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Euro 2012, quanto costa la bocciatura dell’Italia

I dati sembrano indicare una correlazione positiva tra organizzazione degli campionati europei di calcio e una maggiore crescita dell’economia. Poiché nel nostro paese il turismo ha un ruolo molto importante, la perdita in termini di mancata crescita del Pil può essere quantificata in circa 0,8-2,25 miliardi di euro. E la sconfitta è doppia perché ancora una volta è parsa chiara la mancanza di strategie coerenti in un settore, quello calcistico, che continua a essere governato con logiche che appaiono sempre più inadeguate ai tempi.

Doppia sconfitta per l’Italia. Per fortuna c’è il Milan. La bocciatura della candidatura italiana a ospitare Euro 2012 può essere esaminata sotto varie prospettive. Per quanto quella dell’orgoglio nazionale ferito sia forse la più prossima al modo di auto-rappresentarsi del nostro calcio, che a tutti i livelli sembra non riuscire a distaccarsi dalla dimensione ludico-passionale che da sempre lo caratterizza, altre chiavi di lettura paiono fornire risposte al tempo stesso più interessanti e meno consolatorie. Dopo che a Cardiff il 18 aprile scorso Michel Platini ha annunciato la designazione di Polonia e Ucraina come organizzatori della fase finale dei Campionati europei del 2012, molti commentatori hanno indicato tra le cause dell’insuccesso italiano la perdita di immagine del “sistema Italia”, attribuendola vuoi agli episodi di corruzione legati a “Calciopoli”, vuoi all’alto tasso di violenza negli stadi, non senza citare la rivalità di altre Federazioni calcistiche forti. Nessuno, però, si è preoccupato di quantificare questa bocciatura in termini di mancata crescita del Pil del nostro paese, dovuta al fatto che le partite tra cinque anni vengano giocate a Wroclaw e Odessa anziché a Bari e Verona.

L’impatto economico

A noi pare invece che l’impatto economico debba essere il punto di partenza per esaminare le implicazioni dell’organizzazione di eventi internazionali di così grande richiamo. A considerazioni di carattere quantitativo devono poi seguirne altre, volte a misurare l’impatto “qualitativo” di queste manifestazioni, che inevitabilmente differiscono a seconda del contesto in cui si svolgono. A parità di altre condizioni, è legittimo attendersi che i medesimi investimenti abbiano differenti ricadute su economie che attraversano diverse fasi del ciclo economico e siano caratterizzate da diverse dotazioni di infrastrutture di base e specifiche, e che abbiano o meno settori in grado di sfruttare sinergie con l’evento sportivo.Partendo dalla prima questione, osserviamo che non è molto facile ottenere una stima di quanto possa incidere l’organizzazione di un Campionato europeo sull’economia del paese organizzatore. Ciò è dovuto al fatto che non è possibile calcolare in modo preciso le spese totali a cui devono far fronte gli organizzatori sia per mancanza di informazioni dettagliate (1), sia perché i costi possono essere imprevedibili (si pensi ad esempio a spese straordinarie dovute alla sicurezza). I costi pianificati per l’organizzazione sarebbero 872 milioni di euro, suddivisi in 672 per interventi nelle infrastrutture degli stadi e 200 per le misure di sicurezza. (2) Un metodo che può essere adottato per calcolare il mancato aumento netto della crescita del prodotto interno lordo è quello di osservare alcuni dati economici a partire dagli anni Ottanta per i paesi organizzatori. Abbiamo ristretto la nostra analisi al settore economico che dovrebbe essere maggiormente coinvolto, ossia “hotel e ristoranti” utilizzando dati forniti dalla banca-dati europea Euklems. (3) Nella due tabelle qui sotto consideriamo la variazione annuale in termini percentuali per il valore aggiunto e per ore lavorate nell’anno dello svolgimento della fase finale per il paese organizzatore. Per controllare che il dato non sia affetto da eventi esterni che incidono sul turismo (ad esempio, dal clima), confrontiamo la stessa crescita per uno dei suoi paesi confinati e per la media dei 15 paesi europei, evidenziando le performance dell’organizzatore superiori a quella del paese confinante.

