visto che – per la maggior parte – si forniscono servizi che non sono regolamentati in alcuna maniera e che possono fornire tutti. Non ho neppure la protezione che mi potrebbe derivare dal “nome”: mio padre faceva tutt’altro mestiere e non ha potuto aiutarmi, anche volendo. Chiedo: dove stanno le limitazioni alla concorrenza (e gli altri gravi problemi e preoccupazioni) in tutto questo?
EzioP1
Premetto che ormai sono in pensione e quindi non più soggetto
alle emergenti regolamentazioni. Ma faccio presente che nei compiti a livello dirigenziale nazionale ed internazionale il principio che mi ha sempre guidato è stato quello che il Pentagono aveva affermato sin dagli anni della seconda guerra mondiale: “le difficoltà creano gli uomini capaci di risolverle”. Un modello di valutazione così “ingessato” come quello cui si mira, nella verifica dei corsi di studio e di abilitazione, nelle valutazioni dei baroni dell’insegnamento non lascerebbe spazio a chi ha iniziativa, inventiva, capacità di scoperta ovvero di “saper leggere la natura”. Inoltre sarebbe da non sottovalutare il rischio
conseguente alla disparità di programmi di istruzione e formazione nei vari paesi per chi fruisse dei servizi resi da un fornitore di origine straniera; ciò nel caso in cui la UE giungesse ad imporre regole comuni ancorchè realizzate in modo completamente autonomo dai paesi membri.
Paolo Pasqualis
Le questioni veramente importanti per ammodernare le libere professioni in Italia oggi sono la verifica della qualità all’ingresso e durante l’esercizio (formazione permanente), la responsabilità e la fedeltà fiscale.
Tutto il resto, di cui l’articolo è un esemplare esercizio di stile (quanti di uguali ne abbiamo letti da almeno quindici anni a questa parte), continua ad essere solo l’esposizione di postulati e teoremi che non hanno riscontro nella realtà: le tariffe professionali sono state abolite da anni, la pubblicità è consentita, non vi è un altro Paese al mondo che colloca una percentuale così alta di laureati nelle professioni, le “barriere” all’accesso sono solo virtuali (altrimenti non si vedrebbero cosí tanti professionisti somari).
Luciano
Caro Pagliero riguardo i taxi devi documentarti meglio. In Italia la regolazione dipende da una legge nazionale (Legge 21/92, integrata dal Decreto Bersani Legge 248/2006) a cui tutti i regolamenti regionali e/o comunali fanno stretto riferimento.
La stessa cosa (cioè vigenza di leggi nazionali) vale x Francia, Spagna,Grecia e la maggioranza degli stati EU. Una maggiore articolazione e frammentazione della regolazione è invece presente in UK e in Germania (Lander).
I comuni, le contee, le prefetture,ecc (come in tutto il mondo, USA compresi) stabiliscono invece tariffe, turni di servizio e modalità di stazionamento; ovviamente diversi da città a città (secondo struttura della domanda, topografia e dimensioni urbane, viabilità, codice stradale e livello locale di prezzi e tariffe).
Voglio ricordare che i Taxi sono stati esclusi (cioè considerati di esclusiva podestà legislativa nazionale) dalla Direttiva europea sui servizi del 2006 (Direttiva Bolkestein).
Infine arrivo veloce al sodo chiarendo subito “le perplessità di chi guarda il fenomeno nella sua interezza” .
Si vuole nuovamente riaprire il cantiere della deregulation del servizio taxi nonostante i clamorosi e conclamati disastri (vedi Irlanda,Olanda, Svezia,dove al danno della miseria degli autisti si è sommata la beffa dell’aumento delle tariffe e il paggioramento del servizio)?
Bhè i tassisti Italiani (al pari dei colleghi Francesi, Spagnoli, Greci, Portoghesi) non ci stanno.Non hanno alcuna intenzione di farsi espropriare.
Le licenze le hanno pagate (con tanto sudore), su di esse hanno pagato balzelli e tasse sulle plusvalenze, x queste hanno in essere mutui bancari, su di esse contano per non sprofondare nella miseria una volta cessata l’attività e i comuni (nel caso italiano) tali licenze le hanno vendute. Tutto a norma delle vigenti leggi.
Se gli euroburocrati vogliono comunque continuare a insistere con fallimentari esperimenti iper-liberisti la strada da percorrere è la seguente.1) Ricomprare le licenze a prezzi di mercato (cioè risarcire il danno stimabile in 2,5 -3 mld euro solo x Italia) 2) Varare un piano di reinserimento al lavoro per circa 40.000 lavoratori (solo nel caso Italiano) di cui il 50% di questi con 45-50 anni d’età. GRAZIE!
