Il referendum anti-immigrazione è passato con un scarto di voti minimo e grazie al “no” dei cantoni dove il numero degli stranieri è maggiore, Ticino escluso. Gli argomenti dei sostenitori del “sì” e l’inadeguatezza della classe politica di fronte all’immigrazione.
SCELTE SVIZZERE
Un milione e mezzo di svizzeri ha votato a favore del referendum “contro l’immigrazione di massa”, ma lo scarto con cui hanno vinto i “sì” è stato minimo: meno di 20mila voti. La Svizzera si è dunque spaccata sulla questione immigrazione, e al governo federale, che aveva appoggiato il “no”, toccherà il compito di sedersi al tavolo negoziale con l’Unione Europea per ridefinire gli accordi di libera circolazione. I presagi non sono buoni: Bruxelles ha già mandato a dire che non ci sarà libera circolazione dei capitali senza libera circolazione delle persone.
Come già nel 1992, quando la Svizzera respinse l’ingresso nello “Spazio economico europeo” pagando la scelta con una recessione che si protrasse sino alla fine del 1993, il voto ha spaccato il paese in due. Uno sguardo alla cartina mostra la divisione geografica: la Svizzera francese ha rigettato il referendum, in taluni casi anche con forza, come nel Canton Vaud, o di Ginevra, mentre la Svizzera tedesca e il Ticino hanno votato “sì”.
Tuttavia, poiché il referendum proponeva di bandire l’immigrazione di massa, è utile vedere se, e come, la presenza di stranieri residenti e di frontalieri nei diversi cantoni ha influito sul voto. [tweetable]I risultati elettorali rivelano una correlazione negativa tra la percentuale di stranieri e i voti per il “sì” [/tweetable]. Il grafico 1 mostra che nei cantoni con più stranieri residenti – ad esempio, il Canton Vaud, Ginevra, Zurigo, Zug, Basilea città – hanno prevalso i “no”, mentre i “sì” hanno trionfato soprattutto nei cantoni della Svizzera tedesca, dove le presenza degli stranieri è ben al di sotto della media nazionale del 24 per cento.
La stessa correlazione negativa emerge se si guarda alla proporzione dei frontalieri – ovvero i lavoratori stranieri che entrano ogni giorno a lavorare in Svizzera, ma risiedono (e tornano a dormire) nei loro paesi di origine, ovvero Italia, Francia e, in misura minore, Germania (grafico 2). (1) Anche nelle grandi città, i “no” aumentano se ci sono più stranieri residenti – come nel caso di Ginevra, Berna, Zurigo, Friburgo, Losanna, o Neuchâtel.
Eppure, la narrativa che ha accompagnato la campagna elettorale per il “sì” puntava al timore dello straniero: la paura che gli immigrati o i frontalieri tolgano il lavoro agli svizzeri e che contribuiscano a ridurne i salari.
L’aspetto più interessante del voto svizzero è forse proprio il fatto che, data la situazione economica del paese, questi timori dovrebbero davvero essere molto meno pressanti che in paesi come l’Italia o la Spagna. La Svizzera è forse il paese dove il confronto tra i costi e i benefici dell’immigrazione è più nettamente sbilanciato verso i secondi. In Svizzera il tasso di disoccupazione si attesta sul 4 per cento, quindi le preoccupazioni legate all’impatto occupazionale dell’immigrazione non sono particolarmente fondate. (2) E infatti, a parte il caso del Ticino, le argomentazioni dei sostenitori del referendum erano piuttosto legate ad altri aspetti. Per esempio, l’effetto di contenimento dei salari. Nel dibattito pubblico, però, sarebbe stato opportuno spiegare che un eventuale contenimento dei salari dovuto a una espansione dell’offerta di lavoro ha anche, e forse in primo luogo, un effetto positivo sull’intera economia, come indica il grafico 3, che mostra la relazione tra la presenza di immigrati e il Pil pro-capite di ogni cantone.
Gli immigrati, e con essi anche i frontalieri, arrivano in Svizzera, come in qualsiasi altra parte del mondo, principalmente perché esiste una domanda di lavoro insoddisfatta dai lavoratori locali. Evidentemente, senza gli immigrati si creerebbe una pressione sui salari perché le imprese faticano a trovare lavoratori e sono quindi disposte a pagarli di più. Questo si traduce però in meno occupazione e meno ricchezza complessiva. Dunque, non stupisce che i cantoni e le città economicamente più dinamiche attraggano più immigrati, ma li temano anche meno. E votino “no” al referendum.
Avendo seguito il dibattito interno, non ci sembra che il costo in termini di minore sviluppo e minore produzione di ricchezza di un intervento di chiusura delle frontiere sia stato adeguatamente spiegato agli elettori svizzeri. E ciò è avvenuto nonostante tutte le forze politiche e sociali più importanti si siano schierate contro il referendum.
