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Numeri record per l’occupazione, ma si allunga l’ombra della precarizzazione

I dati diffusi da Istat registrano un record occupazionale e una domanda crescente da parte delle imprese. Ma gli emendamenti al decreto Lavoro e l’aumento esponenziale della quota di precari gettano più di un dubbio sulla visione futura del governo.

Mai così tanti occupati in Italia

In Italia, negli ultimi mesi, si sono manifestati segnali positivi riguardo all’occupazione.

I dati recenti indicano un miglioramento nella creazione di posti di lavoro, attribuibile a un mercato in forte ripresa in tutti i paesi Ocse, grazie alla ripresa globale dell’economia nel periodo post pandemico. L’occupazione e la partecipazione al mercato del lavoro hanno segnato, nel quarto trimestre del 2022, i nuovi massimi storici per entrambe le serie statistiche iniziate, rispettivamente, nel 2005 e nel 2008. Inoltre, quasi la metà dei paesi Ocse – inclusi Canada, Francia, Germania e Giappone – ha registrato livelli senza precedenti per entrambi i parametri.

Tuttavia, è importante considerare alcuni fattori che potrebbero offuscare la positiva situazione italiana, tra cui la maggiore precarizzazione del mercato del lavoro e l’effetto del risollevamento naturale dovuto alla ripresa del ciclo economico.

Gli ultimi dati pubblicati dall’Istat sull’occupazione del primo trimestre del 2023 mostrano una diminuzione degli inoccupati e degli inattivi. Nel mese di aprile 2023, il numero di occupati ha raggiunto il livello più alto mai raggiunto in Italia, pari a 23,446 milioni, con un incremento dello 0,2 per cento rispetto a marzo. Confrontando il primo trimestre del 2023 con il quarto trimestre del 2022, gli occupati sono 104 mila in più (+0,4 per cento); e rispetto al primo trimestre del 2019, il valore del tasso di occupazione è superiore di 2,4 punti percentuali (60,6 per cento contro 58,2 per cento).

La crescita del numero delle persone occupate incide sia sulla diminuzione dei soggetti in cerca di occupazione (-0,7 per cento rispetto a marzo, pari a -14mila unità) e nel calo del numero degli inattivi (-0,2 per cento, pari a -25 mila unità).

Ad aprile, il tasso di disoccupazione è sceso al 7,8 per cento – livello che non era stato toccato da giugno 2009 – registrando una diminuzione di 0,4 punti percentuali su aprile 2022. Il tasso di disoccupazione giovanile (15-24 anni) ha subito una diminuzione pari a 1,4 punti percentuali e, pur mantenendosi a livelli preoccupanti, è il più basso da febbraio 2007 a oggi.

Cresce la domanda delle imprese ma aumenta il costo del lavoro

Nel primo trimestre del 2023, la domanda di occupazione è cresciuta sia a livello congiunturale che tendenziale. Rispetto all’ultimo trimestre del 2022 si nota una crescita dello 0,7 per cento per le posizioni a tempo pieno e dello 0,5 per cento per le posizioni a tempo parziale. L’aumento della domanda di lavoro è accompagnato da un costo del lavoro per unità di lavoratore dipendente (Ula) che raggiunge un valore tra i più alti della serie storica iniziata nel 2011, dodici anni fa. Rispetto all’ultimo trimestre, la crescita è dell’1,8 per cento con un aumento sia delle retribuzioni (+1,2 per cento) sia, in misura maggiore, degli oneri sociali (+3 per cento). La crescita tendenziale è ancora più marcata (+3,9 per cento), con un +3,4 per cento per la componente retributiva e un +5,4 per cento per gli oneri sociali.

Gli emendamenti al decreto Lavoro rischiano di aumentare la precarietà

A marzo e aprile 2023, circa il 70 per cento dei lavori creati sono stati contratti a tempo indeterminato. Nonostante ciò, si è verificato un aumento significativo nell’utilizzo dei contratti a termine negli ultimi due mesi, con un incremento di oltre il doppio rispetto al periodo precedente (circa 35 mila posizioni rispetto a 16 mila).

Alla luce di questi dati sorge spontaneo chiedersi se fosse necessario il nuovo emendamento al decreto Lavoro che introduce una maggiore flessibilità rispetto al decreto Dignità, tornando al passato senza facilitare la creazione di nuova occupazione, come discusso nell’articolo di Marco Guido Palladino e Matteo Sartori. Attualmente, un contratto a termine, entro i 12 mesi, può essere prorogato liberamente, ma per il rinnovo sono richieste specifiche ragioni. L’emendamento al decreto Lavoro, approvato dalla commissione Affari sociali del Senato, prevede che entro i primi 12 mesi i contratti a termine possano essere rinnovati senza necessità di motivazioni e indipendentemente dal fatto che i 12 mesi siano raggiunti con un unico rapporto di lavoro o meno (ossia con più contratti di lavoro rinnovati).

Il ciclo economico si dimostra favorevole e spinge il mercato del lavoro verso risultati positivi. Tuttavia, i nuovi emendamenti al decreto Lavoro del governo Meloni potrebbero contribuire, o perlomeno favorire, una precarietà del mercato del lavoro già in aumento, come suggerito dai numeri dei contratti a tempo determinato più che raddoppiati negli ultimi due mesi.

Nonostante gli odierni risultati positivi, le premesse per il futuro non sono tra le migliori.

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  1. Paolo Pini

    Ultima riforma Renzi (Boeri) lascia il segno poi altri interventi peggiorativi. Nulla sorprende

  2. Molto interessante e utile, anche per l’accento alla necessità di guardare al futuro.

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