Il ruolo assunto dal governo nella gestione del Pnrr rafforza quello di Parlamento ed enti locali nei compiti di indirizzo e controllo. Potrebbero svolgere una parte importante nei processi di mediazione e integrazione tra programmi o obiettivi del Piano.
Il controllo degli organismi rappresentativi
Il ruolo preponderante giocato dalla figura del Presidente del Consiglio nella legislazione ordinaria necessaria per allocare i fondi del Pnrr se, da una parte, vieta bruschi cambiamenti di rotta sulle riforme annunciate, dall’altra non esclude, anzi produce paradossalmente, come legge del contrappasso, un ruolo più accentuato degli organismi rappresentativi (Parlamento, consigli regionali e locali) ma nei compiti di indirizzo, di controllo e di coordinamento fuori dal formale perimetro del Pnrr, in quel “residuo” di funzioni che qualifica questi organi e che ne fa quelli virtualmente più attenti a “collegare” orizzontalmente tra loro le ricadute degli investimenti, con uno sguardo “lungo” rivolto alle future generazioni(art. 9 Cost).
Se questo è il quadro nel quale si possono assumere le politiche del paese, con un ruolo di catalizzatore svolto dal Pnrr, resta tutta da esercitare una competenza potenzialmente molto vasta, fatta per un verso da programmi complementari e trasversali nei tanti settori di intervento (si pensi, per tutte, a una legge-quadro sulla rigenerazione urbana che coordini, in una medesima cornice, profili fiscali volti a valorizzare le aree da riqualificare, competenze di regioni e di comuni), per un altro dai compiti di vigilanza e controllo su come, partendo dai due anni di vigenza del Piano, siano stati realizzati gli obiettivi delle Missioni e sia stata effettuata la spesa sui territori (dei 43,3 miliardi che dovevano essere impiegati entro il 2022, il Nadef ne attesta 20,5).
È in questo ambito che l’attuazione del Pnrr registra la sua maggiore criticità, sia perché la debolezza dei soggetti attuatori locali (ministeri, regioni, comuni) non sembra sia stata compensata dalle misure volte a sopperire ai vuoti di organico (profilo quantitativo), sia perché non sono state predisposte quelle decisioni che (profilo qualitativo), accentrando le stazioni appaltanti (misura richiesta da direttiva Ue fin dal 2017), potrebbero consentire di dotare la Pa di competente specialistiche adeguate, attrarre personale qualificato e ben retribuito (altrimenti preferirà lavorare nel privato), svolgere attività di formazione e di ricerca-azione che solo un soggetto professionalmente attrezzato può fare, applicando la parte più innovativa e complessa del Codice appalti e concessioni (partenariato pubblico privato, contratti di efficienza energetica, project financing), altrimenti destinato a essere utilizzato “solo” per gli strumenti contrattuali ordinari (appalti).
Controllare come sia stia attuando il Pnrr non può costituire, allora, un problema esclusivamente tecnico, o “del” governo, ma dovrebbe rappresentare un punto di grande attenzione e un’opportunità per chi (Parlamento e organi rappresentativi territoriali) svolge un ruolo decisivo nel definire il perimetro, la profondità e l’efficacia delle politiche pubbliche, segnalando dove intervenire in chiave di sussidiarietà verticale o di coordinamento complessivo, tanto più necessario quanto più decentrato è il sistema organizzativo individuato (con regioni e comuni soggetti attuatori) per spendere le risorse e ancor prima per programmarle, progettarle e tradurle nei bandi.
E ancora, per stimolare la realizzazione di economie di sistema: si pensi al fatto che le aree più deboli, in particolare dove si registrano robusti deficit di capacità amministrativa, potrebbero ragionevolmente beneficiare di nidi d’infanzia, scuole, palestre, piscine, mense, dopo-scuola, su scala intercomunale, secondo logiche di integrazione tra bacini di utenza, che richiedono analisi e decisioni da parte di soggetti terzi attrezzati, e una supervisione in grado di sopperire alle “trappole dello sviluppo intermedio” (Gianfranco Viesti).
Il Pnrr scommette sulla Pa
Il Pnrr ha scommesso sulla Pa in senso lato e ha avviato il rinnovamento delle risorse umane, ritenuto fattore indispensabile per il successo anche di altre strategie, con la finalità di disporre di servizi amministrativi efficienti a ogni livello, tanto più dove il sovrapporsi di povertà socio-economica a inefficienza amministrativa e incapacità a riscuotere entrate sembra essere la più autentica chiave di lettura dei divari territoriali, ancor prima della pur necessaria predisposizione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali (Lep) che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale.
Ma l’assenza di “anelli” che creino una relazione generativa tra gli enti sub-statali e lo stato mette in crisi questa finalità, che è difficilmente misurabile e che non può essere considerata realizzabile solo con misure di stampo burocratico. Criticità accentuata dal ridimensionamento, a partire dal 2014, delle funzioni su area vasta delle province, da compiti di coordinamento svolti dalle prefetture ma in chiave esclusivamente burocratica, da Pa che hanno bisogno di un nuovo appeal per poter trattenere talenti.
Sono circostanze che finiscono per attribuire un supplemento di legittimazione ai componenti degli organismi rappresentativi, o a quegli agenti territoriali che colgano l’importanza di lavorare in rete, di individuare, dove occorrano, investimenti aggiuntivi sul capitale umano, di selezionare priorità, di stimolare sinergie e attenzione sulle ricadute della spesa, di fare leva sull’integrazione dei progetti. Aspetto, quest’ultimo, che costituisce forse il punto più carente nell’attuazione del più grande programma di investimenti pubblici del paese negli ultimi 70 anni.
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Savino
C’è un ruolo istituzionale della figura del Presidente del Consiglio mai propriamente inteso in Italia, che va oltre la guida di un Governo e lo/la pone a capo di linee d’indirizzo politico per quel che riguarda la geopolitica, i rapporti con l’UE, la visione dello Stato, come egli/ella immagina un futuro per il Paese, il programma economico fiscale e di welfare. La P.A. vista in questi decenni è assai poco attrattiva per i cervelli e le eccellenze tra i giovani, anzitutto per la presenza di corruzione al suo interno, per gli stipendi bassi, l’età troppo avanzata di chi ci lavora, la superficialità di dirigenti e funzionari storici, solo da pensionare, a costo di incrementare ulteriormente il debito, nonchè l’incapacità di affidare alle persone le mansioni adatte alle proprie caratteristiche. La P.A. ha vissuto finora solo nel pressapochismo frutto delle assunzioni regalate nella maledetta prima Repubblica di cui è la figlia prediletta. Per questo, oggi essa è inidonea a raccogliere la sida molto precisa del PNRR.
Henri Schmit
Articolo molto interessante su un tema cruciale: l’attuazione dei progetti d’investimento finanziati e promossi o sostenuti dall’Ue. Se la realizzazione degli obiettivi è così complicata (troppo macchinosa e confusa) e difficile (impreparazione a vari livelli) bisogna chiederci se davvero c’è nel paese un’autorità pubblica o un soggetto professionale che abbia capito che cosa bisogna fare a tutti i livelli per approfittare dell’occasione più unica che rara. Ne dubito. Il bizantinismo trionfa. Gli amici approfittano. Una parte delle risorse va sprecata o rischia addirittura di essere persa.