LE ARGOMENTAZIONI NON ECONOMICHE
Gli altri argomenti utilizzati dal fronte del “sì” ci sembrano invece sottolineare l’inadeguatezza della classe politica di fronte al fenomeno dell’immigrazione. E tuttavia, in Svizzera gli interventi che potrebbero anticipare e regolare i problemi sono relativamente semplici e evidenti. Per esempio, la questione dei frontalieri è stata spesso messa in relazione alla congestione del trasporto locale. A Ginevra, però, da tempo si persegue una politica di collaborazione tra le autorità locali finalizzata alla realizzazione di una rete di trasporto pubblico che oltrepassi le frontiere. I tram ginevrini arrivano a servire anche i paesi della vicina Francia. E forse non a caso, il problema, pur sentito anche a Ginevra, non ha portato a un sostegno così massiccio per l’iniziativa referendaria, come invece è successo in Ticino.
Se vogliamo provare a trarre delle indicazioni per il dibattito sull’immigrazione anche al di fuori della Svizzera, ci sembra quindi che il voto di domenica suggerisca due cose importanti. La prima è che la comunicazione delle forze politiche e sociali moderate sia molto meno efficace di quella degli oltranzisti anti-immigrazione. Anche quando, come in Svizzera, gli argomenti contro proposte come quella del referendum contro l’immigrazione di massa ci sono e sono evidenti.
Il secondo insegnamento da trarre è che la politica deve anticipare i bisogni e le paure indotte dai fenomeni migratori e intervenire per tempo proponendo soluzioni adeguate. [tweetable]Chiudere le frontiere a causa di un ingorgo automobilistico sembra onestamente poco lungimirante [/tweetable]. Probabilmente discutere serenamente di come realizzare un sistema di trasporto locale esteso è una soluzione più coerente.
LO STRANO CASO DEL CANTON TICINO
Uno dei massimi protagonisti della votazione referendaria è stato il vicino Ticino. Unico tra i cantoni con una presenza di stranieri residenti superiore al 25 per cento ad aver approvato il referendum, il Ticino ha fatto registrare la più alta percentuale di “sì” di tutta la Svizzera, con uno scarto di ben 44mila voti, sufficiente dunque a cambiare le sorti del referendum in tutta la confederazione. Inoltre, Lugano è stata l’unica tra le dieci città svizzere con il maggior numero di stranieri residenti ad aver votato “sì”. Perché in Ticino, a differenza che nel resto della Svizzera (soprattutto francese), la massiccia presenza di stranieri e frontalieri ha indotto a votare a favore del referendum? Difficile dire se le paure dei ticinesi siano dovute alla presenza di una Lombardia malaticcia e incombente, o alla consapevolezza che l’economia locale è meno dinamica che in molti altri cantoni.
(1) Il grafico mostra solo i cantoni nei quali la proporzione di frontalieri è almeno pari all’uno per cento della popolazione totale. I risultati non cambiano se si includono anche gli altri cantoni.
(2) Fonte: Ilo.
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Emanuele
Bellissimo articolo, grazie!
giorgio
L’immigrazione aumenta la ricchezza complessiva. Però ciò non implica che l’effetto sia lo stesso per tutti i gruppi sociali, no? Non ritenete che determinati gruppi sociali possano trarre più svantaggi che vantaggi dal fenomeno immigrativo, anche se la società nel suo complesso ne beneficia? Il mio punto è che forse esistono anche ragioni economiche alla radice di questo voto.
pietro fattori
Concordo: le ragioni materiali non spiegano tutto, ma meritano più attenzione, e più analitica.
gg
Ma quanti/quali stranieri residenti potevano votare?
marco
Mi pare che l’analisi non tenga sufficientemente conto delle differenze sociali ed economiche fra i vari cantoni della confederazione. L’immigrazione
non è la stessa fra il Canton Ticino e l’area di Ginevra, nella prima zona contiene una elevata percentuale di lavoratori manuali e artigiani mentre nell’area di Ginevra vi sono elevate percentuali di professioni intellettuali, basta pensare alle decine di migliaia di impiegati del Cern e delle istituzioni dell’Onu. Probabilmente gli Svizzeri integrano più facilmente immigrati di alto livello. Esistono
analisi che tengano conto di questi aspetti?
Osservatore
L’analisi sul Ticino mi sembra riduttiva e molto superficiale. Ci sono motivi storici che portano i ticinesi a guardare all’Italia con molta diffidenza. L’avvento di movimenti populisti che hanno indicato nello “straniero”, leggi italiano, la causa di molti mali, ha fatto il resto. È altresì vero che per lo stesso lavoro nel terziario, quindi non lavori “che gli svizzeri non vogliono fare”, il frontaliere si accontenta di stipendi anche del 50% inferiori a quelli svizzeri, dove per poter vivere dignitosamente si devono guadagnare almeno 4000 franchi svizzeri. Si chiama effetto sostituzione, ed è quello che ha spinto massicciamente i ticinesi a votare SI, accomunato all’atavica avversione per gli italiani.
Osservatore
Un’altra precisazione: non si tratta di un referendum, che viene applicato solo quando non si è d’accordo con una decisione politica, ma di un’iniziativa, ovvero un’azione promossa da un gruppo politico, in questo caso UDC, che tramite una raccolta firme riesce a portare al voto il paese. In questo caso si trattava di un cambiamento di Costituzione, quindi era necessaria la maggioranza dei cantoni e della popolazione.
Osservatore
Ultima osservazione, dimenticata: non esiste il canton Vallone, ma il canton Vallese. Vallone mi ricorda cose belghe…
Domenico Tabasso
Ha ragione. Abbiamo corretto il grafico. Molte grazie per la Sua segnalazione.