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Le politiche pubbliche richiedono scelte trasparenti

Attraverso le politiche pubbliche non si possono ottenere contemporaneamente tutti gli obiettivi auspicabili. Si deve quindi cercare il migliore bilanciamento possibile tra le diverse alternative, con decisioni che andrebbero comunicate in modo chiaro.

I trade-off delle politiche pubbliche

Leggendo i documenti di politica economica e, ancor di più, ascoltando i discorsi dei politici, è comune riscontrare i numerosi vantaggi degli interventi messi in atto, mentre, quasi mai, se ne menzionano gli svantaggi.

In ogni corso di base di economia si incontra però il concetto di trade-off, quello per cui sono molteplici le situazioni in cui, per avere di più di qualcosa, bisogna rinunciare a qualcos’altro, come avviene, per esempio, quando si decide di avere più tempo libero passando a un lavoro part-time e rinunciando, di conseguenza, a una parte dello stipendio.

I trade-off caratterizzano anche le politiche pubbliche. Non si possono ottenere contemporaneamente tutti gli obiettivi auspicabili e si è quindi costretti a cercare il migliore bilanciamento possibile tra di essi.

Nel campo delle politiche regionali, il trade-off più noto e tradizionale è quello tra efficienza ed equità spaziale. Le attività economiche tendono spontaneamente a concentrarsi nello spazio. Ciò avviene sia con la concentrazione nelle città, ma non in tutte allo stesso modo, sia a livello regionale. La concentrazione economica spontanea in certe regioni è un dato di fatto, non soltanto in Italia (dove è noto il caso del Mezzogiorno) ma un po’ in tutti i paesi, secondo linee di demarcazione diverse. Per esempio, il dualismo in Francia è principalmente tra la regione di Parigi e il resto del paese.

Politiche che mirino a rendere la distribuzione dell’attività economica più equa dal punto di vista spaziale possono quindi risultare in contrasto con la massima efficienza, statica o dinamica (ovvero produzione e crescita) a meno che non vadano a risolvere fallimenti del mercato. Un’alternativa molto studiata in letteratura è quella di sfruttare i potenziali locali inutilizzati, in modo che la crescita di un territorio non tolga niente all’altro, ma i risultati finora sono stati limitati perché i potenziali non sono altrettanto ampi ovunque, la capacità di identificarli è diversa e diversa è quella di sfruttarli.

Nove situazioni possibili

Di fronte a due obiettivi di policy (normalmente ce ne sono molti di più, ma due sono sufficienti a illustrare la questione), nove sono le situazioni possibili, classificando le politiche in termini di effetti (Tabella 1).

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Tabella 1 – Le nove possibili situazioni per gli effetti di politiche su due obiettivi

Fonte: adattamento da Fratesi, 2008

Delle nove situazioni, soltanto quattro sono da escludere a priori in quanto peggiorative o inutili: i casi IV, V, VII, VIII. Anche se l’ideale sarebbe attuare politiche che possano avere effetti migliorativi su entrambi gli obiettivi (caso I), le politiche che hanno un effetto positivo su un solo obiettivo senza effetti sugli altri obiettivi (casi II e VI) sono similmente utili, in quanto superiori con il criterio di Pareto, che prevede un miglioramento per qualcuno senza danni per nessun altro.

I casi III e IX, ovvero politiche che migliorano la situazione in termini di un obiettivo e la peggiorano in termini dell’altro, sono comunque situazioni da non escludere a priori perché sulla base di una funzione di preferenza sociale è possibile sacrificare qualcosa in un aspetto per avere miglioramenti in un altro. La scelta, però, richiede di accettare che non sempre e non tutti siano vincitori in seguito a un intervento di policy, e di comunicarlo in modo adeguato e trasparente, mentre spesso i politici e amministratori tendono a presentare gli interventi come di caso I anche quando non lo sono.

