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Nel bonus benzina molta retorica e poca efficacia

Non sarà il bonus di 80 euro una tantum a risolvere il problema del caro-benzina. Perché così non si affronta la questione della regolamentazione del mercato italiano della distribuzione di carburanti, che andrebbe aperto a una effettiva concorrenza.

Il bonus che non risolve nulla

L’intervento era stato annunciato dal decreto Energia, varato il 25 settembre, nel segno della retorica della “benzina per i poveri” – cioè “poveri” secondo l’Isee, con tutte le sue storture favorevoli agli evasori fiscali e senza che si sappia se i beneficiari utilizzino o no un’auto. Ora è dunque arrivato un bonus carburanti nella misura di 80 euro da erogare attraverso la carta “Dedicata a te” alle famiglie con un Isee fino a 15 mila euro lordi. Lo stanziamento è di 100 milioni, bastanti per un pieno famiglia.

Certo si tratta di un intervento di portata trascurabile rispetto a una nuova sospensione dell’accisa, finanziariamente insostenibile, e anche minima rispetto a un’accisa mobile, che dovrebbe seguire la variazione del prezzo del greggio nell’ultimo bimestre rispetto a quello riportato nel Documento di economia e finanza e che dovrebbe essere finanziata dall’incremento dell’Iva sui carburanti (sempre che si stabilisca un livello e un periodo di riferimento per la misurazione dell’incremento di gettito). Intanto, si dice e si scrive delle cause esterne – dalla pandemia alla guerra, alle scelte strategiche di alcuni paesi fornitori – che hanno determinato l’attuale condizione del mercato petrolifero. Quanto alle cause interne, che condizionano in Italia questo mercato, si ascolta un coro politico alternativamente omologato, a seconda che si sia al governo o all’opposizione, che chiede interventi fiscali di riduzione dell’accisa per tutti o solo per alcuni, senza discutere, e figurarsi agire, sui meccanismi di formazione dei prezzi, la cui regolazione ha difetti da tempo riconosciuti e sottaciuti.

Il mercato petrolifero in Italia

Che sul prezzo dei carburanti l’accisa incida per poco più del 50 per cento è un fatto, come lo è che l’incidenza per litro collochi l’Italia, con 73 centesimi, al secondo posto dopo l’Olanda e a 5 centesimi dalla Francia e 8 dalla Germania. Dunque, un margine di riduzione si potrebbe certo considerare (ricordando che l’accisa in Italia come altrove è unica, e non contano, come spesso si racconta, gli impieghi ai quali quote del gettito furono nel tempo destinate). Magari si potrebbe anche ricorrere a meccanismi strutturali, come sarebbe l’accisa mobile prevista dal decreto Trasparenza dello scorso gennaio, pure richiesta da produttori e distributori.

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Bisogna però avere la consapevolezza che ciò non escluderebbe comportamenti strategici nelle decisioni di prezzo, di segno opposto all’intento fiscale, da parte di un mercato italiano della distribuzione anomalo per numerosità, concentrato quasi totalmente in cinque compagnie e verticalmente integrato lungo l’intero processo, dalla raffinazione all’estrazione. Si tratta di un mercato oligopolistico, in cui la collusione è indotta e non vi è alcuna convenienza a competere sui prezzi: per questa ragione, non trascurata dall’Autorità antitrust, l’obbligo della indicazione del prezzo medio regionale dei carburanti ha prodotto effetti perversi, disincentivando ulteriormente anche minime competizioni di prezzo per lo più comunali e per lo più da parte delle pochissime pompe indipendenti (cosiddette ‘bianche’) presenti in Italia.

Della regolamentazione del mercato italiano della distribuzione dei carburanti non si discute politicamente, sebbene sia una necessità urgente e chiara da tempo. Il sistema di fissazione del prezzo dei carburanti prevede che la compagnia comunichi al gestore della stazione di servizio un prezzo suggerito e composto di una quota base, nazionalmente determinata, e una quota supplementare determinata considerando i costi di stoccaggio, distribuzione e trasporto sino alla pompa. Recenti studi hanno rilevato che la concentrazione dei distributori agevola la crescita dei prezzi, con una tendenza all’allineamento a quello fissato da chi domina il mercato, Eni e IP in testa. che controllano la maggioranza delle stazioni di servizio. Il numero totale degli impianti nel nostro paese è il più elevato in Europa: secondo il Data book 2023 dell’Unione energie per la mobilità, ovvero l’Unione petrolifera, sono 21.700, contro gli 11.151 della Francia, i 14.458 della Germania e gli 11.810 della Spagna. Ciò senza alcun cambiamento significativo a distanza di oltre un decennio dalle discussioni sulla riorganizzazione della distribuzione: ancora oggi il numero delle pompe indipendenti non raggiunge le 8 mila, benché sia stata mostrata la loro capacità di esercitare localmente un impatto sulla riduzione dei prezzi dei carburanti.

