La prestazione universale per gli anziani non autosufficienti rischia di rendere ancora più complicato il sistema. In più riguarderà un numero molto esiguo di persone. Vuole anticipare una riforma che, con l’attuale impostazione, non potrà realizzarsi.
Cos’è la prestazione universale
La presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha annunciato la prossima introduzione, in via sperimentale dal 2025, della prestazione universale – la principale misura assistenziale a favore degli anziani non autosufficienti contenuta nel decreto legislativo attuativo del cosiddetto “Patto per la terza età” del 25 gennaio – con queste parole: “Con più di un miliardo di euro in due anni e l’avvio della sperimentazione di una prestazione universale che consentirà di aumentare di oltre il 200 per cento l’assegno di accompagnamento degli anziani più fragili e bisognosi, diamo finalmente risposte concrete ai bisogni dei nostri oltre 14 milioni di anziani, ai non autosufficienti e alle loro famiglie”.
È proprio così? La prestazione universale, così concepita, realizza finalmente la riforma della non autosufficienza attesa da decenni? Viene finalmente rotta l’inerzia istituzionale che ha reso l’Italia, da decenni, l’unico paese dell’Europa occidentale senza un sistema moderno di long-term care? Vediamo i fatti.
Le risorse impegnate nella nuova misura sono 500 milioni di euro, 300 per il 2025 e 200 per il 2026. Si tratta di una sperimentazione biennale, che dovrebbe preludere all’introduzione di una prestazione universale definitiva. Alla sperimentazione hanno accesso solo gli over 80, con disabilità gravissima, già in possesso di indennità di accompagnamento e con Isee sino a 6 mila euro annui. Si stima una platea inferiore alle 30 mila persone, tenendo conto delle risorse disponibili.
La prestazione non sostituisce, ma integra di 850 euro mensili (importo fisso), l’attuale indennità di accompagnamento (pari a 531 euro mensili), con un incremento pari al 160 per cento sulla misura base. Il totale della prestazione arriva dunque a 1.381 euro mensili. La prestazione universale integrativa può essere fruita solo per remunerare il costo di una badante con contratto regolare oppure per acquistare servizi di cura domiciliari presso “imprese qualificate”. I residenti in strutture residenziali non sono ammessi.
Entro la fine del 2024 il governo dovrà chiarire le modalità di fruizione tramite nuovi decreti.
I numeri
Gli anziani (over 65) non autosufficienti (con disabilità al 100 per cento) che attualmente percepiscono l’indennità di accompagnamento sono 1 milione e 568 mila (Osservatorio statistico dell’Inps, anno di riferimento 2023). È facile stimare che i beneficiari della sperimentazione saranno invece al massimo 29.400 nel 2025 (con budget 300 milioni) e 19.600 nel 2026 (con budget 200 milioni). Rappresenteranno dunque l’1,9 per cento dei beneficiari di indennità nel primo anno e solo l’1,2 per cento nell’anno successivo.
La sperimentazione è focalizzata solo sui disabili gravissimi, persone con forte compromissione fisica o psichica che necessitano di cure continuative 24 ore al giorno per 7 giorni alla settimana. Il numero complessivo dei gravissimi nel nostro paese è stimabile in circa 113 mila. Di costoro, entrerà nella sperimentazione il 26 per cento nel 2025 e il 17 per cento nell’anno successivo.
L’importo complessivo della prestazione universale è pari a 500 milioni in due anni, ovvero in media 250 milioni in un anno. Rispetto ai 9,3 miliardi spesi annualmente per l’indennità di accompagnamento, l’aumento previsto è quindi soltanto del 2,7 per cento.
Cosa ci dicono questi numeri? Dicono che, nonostante la prestazione universale offra una protezione forte ai soggetti che ne usufruiranno, la sua estensione attuale è troppo stretta per considerarla, in quanto tale, una vera e propria riforma del sistema long-term care. Ne resta infatti escluso il 98 per cento degli anziani non autosufficienti del paese. Le risorse investite sono troppo limitate, specie se confrontate con quelle spese annualmente per la misura che già esiste.
Una anticipazione della riforma?
La prestazione universale viene presentata comunque come il primo passo nella direzione di una riforma complessiva, che estenderà la nuova misura a una platea più grande.
È davvero così?
La prestazione universale è stata disegnata, nel decreto del governo, come una misura che si cumula all’importo dell’indennità di accompagnamento, che resta invariata. È chiaro l’orientamento del governo di non riformare l’indennità di accompagnamento, ma di offrire prestazioni integrative.
È una strategia sensata? Se la prestazione universale così disegnata venisse ampliata a tutti gli anziani con disabilità grave o gravissima (circa il 15 per cento dei beneficiari attuali di Indennità), il costo complessivo sarebbe pari a 3 miliardi di euro per anno, ovvero almeno dieci volte l’importo attuale.