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VALORE AGGIUNTO

 

Italia

Francia

EURO15

1980

1,10

0,82

-0,38

 

Francia

Italia

EURO15

1984

0,28

-5,45

0,36

 

Germania Ovest

Francia

EURO15

1988

-0,68

0,14

2,15

 

Svezia

Danimarca

EURO15

1992

2,33

-5,34

-0,75

 

UK

Francia

EURO15

1996

2,93

-0,85

-0,11

 

Paesi Bassi

Francia

EURO15

2000

5,19

4,51

4,46

 

Portogallo

Spagna

EURO15

2004

1,55

3,75

1,56

 

 

 

 

Media

1,81

-0,35

1,04

Tabella 1: variazione percentuale annua del valore aggiunto

Per quanto riguarda il valore aggiunto, eccetto per la Germania Ovest e il Portogallo (paese a quei tempi in piena recessione), sembra che ci sia stato un effetto “europei” sul settore turismo nei paesi organizzatori, effetto presente seppure in maniera meno evidente, anche considerando le ore lavorate.

ORE LAVORO

 

Italia

Francia

EURO15

1980

3,11

-1,92

1,50

 

Francia

Italia

EURO15

1984

1,69

4,57

2,53

 

Germania Ovest

Francia

EURO15

1988

2,34

2,46

3,29

 

Svezia

Danimarca

EURO15

1992

3,21

-3,67

-0,10

 

UK

Francia

EURO15

1996

0,22

-0,74

0,74

 

Paesi Bassi

Francia

EURO15

2000

1,41

2,77

0,37

 

Portogallo

Spagna

EURO15

2004

3,20

5,19

1,87

 

 

 

 

Media

2,17

1,24

1,46

Tabella 2: variazione percentuale annua ore lavorate

Questi dati, pur con le approssimazioni insite nella metodologia che abbiamo adottato, sembrano comunque indicare una correlazione positiva tra organizzazione degli europei ed una maggiore crescita dell’economia. Considerando la composizione strutturale dell’economia italiana, in cui il settore del turismo e della ristorazione ha un ruolo molto importante, e valutando un ipotesi pessimistica dovuta ad investimenti erronei, riteniamo che la perdita in termini di mancata crescita del Pil possa essere quantificata in circa lo 0,05-0,15 per cento, 0,8-2,25 miliardi di euro.Ma questa osservazione di larga massima, va opportunamente qualificata in relazione alle caratteristiche infrastrutturali del paese organizzatore.

Manca la credibilità manageriale

Così, se l’assegnazione a Ucraina e Polonia – che indubbiamente risponde anche a considerazioni di politica calcistica (4), e forse di politica in senso lato – mira ad aiutare quei paesi a dotarsi di una rete infrastrutturale di base (5), e appare dunque apprezzabile almeno nelle intenzioni, d’altro canto dobbiamo osservare come la letteratura economica da tempo abbia concluso che l’impatto più significativo si verifica in contesti dove prevale l’investimento privato (6), e soprattutto dove questo possa fare affidamento su una dotazione di impianti già esistente.E dunque è sotto questo aspetto di carattere più strettamente qualitativo, che deve essere esaminata la bocciatura della candidatura italiana. Al di là di considerazioni di campanile, il nostro calcio professionistico non riesce a dotarsi della credibilità manageriale che gli consenta di attrarre quegli investimenti privati, che apparirebbero invero più che giustificati dal volume d’affari aggregato del settore, la cui presenza avrebbe consentito alla candidatura italiana di presentarsi con un profilo nettamente alternativo a quello di Polonia e Ucraina. Come dimostrano anche i contrasti che hanno accompagnato il varo del recente decreto-Amato per la sicurezza negli stadi, tutti incentrati sull’individuazione dei soggetti onerati delle spese di messa a norma, la mancanza di una cornice di governance adeguata ha sinora impedito al calcio italiano di cogliere pienamente le opportunità insite nella inarrestabile modifica del modello di business prevalente nel settore professionistico. Un altro aspetto negativo che contraddistingue l’organizzazione del calcio italiano e che scoraggia investimenti da privati e dall’estero è la totale mancanza di chiarezza e trasparenza: un esempio indicativo proviene dal sito internet della Figc per Euro 2012, dove si apprende che “il governo ha previsto un primo accantonamento di 20 milioni di euro destinati alla possibile assegnazione del Campionato d’Europa per nazioni del 2012 all’Italia”. (7) Tuttavia non vi è un elenco esauriente della distribuzione degli investimenti e del resto, dopo la bocciatura, non è stata data alcuna indicazione sulla destinazione di questo fondo.Se il 18 aprile Platini ha premiato Polonia e Ucraina (8), l’Italia ne è uscita doppiamente sconfitta, non solo per aver mancato un’occasione di “spingere” il Pil, ma perché ancora una volta è parsa priva di strategie chiare in un settore che continua a essere governato con logiche che appaiono sempre più inadeguate ai tempi.

