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Comunità energetiche rinnovabili, un puzzle ancora da comporre

Secondo la normativa europea, le Cer dovrebbero fornire benefici ambientali, economici e sociali alle comunità, condividendo energia autoprodotta. Per avere successo hanno bisogno di regole chiare e organiche. Proprio quello che in Italia manca.

Una selva di sigle per le Cer

Red II, Iem, Fit for 55 Package, decreti legislativi n. 199 e 210/2021, Tiad, sentenza della Corte costituzionale n. 48/2023 e, nel mezzo, una disciplina transitoria (art. 42-bis Milleproroghe 2019) e i connessi provvedimenti attuativi. Sono le principali tessere di un puzzle sempre più al centro di dibattiti e proclami ma – forse per questo – ancora poco “praticato”: le comunità energetiche rinnovabili. I numeri sono inferiori alle aspettative di qualche anno fa; le Cer sarebbero infatti appena 17 secondo il rapporto Gse, Energia e clima in Italia, novembre 2022.

Proviamo a comporre le tessere, consapevoli che è in atto una piccola rivoluzione. Il mercato energetico è oggetto di un processo di decentralizzazione in cui il consumatore diviene prosumer, sono favoriti i processi bottom up all’insegna della democratizzazione e dell’ampia partecipazione, oltre che del principio di sussidiarietà. Gli stati e le amministrazioni sono chiamati ad assumere il ruolo di informatori e facilitatori dei processi costitutivi di una Cer che, a grandi linee, può essere definita come l’insieme di soggetti che condividono l’energia autoprodotta da fonti rinnovabili: persone fisiche, Pmi, enti locali ma anche di ricerca, del terzo settore e religiosi. Soggetti che, in questo modo, realizzano uno strumento di efficientamento (e conseguente risparmio) energetico, di lotta al cambiamento climatico e alla povertà energetica.

Insomma, una vera e propria sfida, nella quale gioverebbe avere un quadro chiaro e organico. Altrimenti (il dato italiano lo dimostra) il cambiamento stenta a realizzarsi.

Nelle intenzioni del legislatore europeo, le Cer non si possono velocemente classificare come una forma di autoconsumo collettivo. L’Europa vede in esse soggetti che hanno un respiro più ampio e che, difatti, devono avere come obiettivo principale “quello di fornire benefici ambientali, economici o sociali a livello di comunità”.

Il cammino italiano verso le Cer appare ben presto poco lineare. Occorrono due procedure di infrazione per sollecitare l’adozione delle direttive Red II (Ue n. 2018/2001 Renewable Energy Directive II)e Iem (Ue n. 2019/944 Directive on common rules for the Internal Market for Electricity) che costituiscono la cornice entro la quale sono fissati i principi generali in materia di energia rinnovabile e di mercato energetico. A fine 2021, i decreti legislativi n. 199 e 210 danno attuazione alle due direttive ma, nel frattempo, l’Europa è già andata oltre con il Fit for 55 Package, un insieme di riforme in cui è prevista anche la revisione della direttiva Red II per porla in linea con i nuovi obiettivi di contrasto al cambiamento climatico.

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La disciplina transitoria

In sostanza, cerchiamo di partire, sia pur con una disciplina che forse – a breve – sarà già vecchia. Ma non basta.

A gennaio 2022, l’Agenzia delle entrate prende posizione sul tema, pronunciandosi però sulla disciplina transitoria ossia quella che, nel dicembre 2019 (decreto legge n. 162/2019, il Milleproroghe 2019) “nelle more del completo recepimento della direttiva Red II”, ha introdotto l’autoconsumo da fonti rinnovabili. In particolare, l’amministrazione finanziaria si esprime sul decreto del ministero dello Sviluppo economico che, il 16 settembre 2020, ne ha individuato le forme di incentivazione. A questo apparato di regolamentazione occorre continuare a fare riferimento, almeno sino a quando il ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica non avrà adottato il nuovo decreto, in consultazione pubblica sino a metà dicembre 2022. Insomma, ci sono noti i profili fiscali di una disciplina destinata a esaurirsi, ma attendiamo (ancora oggi) di conoscere le nuove forme di incentivazione.