Catina Balotta
Il tema delle professioni non regolamentate è attuale e d’indubbio interesse. Avendo lavorato per AIV (associazione italiana di valutazione) mi sono occupata del possibile percorso di istituzionalizzazione della professione di valutatore e ho quindi avuto modo di approfondire il tema in questo contesto.
Allo stato attuale esiste in Italia una legge sulle professioni non regolamentate (LN 4/2013) che ne disciplina la regolazione volontaria attraverso la costituzione di Associazioni professionali. Il meccanismo costitutivo è simile a quello di un dispositivo tecnico: per ogni nuova professione occorre definire a cosa serve, quali problemi risolve, i requisiti di idoneità richiesti (titoli di studio idonei), la disciplina interna e le buone prassi da adottare: tutto ciò sarà valutato da un organismo di attestazione (Uni) e vigilato dal ministero dello sviluppo economico.
Dubito che la stessa comunità Europea tornerà indietro su questo, semmai aggiungerà specifiche e ritarerà alcuni standards. Credo che al centro del dibattito resti il problema del “mercato delle professioni”. Questo per diversi ordini di motivi:
1 – Ha senso regolamentare professioni che non hanno un effettivo mercato e che non sappiano sopravvivere in un regime concorrenziale? (la stessa legge Italiana prevede la possibilità della costituzione di più associazioni professionali fatte da soggetti che svolgono lo stesso “lavoro”);
2 – Ha senso incrementare la concorrenza se ciò che è prioritario è mantenere standard minimi equi per tutti i cittadini, non flessibilizzando le tariffe e non permettendo la diversità dei metodi?;
Inoltre io credo che il tema vada analizzato anche da un altro punto di vista e cioè: esistono regole “etiche” (anche deontologiche) che, di fatto, sono contrarie ad un sistema concorrenziale e che possono essere adottate da dei professionisti che fanno il loro lavoro con la massima serietà?
Quando aprire davvero al mercato e quando il mercato va “regolato”?. Quando il tipo di “attività professionale” necessita di forme di tutela che non “reggono” il mercato ma che vanno comunque garantite? Tutti i processi sensati e rigorosi producono conoscenza, così come tutte le azioni professionali ben fatte innescano processi di autoriflessione. Se non ci sono soldi (in proporzione accettabile dal mercato) per determinati tipi di attività di pubblica utilità, l’attività in sè non è legittima perché non legittimata dal suo saper stare sul mercato? Il tema del dono/della solidarietà centra sempre come motore valoriale dell’azione sociale e socialmente posta (se poi la definiamo pubblica o agente per una missione pubblica di tutela delle minoranze e delle diversità, allora la negazione della riflessione è esiziale), il tema diventa quindi: in che misura interfaccio la cultura della professione e in che misura oriento l’azione dei singoli (o associati) professionisti?.
Spartaco
Chissà che le prossime elezione per il Parlamento europeo riescano finalmente a scardinare la fallimentare ideologia neoliberista difesa strenuamente da Bruxelles!
Maurizio
Non comprendo. Vuoi che le corporazioni vivano a spese di tutti i cittadini?
Spartaco
Non comprendo la tua incomprensione. Ancora la trita tiritera sulle corporazioni professionali?.ancora la mitologia del cittadino consumatore?..ma basta!!
Ci sono più professionisti di varia natura -non solo in Italia- ad affollare mercati già saturi che molecole di idrogeno nell’universo (es in Lombardia e Lazio ci sono più avvocati che nell’intera Francia,ma gli esempi sono infiniti). Le tariffe minime sono morte e sepolte da tempo,non te ne sei accorto?
Non parliamo poi dei mercati liberalizzati (luce,gas,assicurazioni,ecc); gli utenti rimpiangono come un “lost paradise” le tariffe amministrate e i monopoli di stato.
Un velo pietoso sulle sorti “meravigliose e progressive” delle privatizzazioni (una polemica troppo facile).
Cito Federico Rampini da Repubblica 23/04/2011 “Obama alla fine dei sogni” per sintetizzare con parole certo più efficaci delle mie:
“..La deregulation ha partorito nuovi monopoli privati al posto dei monopoli di stato. Le regole sui mercati sono state indebolite, travolte, aggirate. I controlli manipolati dalle lobby della finanza e grande industria.L’eden del cittadino-consumatore non si è visto,quello dei chief executive sì…”