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Tre idee per riconciliare tecnica e politica

Come migliorare la qualità del processo legislativo e del sistema politico e informativo italiani? Si potrebbe partire dalla certificazione dei programmi elettorali dei partiti e dall’istituzione di un Consiglio di consiglieri economici del premier. Utile anche uno statistitco nelle redazioni.

CONSIGLIERI ECONOMICI PER IL PRESIDENTE

Politici o tecnici? A chi affidarsi per portare l’Italia fuori dalla crisi economica? Per superare l’apparente dicotomia, e con l’aiuto di esempi di altri paesi, proviamo a sistematizzare tre idee già apparse in anni o mesi passati.
La prima proposta per far incontrare tecnica e politica è l’istituzione presso la presidenza del Consiglio di un “Consiglio dei consiglieri economici”. I primi ministri italiani hanno avuto consiglieri economici più o meno formali e più o meno riconosciuti nel campo, ma senza una struttura di analisi a supporto. Un ruolo simile potrebbe giocarlo il Cnel, ma la sua struttura e composizione come forum tripartito tra Governo e parti sociali non permette un’analisi puntuale a supporto dell’attività legislativa (o almeno non nella sua forma attuale).
L’esempio a cui pensiamo è quello del Council of Economic Advisors degli Stati Uniti. È composto da tre economisti, un presidente e due membri, scelti tra i migliori del paese. Attualmente, il Consiglio è presieduto da Alan Krueger e coadiuvato dal lavoro di una trentina di economisti e statistici. (1) Il Consiglio è nominato dal presidente Usa e confermato dal Senato; resta in carica tre anni. Il presidente degli Stati Uniti può così contare, per tutti i temi economici, sui consigli di una persona di sua fiducia, di cui è anche garantita la qualità accademica. Con l’amministrazione Obama, il presidente del Council of Economic Advisors siede anche alle riunioni del gabinetto.
Anche in Germania è presente un comitato di cinque esperti economici (Sachverständigenrat) nominati dal Presidente della Repubblica e supportati da uno staff di undici economisti. Durante la crisi dell’euro è stato spesso al centro di dibattiti, a volte infuocati, ma sempre informati.
Un esempio meno funzionale, invece, viene dalla Francia: creato nel 1997, il Consiglio d’analisi economica (Conseil d’analyse économique, Cae) è composto da trenta economisti di università e scuole di pensiero diverse. Il loro ruolo è dibattere e consigliare il governo. Produce in genere otto rapporti all’anno sugli argomenti più disparati senza però riuscire a influenzare efficacemente l’azione legislativa. Il punto debole principale del Cae è la mancanza di una struttura appropriata, a differenza dell’omologo americano: i membri non assumono la posizione a tempo pieno, ma solo come un ulteriore impegno alle loro già fitte agende e lo fanno a titolo gratuito. L’esempio francese paragonato a quello americano e tedesco sembra suggerire che per funzionare il Consiglio debba essere composto da un minor numero di membri (un’altra criticità evidente del nostro Cnel), ma a tempo pieno e affiancati da un team dedicato. In particolare, il Consiglio non dovrebbe limitarsi a consigliare il capo del governo, ma tutto l’esecutivo; e dovrebbe fornire una valutazione economica pubblica delle misure legislative proposte. La mancanza di una valutazione ex ante e, ancora peggio, ex post delle leggi italiane è sicuramente uno dei fattori dell’eccessiva legiferazione, a volte perfino contraddittoria.

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PROGRAMMI CERTIFICATI

La seconda proposta per far incontrare tecnica e politica è quella di una certificazione volontaria dei programmi: i partiti potrebbero sottoporre il proprio programma elettorale a una commissione di esperti per farne valutare le coperture economiche e gli effetti (ma è più discutibile, perché sono necessari modelli e ipotesi). Avviene sistematicamente in Olanda: alla vigilia delle elezioni i partiti, in una sfida di credibilità, sottopongono i propri programmi al Central Planning Bureau per farlo valutare in chiave comparata con quello degli avversari. Il Cpb dell’Aja produce un documento (qui il rapporto per le elezioni 2012) in cui i programmi di tutti i partiti sono valutati alla luce del loro impatto sul bilancio dello Stato, l’occupazione, il potere di acquisto delle famiglie, la salute, il costo delle case e perfino l’uso di automobili e trasporti pubblici. Le polemiche non sono escluse e forse la valutazione è fin troppo dettagliata (già le previsioni economiche standard su Pil e occupazione non sono sempre precise, addirittura il traffico pare molto ambizioso).
In Italia potremmo accontentarci di cominciare da una verifica dei dati sulle finanze pubbliche e le tasse, i temi preferiti negli ultimi vent’anni di elezioni. Lo strumento di controllo non deve sostituirsi alla decisione  esprimendo preferenze e avvisi, ma semplicemente costringere le proposte a far i conti (nel senso letterale del termine) con la realtà.Qual è il costo di una proposta (abolire l’Imu per esempio)? Qual è l’introito di una nuova imposta (la patrimoniale, per esempio)? Quale l’impatto sul deficit e il debito? A queste domande potrebbe rispondere la commissione di certificazione che, in assenza di un ufficio comparabile a quello olandese, potrebbe essere costituita presso l’Istat (a patto di garantirne il finanziamento) o presso un altro organo da individuare. All’elettore toccherà poi decidere quale pacchetto di proposte preferire, avendo più chiari gli arbitraggi da fare (accettiamo un deficit più alto per pagare meno tasse o viceversa).

