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Un finanziamento democratico per cambiare la politica*

La politica non può essere solo l’attività delle aule parlamentari. Bisogna sostenere tutte le forme di associazione e partecipazione dei cittadini, ripensando il finanziamento pubblico. Servono trasparenza e codici di condotta. E una legge sulle lobby.

Le leggi sul finanziamento della politica

Che la politica italiana attraversi una crisi sistemica – sempre più lontana dai bisogni della popolazione e con meccanismi che aumentano il divario tra cittadinanza e cosa pubblica – non è una novità. “La politica è tutto un magna magna” è il ritornello con cui generazioni ormai disilluse hanno provato a portare le loro rivendicazioni in piazza, spesso facendo la fortuna politica di chi, come Silvio Berlusconi o il Movimento 5 stelle, è stato capace di intercettare l’onda del dissenso. È da questa liturgia che sono nate le attuali leggi che regolano il finanziamento ai partiti, dalla raccolta delle risorse alla loro rendicontazione e pubblicazione. Sono norme che hanno aggiunto ulteriore confusione a una situazione di per sé già opaca, con risultati ben lontani da quelli auspicati di aumentare la trasparenza e di incentivare il sostegno civico alla politica. Facciamo un passo indietro: le organizzazioni politiche attingono le risorse necessarie al proprio funzionamento dalle quote d’iscrizione, dalle raccolte fondi su larga scala, dalle donazioni private e dal finanziamento pubblico, qualora si tratti di partiti politici. A differenza della Germania, caso unico ma esemplare in Europa, in Italia il finanziamento pubblico ai partiti non è disciplinato dalla Costituzione. Il primo atto che introduce un riferimento al sostegno finanziario è la legge Piccoli del 1974, che disciplinava il finanziamento pubblico e privato ai partiti per mezzo di obblighi di rendicontazione verso lo stato. I buoni propositi di trasparenza furono smentiti da una serie di scandali: dopo una prima riforma del 1981, sull’onda dello sdegno generale legato a Tangentopoli, nel 1993 i Radicali italiani proposero un referendum per l’abrogazione del finanziamento pubblico ai partiti che passò con il 90,3 per cento dei voti a favore. Rimase fino al 1999 un “contributo alle spese elettorali”: una legge molto criticata, in un dibattito che ha contribuito a intaccare la fiducia dei cittadini nei confronti della classe dirigente e della politica. Nel 2012 vennero approvate una serie di limitazioni e obblighi di trasparenza, che però non sono bastate a contrastare l’opinione negativa sui partiti politici. La legge 13/2014, che oggi disciplina il finanziamento pubblico ai partiti, è nata sotto il governo Letta, durante gli anni di ascesa del Movimento 5 stelle, che del contrasto al finanziamento pubblico ai partiti ha fatto una battaglia identitaria. 

I limiti del 2xmille

Il nuovo intervento normativo ha rappresentato una rottura rispetto al passato, eliminando i rimborsi elettorali e sostituendoli con lo strumento del 2xmille. Si tratta di una quota dell’Irpef che i contribuenti, all’atto della dichiarazione dei redditi, possono decidere di devolvere a un partito, così come avviene per il terzo settore con il 5xmille o per le confessioni religiose con l’8xmille. L’intento è lodevole: democratizzare il sostegno ai partiti e responsabilizzare la politica – nel sensibilizzare l’opinione pubblica sui costi di funzionamento della macchina partitica – e la cittadinanza – nel sostenere “a costo zero” idee e progetti politici. Il suo funzionamento, però, ha numerose lacune. La prima consiste nelle barriere in ingresso: per accedere al 2xmille, un’entità politica deve avere almeno una persona eletta nel Parlamento italiano (oltre a rispettare determinati requisiti statutari). Qui si palesa la stortura che garantisce l’autopreservazione del sistema: per accedere ai finanziamenti con le modalità disposte dalla legge, un partito politico deve già disporre di risorse proprie con le quali organizzare una campagna elettorale di successo, per eleggere uno dei propri candidati ed essere così sostenuto come gruppo parlamentare, neanche come partito. Se guardiamo agli altri paesi europei, l’Italia è l’unico a non prevedere un finanziamento pubblico ai partiti. Nei Paesi Bassi, la riforma legislativa attualmente in discussione punta ad aumentare i controlli ai finanziamenti privati e, parallelamente, ad accrescere il supporto pubblico, il contrario di quanto accade in Italia. In Germania basta raggiungere lo 0,5 per cento di suffragi per ricevere finanziamenti pubblici proporzionati al numero di voti ricevuti. In Francia vengono destinati fondi ai partiti e ai raggruppamenti politici che ottengono l’1 per cento dei voti in almeno cinquanta circoscrizioni elettorali alle elezioni legislative. Il secondo limite del 2xmille è che viene poco utilizzato: nel 2021, lo ha scelto solo il 3,3 per cento dei contribuenti (circa 41 milioni di persone). Un dato così fallimentare si motiva da una parte con la limitatissima fiducia che gli italiani mostrano verso i partiti, dall’altra manca l’investimento delle forze politiche stesse e delle istituzioni nel pubblicizzare il 2xmille come strumento di finanziamento democratico della politica. Riassumendo, si palesano diverse criticità̀ nell’attuale sistema di finanziamento ai partiti nel nostro paese. La prima: in Italia si considera politica solo quella fatta dentro le istituzioni, ignorando così tutta la parte che si sviluppa all’esterno, l’attivismo e la partecipazione della cittadinanza. La seconda: se le leggi oggi in vigore sono anche il frutto degli scandali del passato, non si può̀ ignorare il rischio di generare legami patologici con interessi privati volti a ottenere dalla politica qualcosa in cambio. Il terzo: non è accettabile che in un paese con tassi di astensione nazionali al 36 per cento, regionali superiori al 60 per cento ci siano freni alla partecipazione di nuove forze politiche alle consultazioni elettorali. 

