L’Assemblea regionale siciliana si accinge ad approvare la norma che introduce l’elezione diretta degli organi di governo degli enti intermedi. L’esecutivo nazionale non sembra intenzionato a ostacolarla. Ma si apre una questione di costituzionalità.
La legge regionale e il governo centrale
L’Assemblea regionale siciliana è pronta per approvare il disegno di legge che introduce l’elezione diretta degli organi di governo nelle tre città metropolitane (Catania, Messina e Palermo) e nei sei liberi consorzi comunali (Enna, Caltanissetta, Trapani, Siracusa, Ragusa, Agrigento) e, dopo le rassicurazioni ricevute dal ministro per gli Affari regionali Calderoli, non avrà neanche bisogno di attendere la preventiva modifica della legge statale Delrio.
Nei giorni scorsi il ministro, intervistato da Il Giornale di Sicilia a proposito del ritorno delle elezioni nelle province, ha infatti affermato: “La legge Delrio è la più grossa vaccata nella storia del paese”. Ha poi così concluso: “Io non credo che ci sia un problema di armonia costituzionale. Nelle regioni a statuto speciale ognuno decide a casa propria e io non entrerò mai nell’attività legislativa di una regione autonoma”.
Da un ministro della Repubblica, che più di altri ha il dovere di rispettare la Costituzione e lo stato di diritto, ci saremmo aspettati maggiore cautela, anche per gli effetti politici e istituzionali che una siffatta affermazione può produrre.
La legge statale Delrio
Prima della riforma degli enti intermedi introdotta dalla legge n. 56/2014 (Delrio), gli iscritti nelle liste elettorali dei comuni erano chiamati a eleggere, in via diretta, gli organi rappresentativi delle province a cui appartenevano e quindi il presidente della provincia e i componenti del consiglio provinciale. Con la legge Delrio, laddove l’ente intermedio è rimasto individuato nella provincia, è stato previsto, sia per il presidente che per il consiglio provinciale, una elezione di secondo grado in cui l’elettorato attivo e passivo è attribuito ai sindaci e ai consiglieri comunali dei comuni della provincia. I cittadini, quindi, in relazione alle province riformate, esercitano il diritto di voto in via indiretta nel momento in cui sono chiamati a eleggere gli organi dei comuni a cui appartengono.
L’ente intermedio siciliano
Per effetto dell’articolo 15 dello Statuto, l’ordinamento regionale degli enti locali si basa sui comuni e sui liberi consorzi comunali, dotati della più ampia autonomia amministrativa e finanziaria. A differenza di quanto previsto dall’articolo 114 della Costituzione per le regioni a statuto ordinario, in Sicilia l’ente intermedio esiste solo nella formula consortile utilizzata dai comuni. Il modello, risolvendosi in una forma istituzionale di consorzio tra comuni per l’esercizio congiunto di funzioni o servizi riconducibili all’area vasta, non costituisce un ente territoriale ulteriore e diverso rispetto all’ente comune. Per tali enti, istituiti con legge regionale n. 15/2015, è stata prevista l’elezione indiretta degli organi di governo al pari di quanto fatto dalla legge statale Delrio per le province del resto d’Italia. L’introdotto modello di governo di secondo grado rientra tra gli “aspetti essenziali” del complesso disegno riformatore che si riflette nella legge stessa, sia perché funzionali all’obiettivo perseguito di semplificazione dell’ordinamento degli enti territoriali, nel quadro della ridisegnata geografia istituzionale, sia perché rispondono a un fisiologico fine di risparmio dei costi connessi all’elezione diretta.
Rispetto a questa premessa ordinamentale, la Corte costituzionale (sentenza n. 168/2018) ha successivamente avuto l’occasione di aggiungere che le disposizioni sull’elezione indiretta degli organi territoriali, contenute nella legge Delrio, devono essere considerate norme fondamentali delle riforme economico-sociali che, in base all’articolo 14 dello Statuto speciale per la Regione siciliana, costituiscono un limite anche all’esercizio delle competenze legislative di tipo esclusivo.
Di fronte a una pronuncia così netta del giudice delle leggi – che ovviamente ha portato all’annullamento del precedente tentativo operato nel 2017 dal legislatore siciliano di ritornare sui propri passi introducendo l’elezione diretta negli enti intermedi – appare quanto meno inopportuno sostenere che la Regione siciliana possa, a regime normativo statale invariato, (ri)legiferare nella medesima direzione. E ciò, come dice la stessa Corte costituzionale, “a prescindere dall’ulteriore profilo di contrasto – diretto – delle nuove disposizioni regionali sulla elezione a suffragio universale del presidente e del consiglio del libero consorzio comunale con l’art. 15 dello statuto di autonomia della Regione siciliana, che ha riconfigurato le «soppress[e]» circoscrizioni provinciali su base, appunto, di “consorzi” tra comuni”.