(1) Il sito dell’organizzazione italiana (http://www.2012-figc.org) offre dati molto scarni rispetto ai maggiori dettagli del sito polacco (si veda, per un esempio, http://www2.e2012.org/en/28_280.htm).
(2) Si veda
“Europei di calcio 2012, l’Italia punta un miliardo” sul Sole 24 Ore del 18 aprile 2007.
(3) Disponibili al sito
www.euklems.net
(4)
È un dato di fatto che – perlomeno a partire da Usa ’94 – le organizzazioni di governo del calcio mondiale hanno mostrato una concezione delle manifestazioni di punta del movimento calcistico come strumenti di penetrazione in mercati ancora poco sviluppati, come dimostreranno in seguito le assegnazioni della Coppa del Mondo a Giappone e Corea nel 2002 e al Sudafrica nel 2010.
(5) Vedi L. Maisano, Il Sole 24 Ore del 19 aprile 2007, p. 23: “Se Varsavia prevede di spendere ventisei miliardi di euro, attingendo dai fondi europei garantiti dalla partnership UE, l’Ucraina dovrà fare molto di più e farlo più da sola. Manca di tutto, dagli stadi agli alberghi, da strade e ferrovie ad aeroporti”.
(6) Cfr. J. Siegfried, A. Zimbalist, “The economics of sports facilities and their communities”, in Journal of Economic Perspective, vol 14, 2000, p. 95, e T. Coupé, “Should Ukraine aim to organize the European Championship 2012?”, disponibile alla pagina http://www.eerc.kiev.ua/ypages/details.php?id=020.
(7) http://www.2012-figc.org/euro2012/pagine/giornale/notizie/notizia/default.jspx?id=155
(8) Se gli investimenti saranno gestiti in maniera efficiente, ci aspettiamo per la Polonia una maggiore crescita lorda di 0,2-0,4% del Pil.

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  1. Gian Luca Clementi

    Ci spiegate per cortesia come avete stimato l’impatto dell’Europeo sul PIL allo 0.05-0.15%? Spero tanto che alla base dei calcoli non vi siano i 7 dico 7 data points che presentate nell’articolo. Attribuire alcun valore statistico o economico a quella correlazione non avrebbe proprio alcun senso.

    Mi permetto anche un paio di commenti. Valutare i benefici di un intervento solo in termini di GDP corrente pare alquanto riduttivo, non credete? Avete pensato al costo per il contribuente? E alla possibilita’ di crowding out per consumi e investimenti privati? Agli effetti redistributivi?

    Non aver ottenuto l’organizzazione dell’Europeo e’ un toccasana per il Paese. Mi vengono i brividi a pensare a tutti i denari pubblici che sarebbero stati buttati al vento.