Se anche si prevedesse una riduzione dell’importo pro-capite, la spesa pubblica aumenterebbe in modo esponenziale e coprirebbe comunque soltanto un sesto degli anziani non autosufficienti del nostro paese. Per coprirli tutti, ci vorrebbe una somma almeno tre volte superiore, anche graduando gli importi in base al bisogno. Ai 9,3 miliardi già spesi annualmente per l’indennità di accompagnamento, dovremmo aggiungerne altrettanti se il progetto fosse di introdurre ed estendere una prestazione integrativa.
È chiaro che, senza una rimodulazione dell’indennità di accompagnamento, una riforma reale del long-term care non potrà mai avvenire nel nostro paese.
Un nuovo modello di assistenza?
La sperimentazione intende introdurre un nuovo modello di assistenza, da estendere progressivamente a tutti gli anziani in stato di bisogno. È il messaggio che emerge dal dettato del decreto e dalle dichiarazioni politiche degli ultimi giorni.
Ci sono elementi di novità nella prestazione universale?
Il dispositivo contiene un importante passo in avanti. La prestazione universale non distribuisce infatti trasferimenti monetari, ma deve essere obbligatoriamente convertita in servizi di cura, forniti su base individuale oppure organizzata. Si risponde così a una sollecitazione avanzata soprattutto dal Patto per un nuovo welfare sulla non autosufficienza, che ha richiesto a gran voce un investimento di risorse in servizi di cura adeguati e qualificati, che consenta di superare il “fai da te” delle famiglie.
A questo indubbio passo in avanti, corrisponde però un passo indietro. Nonostante la prestazione sia chiamata “universale”, l’accesso è consentito solo a chi dispone di un Isee inferiore a 6 mila euro. Si tratta di un grave arretramento rispetto all’indennità di accompagnamento, che viene erogata indipendentemente dal reddito delle persone, riconoscendo il diritto alla cura come un bene primario di cittadinanza. La prestazione universale, dunque, universale non è, configurandosi come un diritto solo per i più poveri.
La riforma si allontana
La legge 33/2023 sugli anziani aveva sollecitato molte aspettative sulla possibilità che trovasse sbocco, al termine di un lungo processo, la tanto attesa riforma del sistema italiano di long-term care. Già la legge 33/2023 istituiva, su sollecitazione del Patto, la prestazione universale, che introduceva una graduazione fondata sul bisogno e la possibilità di optare tra l’indennità già esistente e un’opzione servizi opportunamente sostenuta.
La misura ora introdotta non è che una lontana parente di quella proposta. A ben vedere, ne tradisce gran parte degli obiettivi. È molto magra e riguarda un ristretto gruppo di anziani non autosufficienti. Non prevedendo una rimodulazione dell’indennità di accompagnamento, rischia di aggiungersi alle misure già esistenti, aumentando la complicatezza del sistema e senza incidere sulle condizioni di vita del 98 per cento degli anziani disabili del nostro paese. Intende anticipare una riforma che, sulla base dell’impostazione attuale, non potrà realizzarsi. Sperimenta un modello di intervento potenzialmente innovativo, ma introduce una prova dei mezzi che riporta la legislazione italiana indietro agli anni Settanta.
Il rischio che, alla fine del biennio, la sperimentazione non abbia alcun seguito è dunque elevato. Non è certo la riforma annunciata dalla legge 33/2023, al di là delle affermazioni propagandistiche. Augurandoci che la sperimentazione sia efficace per chi ne beneficerà, non potrà comunque essere estesa a condizioni simili anche agli altri anziani in condizioni gravi o gravissime. Non contiene infatti, purtroppo, i germi di una promessa realistica per il futuro del long-term care in Italia. Non ci resta che augurarci che il governo introduca correttivi importanti nella fase di organizzazione e realizzazione della misura.
Tabella 1 – La prestazione universale in rapporto alla indennità di accompagnamento
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Savino
Siamo sempre più lontani dal welfare contemporaneo e siamo sempre più vicini a misure pseudo caritatevoli fatte a spot per ingraziarsi singole categorie. I politici italiani di oggi, nessuno escluso, sono i campioni del mondo di questa elusione di problemi, con conseguenze di bilancio notevoli, laddove sarebbe importante non indebitarsi e capire (ciò non si è fatto a livello UE) il tasso di sostenibilità del nostro indebitamento.
Mauro Piccinelli
La politica attuale del governo si sta sempre più orientando verso misure provvisorie, a scadenza ravvicinata (vedi riduzione del cuneo fiscale), che paiono essere predisposte per un immediato successo mediatico, mentre mancano completamente di visione prospettica! E intanto si vogliono spendere tra i 12 e i 14 miliardi (a seconda dei conteggi effettuati), per il ponte sullo stretto di Messina… Mah!!