I DATI DEI MEDIA

La terza proposta, invece, riguarda il sistema informativo da cui dipende la qualità della politica. I media italiani, non sempre diffondono statistiche accurate. (2) L’ultimo caso, piuttosto clamoroso, ha riguardato la presunta bocciatura dell’Imu da parte della Commissione europea. Quasi tutti i giornali, compreso il Sole-24Ore, hanno dedicato al tema l’apertura, con titoli spesso a sette colonne. (3) Sarebbe stato sufficiente uno sguardo alle note a pié di pagina dei grafici per capire che si faceva riferimento al 2005 e non al 2012, e quindi all’Ici e non all’Imu.
Casi simili potrebbero essere evitati con la presenza di un caporedattore statistico, una persona abituata a usare i numeri e le basi di dati, con il compito di controllare e garantire la qualità dei dati. Questo andrebbe affiancato da un’attività continua di fact-checking delle dichiarazioni dei politici e non solo.Anche in Italia sta prendendo piede il controllo dei dati: lavoce.info lo fa da anni con la rubrica “Vero o falso?“, più recentemente sono nate piattaforme collaborative come Ahref che l’ottobre scorso ha lanciato una collaborazione con il Corriere o “La macchina de la verità” de La Stampa o ancora siti autonomi come Pagella Politica.
Ovviamente, alla democrazia non bastano i numeri e le valutazione economiche. Anzi, il rischio a volte è di essere sommersi dai dati, sia ufficiali sia di dubbia provenienza, perdendo l’orizzonte globale. Inoltre, il calcolo e talvolta l’interpretazione dello stesso dato non sono sempre univoci. Ed anche il fact-checking non è la panacea: quella del poeta latino Giovenale “Quis custodiet ipsos custodes?” (chi sorveglia i sorveglianti?) rimane una domanda chiave sia per il fact-checking sia per le commissioni indipendenti. Tuttavia, queste tre idee insieme rappresenterebbero un passo avanti nella qualità del processo legislativo e del sistema politico e informativo del nostro paese.

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(1) Presidenti del passato sono stati, ad esempio, James Tobin, Alan Greenspan, Arthur Okun, William Norhaus, John Taylor, Joe Stiglitz, Greg Mankiw, Lawrence Summers, Christina Romer.

(2) Lo ha documentato in maniera puntuale anche il presidente dell’Istat in una lezione in uscita su la rivista il Mulino.

(3) La serie di prime pagine del 9 gennaio 2013 si può scorrere su Il Post.

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  1. rosario nicoletti

    Sono proposte sacrosante. Ma i nostri politici, abituati ad improvvisare ed al “faccio come mi pare” (tanto il popolo non conta nulla), seguiranno qualcuno di questi preziosi consigli?

  2. TIno

    Un’altra proposta è stata avanzata da Gloria Regonini: http://www.rivisteweb.it/issn/1722-1137/issue/23679
    L’idea è di concentrare l’attenzione anche sul Parlamento, che, se messo in condizioni di lavorare bene può portare un contributo reale alla definizione delle policies statali. Cosa che adesso non succede.

  3. andrea

    molto interessante e condivisibile, il consiglio degli esperti esiste anche in Francia, lo istituì Jospin che ci credeva molto, poi ha perso smalto, adesso si cerca di rafforzarlo; e se non erro anche D’Alema aveva costitutio qualcosa di simile, ma durò poco.

  4. Guido

    Tre proposte intelligenti e di estrema attualità e necessità. Quancuno ha scoperto finalmente che realtà quali la Pubblica amministrazione, la democrazia, il benessere dei cittadini e principi quali libertà, uguaglianza, solidarietà non si perseguono con efficienza ed efficacia senza l’apporto dell’economia (dal greco “governo della casa”). E’ imprescindibile che qualsiasi pubblica amministrazione (come lo fa, se vuole stare sul mercato, qualsiasi azienda privata) debba avvalersi di uno staff che valuti, per ogni provvedimento da assumere, i relativi costi e benefici a tutela della “redditività” in favore della base sociale che rappresenta. Sia a livello di organi statali che periferici, sia in sede di campagna elettorale che di rendiconto finale di legislatura. Si tratta in sostanza di applicare, per quanto possibile, gli stessi criteri che informano un bilancio aziendale: bilancio preventivo e consuntivo, reso pubblico, trasparente, fatto di conti economici e relative relazioni esplicative, tali da rendere il cittadino elettore realmente consapevole e compartecipe della realtà istituzionale in cui vive e per la quale è chiamato ogni tanto a decidere con quella banale (ma non tanto, quando si parla di grandi numeri) croce sul simbolo. Difficile? Forse, ma nell’era informatica non irrealizzabile: accanto ai social network perchè non immaginare anche dei “political network”?

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