    • La redazione

      Gentile Professor Clementi,

      La ringraziamo per l’intervento. Per la nostra analisi non ci sembra di aver utilizzato una procedura particolarmente esotica: essa si basa su metodi che vengono utilizzati da diversi uffici statistici come quello della Germania (si
      veda il link, purtroppo disponibile solo in lingua tedesca,
      http://www.destatis.de/presse/deutsch/pm2000/input-output-rechnung.pdf) e pubblicazioni su giornali di economia dello sport (tipo il Journal of Sport Economics), in cui si cerca di analizzare l’impatto di avvenimenti sportiviculturali di grande portata guardando esclusivamente al settore della
      ristorazione e degli hotel. Siamo d’accordo che la stima possa essere migliorata. Purtroppo in Europa non si usa costruire per ogni anno le matrici di input-output, ma pensiamo di avvicinarci utilizzando i dati delle industries forniti dalla Commissione Europea. Per quanto riguarda i suoi commenti: abbiamo tenuto conto della spesa del contribuente e la nostra analisi non considera altri fenomeni, proprio per isolare l’effetto nel peggiore delle ipotesi, che risulta essere positivo. Riteniamo pertanto un po’ eccessivo ritenere un po’
      eccessivo che sarebbero stati “soldi buttati al vento”: dopo tutto, come scrive anche lei, ci potrebbero essere anche effetti di crowding out per l’economia, ma, studiando solo gli effetti sul settore della ristorazione, questi dovrebbero essere molto limitati.
      Cordiali saluti

  2. Matteo Missaglia

    Scusate, amici de La Voce, ma voi ragionate solo in termini di aumento del PIL, il che mi pare limitativo per giudicare questa vicenda degli europei di calcio: se la mettiamo su questo piano, anche ricostruire un quartiere distrutto dagli hooligans aumenta il PIL… Forse sarebbe il caso di applicare anche altri criteri di valutazione per dare un giudizio complessivo: basarsi solo sulla crescita del PIL dà una visione molto parziale delle cose.
    Cordiali saluti
    Matteo Missaglia

    • La redazione

      Gentile lettore,
      grazie per l’interessamento. Nel nostro articolo teniamo conto anche dei costi per la sicurezza (che dovrebbe garantire dalle azioni distruttici degli hooligans) per avere una stima netta sull’economia italiana. Ragionare termini di PIL potra’ essere riduttivo, pero’ e’ anche uno dei pochi modo per individuare in maniera quantitativa se esiste una correlazione positiva
      tra crescita dell’economia ed organizzazione degli Europei.

  3. roberto lusardi

    seguo lo sport e le sue implicazioni economiche. a me risulta che i cittadini ateniesi pagheranno più tasse per i prossimi 30 o 50 anni per pagare i debiti lasciati dall’olimpiade del 2004, mentre a Barcellona è stato fatto un ottimo lavoro. ricordo che gli stadi italiani sono stati ammodernati nel 1990 per i mondiali e dopo pochi anni ci ritroviamo stadi vecchi inidonei ad ospitare finali di coppa europea. perchè sarebbe dovuta andare diversamente?

    • La redazione

      Caro Lusardi,
      come lei giustamente sottolinea, l’organizzazione di grandi manifestazioni sportive è una opportunità, di per sé neutra. Se gestita male, può creare problemi più o meno gravi (vedi Atene e Italia 90), ma se gestita bene può essere una straordinaria occasione di creazione di ricchezza, oltre che di
      riqualificazione urbana e di altre ricadute positive (immagine, traino al turismo, ecc.). Noi ci siamo proposti semplicemente di svolgere alcune osservazioni, di carattere prevalentemente qualitativo (in mancanza di dati analitici disponibili), sul potenziale incremento di ricchezza che Euro 2012
      avrebbe potuto portare. Ciò presupponeva ovviamente una gestione più in stile Barcellona 92 che Atene 04, ma d’altra parte non riteniamo si possa assumere come postulato che il nostro paese non sia in grado di gestire manifestazioni di
      questa portata, come confermato dalle recenti Olimpiadi invernali di Torino.

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