Non solo l’abuso, anche il consumo moderato di alcol può essere dannoso per la salute, secondo un nuovo orientamento della ricerca medica. I dati utilizzati per affermarlo, però, sono per loro natura problematici. Ma spesso non se ne tiene conto.
Una relazione controversa
L’alcolismo è una delle principali cause di morte a livello mondiale. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, l’abuso di alcol è correlato con l’insorgenza di oltre 200 patologie mediche e si ritiene sia responsabile di circa 3 milioni di morti all’anno. In base a una stima dell’Ocse, nei paesi sviluppati l’abuso di alcol comporta un costo economico annuale di oltre l’1,5 per cento del Pil.
Nella letteratura medica le conseguenze negative di un consumo eccessivo di alcol sono ampiamente riconosciute. Ma gli effetti derivanti da un consumo lieve o moderato (1-2 unità alcoliche al giorno) sono ancora oggetto di dibattito. Per lungo tempo si è ritenuto che un consumo lieve o moderato potesse comportare effetti nulli o persino positivi sulla salute, poiché poteva diminuire la probabilità di sviluppare alcune malattie cardiovascolari. Tuttavia, negli ultimi anni alcuni studi hanno negato tale associazione, sostenendo che non esiste un livello di consumo privo di potenziali rischi per l’organismo umano.
A seguito di questi studi, l’ufficio regionale europeo dell’Organizzazione mondiale della sanità ha suggerito ai governi del vecchio continente di adottare strategie drastiche per diminuire il consumo di alcol del 10 per cento entro il 2025. Alcuni governi europei, come quello irlandese, hanno immediatamente messo in atto le proposte suggerite dall’Oms, imponendo ai produttori di bevande alcoliche, entro il 2026, di apporre sulle bottiglie di qualsiasi tipologia di alcol nuove etichette contenenti informazioni sui rischi legati al consumo di queste bevande. La decisione ha rinvigorito il dibattito europeo sul tema, dal momento che la ricaduta socio-economica di leggi simili sarà molto elevata, soprattutto per i paesi mediterranei, che esportano i loro prodotti vinicoli in tutto il mondo.
In un recente lavoro abbiamo condotto un’analisi della letteratura scientifica che studia la relazione tra consumo di alcol e salute. A differenza di altre branche della medicina nelle quali, ad esempio, si testa l’efficacia di un nuovo farmaco, in questo settore non è possibile condurre esperimenti (Randomized Controlled Trials) nei quali per un lungo arco temporale un gruppo di individui è sottoposto quotidianamente al trattamento (l’assunzione di una o due unità alcoliche), mentre a un altro gruppo simile di controllo l’alcol viene proibito. La scelta relativa al consumo di alcol non spetta al ricercatore, bensì al singolo individuo. Di conseguenza gli studi sull’argomento si affidano all’utilizzo di questionari. Anche utilizzando le migliori metodologie statistiche oggi disponibili, questo tipo di dati genera inevitabilmente una lunga lista di problematicità. Nel nostro lavoro ci siamo concentrati sulla presenza di alcuni problemi statistici, come la distorsione nel processo di pubblicazione (publication bias), la distorsione dei risultati ottenuti dovuta all’omissione di alcune variabili rilevanti (omitted variable bias), la mancanza di dati sui consumi passati di alcol e l’uso di modelli lineari al posto di quelli non lineari.
Bias di pubblicazione
Il bias di pubblicazione è una problematica che affligge tutti i campi della ricerca scientifica. La presenza di risultati statisticamente significativi incrementa notevolmente la probabilità di pubblicare un lavoro accademico. Le riviste non sono molto propense a pubblicare studi che presentano risultati deboli o nulli perché da molti vengono considerati (a torto) come “non-risultati”. Ad esempio, a parità di rigore metodologico, uno studio che dimostrasse una relazione debole o nulla tra istruzione e reddito avrebbe meno possibilità di essere pubblicato su una rivista scientifica rispetto a un altro che dimostrasse una relazione positiva. Ciò incoraggia i ricercatori a sottomettere solo lavori contenenti risultati significativi o, nel peggiore dei casi, a manipolare i loro dati per ottenere i risultati sperati. Per verificare la presenza della problematica, abbiamo costruito una banca dati di 6.763 articoli medici che studiano il tema dell’alcol e abbiamo riscontrato una presenza sospettosamente bassa di articoli che presentano risultati non significativi, il che indica la presenza di un bias di pubblicazione. Con ogni probabilità, molti studi che mostravano una relazione nulla tra alcol e salute non sono stati scritti per paura che venissero rigettati dalle riviste e molti autori hanno “torturato i dati finché hanno confessato” ciò che gli editori vogliono sentir dire.