Impugnativa non obbligatoria
E tuttavia, se è vero che le leggi regionali possano essere impugnate dallo stato di fronte alla Corte costituzionale previa deliberazione del Consiglio dei ministri, è altresì vero che la delibera d’impugnazione è un atto politico, riservato alla decisione dell’organo collegiale e di vertice del Governo statale, come rilevato anche dalla stessa Corte costituzionale (sentenza n. 33/62, sentenza n. 54/90), in cui ha affermato che la previa delibera del Consiglio dei ministri trova la sua giustificazione “in un’esigenza non di natura formale, ma di sostanza, connessa all’importanza dell’atto di impugnativa della legge e alla gravità dei suoi possibili effetti di natura costituzionale”.
Ciò significa che il governo, pur in presenza di una legge regionale manifestamente in contrasto con la Costituzione, non ha alcun obbligo giuridico di promuovere il giudizio di costituzionalità in via principale, neanche quando, come per il caso in questione, esiste già una specifica decisione della Corte costituzionale per la medesima controversia.
Il ricorso in via incidentale
Ammesso che il governo possa giustificare “politicamente” l’omessa impugnativa del disegno di legge che la Regione siciliana si appresta ad approvare, nulla potrà impedire che la questione di costituzionalità arrivi comunque al vaglio della Corte costituzionale in via incidentale, anche per il tramite di un consigliere comunale che agisca solitariamente in giudizio allo scopo di rimuovere un pregiudizio legislativo che gli impedisce di esercitare realmente il proprio diritto di voto in modo pieno e in sintonia con i valori costituzionali.
La prevista tecnica dell’elezione indiretta degli organi di governo dei nuovi enti di area vasta (in Sicilia concepiti dall’articolo 15 dello Statuto quali consorzi di comuni) ha infatti comportato una traslazione dei diritti di elettorato attivo e passivo in capo alle sole cariche elettive comunali (sindaci e consiglieri comunali).
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massimo greco
Con il voto segreto non sapremo mai le ragioni dell’avvenuto affossamento del disegno di legge in questione che avrebbe dovuto ripristinare l’elezione degli organi di governo negli enti intermedi siciliani. Saremmo stati più contenti se alla base vi fossero state le qui illustrate pregiudiziali d’incostituzionalità, ma siamo invece convinti che le ragioni siano tutte politiche e tutte interne alla maggioranza.
Ci preoccupa sempre più che in questo tipo di “politica” a prevalere siano sempre gli interessi di parte (ed a volte anche quelli personali) che, puntualmente, hanno la meglio sugli interessi generali della collettività. Si poteva scegliere un’occasione legislativa diversa per regolare i conti all’interno della maggioranza di governo e invece si è preferito utilizzare un argomento tanto delicato, quanto urgente, qual è quello di rivitalizzare un ente strategico per la vita dei territori di area vasta.
Adesso, per voce dello stesso Governatore Schifani, il Governo regionale dovrà urgentemente indire i comizi elettorali per consentire l’elezione degli organi di governo delle tre città metropolitane e dei sei Liberi consorzi comunali col vigente sistema di elezione indiretta.
I siciliani, che hanno infatti il diritto di esercitare la propria sovranità nelle autonomie locali, eleggendo (direttamente o indirettamente) i propri rappresentanti, non potranno più attendere né i capricci istituzionali di forze politiche manifestamente inadeguate né la permanenza in capo agli enti di area vasta di commissariamenti già dichiarati incostituzionali.
Francesco
Buongiorno mi chiamo Francesco tasca e sono residente a Castel di indica anno tolto le province con lo scopo di risparmiare ma io credo che non si risparmia,noi come comune esento distante 50KM. Siamo penalizzati ,io spero che li reintegrano.
Filippo
Scusatemi, non mi sembra opportuno riasumare un cadavere dopo quindici anni sepolto, ancora oggi mi chiedo come mai il personale rimasto non è stato assegnato ai vari comuni, per sopperire alla carenza di organi.?
Fausto Tagliabue
Le vecchie province sono troppe. Andrebbero create nuove strutture più ampie, alle quali far coincidere i bacini di competenza delle Camere di commercio, ATO Acque, bacini di trasporto pubblico, Aziende sanitarie, collegi elettorali. Insomma, andrebbe ripensata l’architettura delle strutture della Repubblica: meno comuni e più grandi, aree vaste con compiti ben definiti, Regioni con meno poteri ed un maggiore ruolo dello stato. Siano una nazione non venti staterelli.