Decisioni consapevoli e trasparenti

Su ogni singolo indicatore alcune alternative di policy saranno quindi superiori ad altre, che perciò dovranno essere scartate. Tuttavia, questo avverrà raramente e la maggior parte delle alternative non sarà confrontabile con il criterio di Pareto. Se è vero che esistono politiche “sbagliate”, in quanto inefficaci o dannose, non c’è quasi mai un’unica politica “giusta” e ogni alternativa sarà migliore in termini di un obiettivo e peggiore in termini di un altro.

Ad esempio, una politica sarà migliore in termini di risultati di breve termine e l’altra lo sarà nel lungo periodo, oppure una politica sarà migliore per alcune aree geografiche e l’altra per altre. In questi casi, è necessario considerare in che modo interessi diversi possono essere ponderati l’uno rispetto all’altro, tenendo conto dei trade-off in modo esplicito.

La decisione finale spetta quindi al politico, che è tenuto a comporre e rappresentare la volontà dei cittadini, mentre gli esperti avranno il compito di fornire informazioni per la scelta, consentendo di scartare quelle soluzioni che siano inferiori su tutti gli indicatori e rendendo chiari i trade-off esistenti.

Nel caso della concentrazione spaziale delle attività economiche, può dunque essere politicamente accettabile sacrificare un po’ di crescita nazionale al fine di risollevare alcune aree depresse cosicché le politiche che permettono di raggiungere questo obiettivo non sono da escludere a priori. Allo stesso modo, può essere politicamente accettabile la presenza di divari spaziali più ampi allorquando la crescita nazionale sia sentita come obiettivo politicamente prioritario e quindi si attueranno politiche che si focalizzino sulle aree con maggiori opportunità.

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Non è invece giustificabile, in quanto non corrispondente a verità, presentare ogni politica di riequilibrio spaziale come capace di accelerare contemporaneamente la crescita nazionale, eppure lo si fa quasi sistematicamente.

Non è neanche accettabile che possano essere attuate solo politiche di sviluppo territoriale che siano positive contemporaneamente per tutto il paese, tralasciando a priori quelle che portano un beneficio a territori bisognosi in cambio di un relativamente piccolo costo per gli altri.

Recentemente, questo genere di questioni si è riproposto per le politiche di sostenibilità ambientale. Come evidenziato da Philip McCann e Luc Soete (2020), le regioni più deboli tendono a essere:

  • più soggette agli eventi legati ai cambiamenti climatici e meno preparate ad affrontarli (in quanto meno in grado di investire nella prevenzione dei danni);
  • maggiormente soggette ai costi di transizione, in quanto generalmente specializzate in industrie tradizionali ed energivore, anziché in servizi avanzati.

Anche in questo caso, sono necessarie scelte trasparenti che non ignorino il fatto che per perseguire un obiettivo potrebbe essere necessario sacrificare qualcosa dell’altro.

Per esempio, il Piano nazionale di ripresa e resilienza è in buona parte focalizzato sugli investimenti green e, al tempo stesso, ambisce a ridurre le disparità territoriali. Sarebbe quindi utile valutare quantitativamente in che misura i due obiettivi sono compatibili e in che misura lo sono con la crescita economica nazionale, principale obiettivo del piano. In questo modo, ai cittadini potrebbe essere fornita una descrizione totalmente obiettiva delle scelte fatte e delle priorità assegnate.

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  1. Savino

    Mi faccio sempre meraviglia che queste scelte continuino ad essere affidate al caso e che la politica (sia come policy che come politics) non sia più nè arte nè scienza. Il PNRR dovrebbe essere fatto di cose tangibili e, dopo la pandemia e la crisi energetica, è proprio il rapporto cittadini-istituzioni a dover mutare. Non è la moda o la speculazione del green ad essere importante, ma come riduciamo la burocrazia e la corruzione, come abbassiamo i tempi della giustizia civile, come facciamo le infrastrutture, per esempio le reti idriche. Lo Stato italiano finora ha fatto solo assistenzialismo sconsiderato con bonus e mancette che hanno peggiorato i conti senza risolvere problemi e vorrebbe ora ridurre il PNRR a questo o ridimensionarlo per manifesta incapacità, ciò sarebbe inaccettabile.

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