Analisi degli studi
Dal “Report on Alcohol Consumption and Health – 2018” della Organizzazione mondiale della sanità e da altre fonti, abbiamo poi accuratamente selezionato 49 articoli che studiano l’effetto dell’alcol sulla salute. Abbiamo quindi identificato 19 problematiche statistico-metodologiche e creato un indicatore (Score) che misura la percentuale di quelle che sono state affrontate in modo soddisfacente dagli autori. I risultati mostrano come generalmente si tenga in considerazione solo la metà degli aspetti che possono generare criticità statistiche e metodologiche.
Quasi tutte le 49 ricerche includono controlli per età e sesso, ma solo pochi lavori analizzano aspetti rilevanti come la storia del consumo di alcol nel corso della vita o l’uso contemporaneo di sostanze stupefacenti. Sorprendentemente, solo un articolo distingue gli effetti derivanti dall’assunzione di diverse tipologie alcoliche, come vino o superalcolici. La nostra analisi ha evidenziato come tutti i lavori presentino possibili fonti di distorsione che potrebbero invalidare i risultati ottenuti, soprattutto quando ci si focalizza su quantità di alcol modeste.
Viste le limitazioni intrinseche dei dati, che espongono le analisi a svariati ordini di problemi, sarebbe stata opportuna una certa dose di prudenza negli studi che in passato affermavano una relazione positiva tra consumo moderato di alcol e salute. Oggi, la medesima prudenza sarebbe auspicabile quando si afferma una relazione negativa. In conclusione, dal punto di vista scientifico non è corretto affermare che “non esiste una soglia sicura”. Dovremmo piuttosto dire che “non siamo in grado di determinare se esista una soglia sicura” e, probabilmente, non lo saremo mai.
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Savino
Non mi pare che la sanità pubblica o la scuola o le famiglie diano, soprattutto ai giovani, messaggi nel senso dell’articolo. Non ci sono medici o educatori capaci di invertire oggi la tendenza, che è, invece, quella edonistica e commerciale tendente allo sballo. Anzi, il trend e che si è fieri dell’alcool italiano e si vede nella nostra ubriachezza qualcosa di culturale!! Che tempi!!
Luigi
La tendenza edonistica tendente allo sballo è soprattutto dei giovani che hanno preferenza per birra e superalcolici.
L’alcool italiano è in prevalenza nel vino che tende da tempo a migliorarsi in qualità. Come sostiene anche lo studio del prof. Castriota le conclusioni basate su dati estremamente grezzi, ben lontani da metodologie rigorose di ricerca.
Tengo a precisare che non sono un produttore di vino e che bevo in maniera estremamente moderata ma con grande attenzione alla qualità italiana sempre più alta.
Savino
non ho messo in discussione la qualità del prodotto, ma la narrazione.
Prato Cinese
Al tribunale di Prato, da anni, non si riesce ad iniziare il dibattimento sulla mafia cinese.
Padroni della piazza del contrabbando di integratori, farmaci, droga e tessuti importati dalla cina.
Controllano il mercato pratese, della produzione et contraffazione, il tutto grazie alle molteplici ramificate implicazioni politiche e connivenze pubbliche.
Alfredo
Prudenza vorrebbe che quando una sostanza sia suscettibile di arrecare danni anche a basse dosi (ad alte, è risaputo) giocoforza il consumo dovrebbe limitato al minimo. Trattandosi di una tematica che ha risvolti economici anche consistenti (e lo stesso articolo ne fa menzione) è lecito attendersi forti resistenze, a cominciare naturalmente dai consumatori alcuni dei quali, sfruttando la propria notorietà, hanno già cominciano la propria crociata che suona in alcuni casi non troppo dissimile a quella dei no-vax in tempo di vaccini.
Andrea
Tutti gli studi sull’alimentazione sono così. Che mangiare 100kg di carne di manzo all’anno come fanno negli USA o in Argentina faccia male lo abbiamo capito, ma che una bistecca al mese faccia male come facciamo a dirlo? E poi, se anche un bicchiere al giorno dovesse generare effetti negativi sulla salute, di cosa stiamo parlando? Di due settimane di vita in meno quando l’aspettativa di vita è di 80 anni?? Perseguire il rischio zero non ha senso.