Intanto, sempre a fine 2022, arriva il primo provvedimento regolatore a valle dell’integrale recepimento delle direttive Red II e Iem: Arera adotta il Testo integrato sull’autoconsumo diffuso (Tiad). Siamo di fronte a un ulteriore tassello, che introduce due nuovi parametri: la zona di mercato e il requisito della cabina primaria. Possono fare parte di una Cer soggetti che si trovano nella medesima zona di mercato e, all’interno di essa, è incentivata l’energia autoprodotta da quanti sono collegati alla stessa cabina primaria. Anche questa novità, tuttavia, rischia di rivelarsi già obsoleta se è vero che nella bozza di regolamento europeo per la riforma del mercato elettrico – attualmente in lavorazione – l’autoconsumo fra clienti privati pare essere consentito con parametri molto più ampi (sino a 100MW) di quelli previsti nel nostro dal Dlgs n. 199/2021 (1MW).

Ma la pioggia di tessere del mosaico continua.

Di recente, la Corte costituzionale (sentenza 23.3.2023 n. 48) interviene a ricordare che la materia “produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia” appartiene alla legislazione concorrente tra stato e regioni e chiarisce che la partecipazione a una Cer deve essere garantita in maniera uniforme sul territorio nazionale. Le nostre regioni hanno invero mostrato una certa sensibilità sul punto, cogliendo la connotazione territoriale delle Cer e il ruolo che sono chiamate a svolgere le amministrazioni più prossime al cittadino. Sono così fiorite iniziative legislative in quasi tutte le regioni (in talune addirittura prima del recepimento delle direttive europee) e su una di esse (legge regionale dell’Abruzzo n. 8/2022) si è pronunciato il giudice delle leggi, censurando la parte in cui è rimessa alla regione (e in particolare a un successivo atto della giunta regionale) l’individuazione dei requisiti dei soggetti che possono partecipare alle Cer. La lettura della sentenza ci rivela che le potenziali norme “problematiche” potrebbero essere altre rispetto a quella ritenuta costituzionalmente illegittima e che la Corte non se ne è occupata solo perché il quesito di incostituzionalità era stato “mal posto”.

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Insomma, un vero e proprio puzzle in cui, per ora, si fatica un po’ a trovare l’incastro giusto.

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Quanto ci costa la mala-burocrazia

  1. paolo

    Oggi come oggi le CER sono praticabili solo su scala microscopica (200 kW potenza massima, sotto la stessa cabina secondaria, in pratica solo come esperimento nei condominii): bisogna creare un nuovo soggetto (es. associazione non riconosciuta, o forme anche più complesse come la società consortile per azioni) per dividersi tra soci bene che vada 25.000 € (200 kW * 1,200 MWh/anno * 110 €/MWh di incentivo), inutile stupirsi che ne siano nate soltanto una manciata.

    Quando verrà emanato il decreto ministeriale, e si potranno applicare gli incentivi a configurazioni piccole ma non microscopiche (1 MW sotto la cabina primaria) ci sarà senz’altro una fioritura, più che delle CER (soggetto di notevole complessità gestionale), quanto dell’autoconsumo a distanza (con cioè singole imprese a forte consumo di energia che realizzeranno impianti per il proprio autoconsumo anche nella forma dei contratti PPA).

    Si noti tra l’altro che allo stato attuale l’incentivo previsto (100 €/MWh per l’energia condivisa) non copre i costi totali di utilizzo della rete (oneri di sistema, accise e quant’altro), quindi è a malapena uno (scarso) rimborso spese.

  2. Antonio Massarutto

    Invece di inventare l’acqua calda tutte le volte, non si potrebbe guardare all’esempio di quelle comunità energetiche che esistono da 100 anni – le cooperative elettriche, diffuse a decine nelle nostre vallate montane soprattutto in Alto Adige?

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