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Come migliorare

Il 2xmille è uno strumento estremamente democratico, ma solo in potenza. L’accesso dovrebbe essere allargato anche alle forze politiche che non hanno rappresentanza parlamentare, ma che rispettano i requisiti statutari richiesti dalla legge per essere riconosciuti come partiti. Mentre i partiti consolidati dovrebbero investire nello spiegare perché è uno strumento così prezioso. Forse, tutto ciò servirebbe a far “riaffezionare” i cittadini alla democrazia politica: oggi solo il 2 per cento della cittadinanza è iscritto ad un partito politico, un dato in netta diminuzione rispetto al passato. Servirebbe poi una legge sul lobbying che metta in chiaro quali soggetti cercano di influenzare la politica e le decisioni pubbliche. Oggi sappiamo chi finanzia i partiti (seppur con grandi limiti per fondazioni e associazioni politiche), ma non chi influenza i decisori pubblici: manca una regolamentazione dei rapporti tra questi e i portatori di interessi. Dagli Stati Uniti si potrebbe mutuare il sistema dei Pac (Political Action Committee): si tratta di organizzazioni di raccolta fondi che appoggiano i candidati in maniera indipendente. I Pac sono una sorta di mediatore tra i donatori e chi riceve le donazioni. Questo consente a chi riceve la donazione di non sapere esattamente chi sia il donatore e al donatore di non sapere chi riceverà, in toto o in parte, la sua donazione. In Italia, il Pac potrebbe assumere la forma giuridica del comitato. Il sistema, se applicato correttamente, aiuta a impedire il voto di scambio o di influenze. Infine, se manca una legge organica sui partiti, è indispensabile un codice etico, che disciplini le organizzazioni partitiche fuori e dentro le istituzioni politiche. Una sfida impossibile? Forse, ma anche molto urgente. Senza un’infrastruttura democratica sana non potremo avere una società aperta, inclusiva e in cui le persone sentano la necessità, la possibilità e il piacere di prendersi cura del bene generale.

* Le opinioni espresse in questo articolo sono strettamente personali e riflettono esclusivamente il punto di vista degli autori.

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  1. Savino

    Ci vuole una legge, sia sui partiti, sia sui sindacati. Queste organizzazioni non possono più rimanere in un limbo di oscurità. A loro si richiede trasparenza, anzitutto nei bilanci. Per i partiti occorre anche istituzionalizzazione con coincidenza col gruppo parlamentare e con norme per evitare cambi di casacca. Il lobbismo è sempre il principale dubbio che viene in mente al cittadino quando vede come viene legiferato. Bisogna legiferare nell’interesse esclusivo della nazione e i cittadini devono avere un punto di riferimento per le loro istanze. Possibile che precari o studenti universitari o cervelli in fuga o, in alcune circostanze, semplicemente donne o giovani o bambini non abbiano chi esercita l’influenza del proprio interesse in Parlamento?

  2. Firmin

    Francamente trovo poco produttivo finanziare i partiti senza incidere sulle loro decisioni. Sarebbe un finanziamento a scatola chiusa alle attuali classi dirigenti e alle burocrazie interne, che consolida e perpetua le attuali distorsioni. Sarebbe molto più utile trasformare il 2 per mille in uno strumento per incidere sulla composizione della spesa pubblica e delle imposte. Per esempio, si potrebbe ancorare la metà del bilancio pubblico alle quote indicate dai contribuenti nel 730 scegliendo tra le principali imposte e le principali voci della classificazione COFOG della spesa pubblica. No taxation and no expenditure without representation! In questo modo qualsiasi partito sarebbe costretto a seguire le indicazioni degli elettori/contribuenti. Alla fine, il ruolo dei partiti si limiterebbe a quello di suggerire una particolare distribuzione delle poste di bilancio.

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