Non è poi secondario il fatto che nel mercato dei carburanti italiano nessuna reazione ai prezzi può provenire dalle variazioni della domanda da parte dei consumatori, che non trovano nella disponibilità di trasporti pubblici una adeguata alternativa all’utilizzo dell’auto: la rete ferroviaria suburbana è di 740 chilometri, contro i 2.039 della Germania e i 1.443 della Spagna; mentre le linee metropolitane coprono complessivamente 254 chilometri contro i 225 della sola Parigi o 291 della sola Madrid. A ciò si aggiunge l’immobile e larghissimo divario nelle reti ferroviarie tra Nord e Sud del paese, che dovrebbe ridurre al silenzio la gran cassa del Ponte sullo stretto.

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Eppure, il dibattito è solo e ossessivamente concentrato sulla riduzione delle accise e dell’Iva sui carburanti. Nessuno si preoccupa di conciliare gli interventi fiscali con la regolamentazione della distribuzione, aprendo il mercato a una effettiva concorrenza. Una volta ancora occorre ricordare che non si può chiedere al sistema tributario di fare più di quello che deve, specialmente di correggere ex post comportamenti di mercato che richiedono regolamentazioni ex ante, senza le quali il sistema tributario riverserà sui contribuenti i costi di comportamenti speculativi che continueranno a perpetuarsi con immutato profitto di pochi, e sempre gli stessi.

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  1. firmin

    Forse questo ennesimo bonus allude al bocchettone del serbatoio, visto che nella smorfia napoletana l’80 corrisponde appunto alla bocca. Se è così, sarebbe stato meglio prevedere un bonus da 81 euro, perchè è questo il numero che è associato al serbatoio. Al di là di tutto, questo ed altri bonus si fondano su alcune convinzioni ben più irrazionali della smorfia. La prima è che il bilancio di una famiglia o di una impresa sia fatto a compartimenti stagni, per cui un bonus destinato all’acquisto dei carburanti sarebbe utilizzato esattamente a questo scopo, senza influenzare le altre spese. In realtà quegli 80 euro saranno utilizzati per finanziare tutte le spese, quindi è quantomento improprio (o ingannevole?) definirlo “bonus benzina”. Il secondo pregiudizio, molto più insidioso del primo, è che in un mercato oligopolistico come quello dei carburanti quella somma non finisca semplicemente nelle tasche delle compagnie, sotto forma di maggiori profitti, invece che in quelle delle famiglie sotto forma di risparmi. Quindi è probabile che gli 80 euro siano un bonus per le raffinerie più che per le famiglie. La terza credenza magica, strettamnete legata alle precedenti, è che il bonus vada ad avvantaggiare le famiglie più povere, invece di diffondersi ai loro fornitori e lungo tutta la catena del valore. Il risultato paradossale potrebbe essere che i poveri vadano così ad arricchire chi è già ricco (grazie ad un trickle down al contrario) peggiorando le disuguaglianze. In ogni caso, questo provvedimento suggerisce la seguente quaterna: 80, 30, 60, 67. E lasceri al lettore il piacere di documnetarsi sul significato degli ultimi 3 numeri.

  2. Savino

    Più in generale, il carrello non è tricolore ma incolore perchè si è deciso di non controllare i prezzi, di non adeguare il potere d’acquisto dei salari, di non calmierare nemmeno le tariffe sui trasporti pubblici (dagli aerei ai tram), di dar luogo ad una fasulla concorrenza dove il consumatore è dichiarato fuori dal mercato tutelato e, di conseguenza, non è tutelato da nessuna norma. Le compagnie energetiche, dopo 24 ore dal decreto, hanno espulso con una mail gli utenti dal mercato tutelato e non forniranno certo energia a prezzi concorrenziali europei.

  3. tom

    In Italia il prezzo dei carburanti è strettamente correlato alle necessità di cash flow dello stato…
    Con il 56% di tasse sui carburanti fra la benza a 1,6 e a 2 cambiano quasi 2 mld di € di entrate in meno al mese… Di fatto ci facciamo una manovrina,,,

  4. Lorenzo Luisi

    Nel Paese dove vale più un post sgrammaticato (quello sulle auto elettriche) di un ministro che non si è nemmeno laureato, fa sempre tenerezza vedere come gli esperti si prodigano per risolvere le situazioni; Intanto il prezzo della benzina scende di poco quando ci sono bassi consumi (come si può verificare dopo l’estate) e sale di molto quando ci si approssima al periodo di alti consumi (qualcuno vuol scommettere contro di me se dico che a Natale vedremo la benzina self a 2.1€?)

  5. Angelo

    Io vorrei saper perché il Governo NON richiede i contratti di fornitura alle COMPAGNIE PETROLIFERE per verificare il costo ab origine de lla materia prima

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