Le Zone logistiche speciali hanno finalmente trovato una definizione di legge. Il modello è la prima versione delle ormai cancellate Zone economiche speciali. Il ruolo delle regioni e il rischio che fra tante incertezze le imprese rinuncino a investire.
Un percorso legislativo lungo e travagliato
Perché la disciplina delle Zone logistiche semplificate (Zls) iniziasse a prendere forma ci sono voluti sette anni, tanti quanti sono quelli previsti per la sua durata minima. Così, invece di “tirare le somme” di una ipotetica prima fase, ci ritroviamo a immaginarne gli sviluppi e le prospettive.
Durante la lunga attesa sono ovviamente mutati gli scenari. In più le Zls sono state sempre un passo indietro rispetto alle Zone economiche speciali (Zes). Basta ripercorrerne la storia per vederlo.
Alle Zls si inizia a pensare, “per differenza”, nello stesso anno in cui si introducono le Zes. È il 2017 e a giugno (con il Dl n. 91/2017) si disciplinano le Zone economiche speciali da istituire nelle “regioni meno sviluppate e in transizione”. A fine anno, invece, con la legge di bilancio (n. 205/2017), si riconosce alle “regioni in cui non si applicano gli articoli 4 e 5 del decreto-legge 20 giugno 2017, n. 91” la possibilità di creare zone che godano di semplificazioni e agevolazioni. Sembra infatti che in tutto il paese si debba promuovere la rete portuale che va connessa con il resto delle infrastrutture per agevolare traffici e rotte commerciali e lo strumento per attrarre imprese e investimenti è, in via prioritaria, la semplificazione. Al Sud la si consentirà insieme ad alcuni benefici fiscali; al Nord solo la semplificazione. In entrambi i casi saranno le Autorità di sistema portuale (Adsp) e le regioni ad avere il ruolo di promotori e coordinatori.
Ma questa impostazione dura appena due anni; mentre l’istituzione delle Zes è ancora in alto mare, ecco che le Zls provano a essere ancora più simili. La legge di bilancio 2020 riconosce che potranno godere anch’esse, sia pur in maniera limitata, del beneficio fiscale che era di appannaggio esclusivo delle Zes (credito di imposta di cui all’art. 5 comma 2 Dl n. 91/2017). Non è un caso se cambia anche la definizione di Zls e non si procede più per differenza, richiamando le regioni in cui non opera il decreto 91/2017, ma semplicemente riferendosi alle “regioni più sviluppate”.
Per alcuni anni, il legislatore non si occupa di loro, salvo “utilizzare il nome” nel 2018, all’indomani del crollo del ponte Morandi, per istituire ex lege la Zls di Genova, che di fatto resta sulla carta, visto che non esiste ancora oggi neppure il comitato di indirizzo.
Il decreto legge “Pnrr 2” (n. 36/2022) rimette in pista le Zls stabilendo che un decreto della presidenza del Consiglio dovrà fissarne procedure di istituzione e modalità di funzionamento; nelle more, si applicherà – per quanto compatibile – il Dpcm che disciplina modalità e funzionamento delle Zes. Il processo di “avvicinamento” tra i due strumenti prosegue e, nel 2022, viene istituita la prima Zls (in quanto iniziativa regionale): quella di Venezia-Rodigino.
A fine 2023 le Zes mutano radicalmente: a partire dal 2024 quelle regionali non esisteranno più e ci sarà solo un’unica Zes che comprende le otto regioni del Mezzogiorno. Queste ultime non avranno più il ruolo propulsore e ogni meccanismo (cabina di regia, struttura di missione, piano strategico) sarà azionato a livello centrale (presidenza del Consiglio dei ministri).
Cosa accadrà alle Zls?
Dopo sette anni, ecco il Dpcm dedicato alle Zls (n. 40/2024): un testo adottato sulla falsariga di quello rivolto nel 2018 alle Zes regionali (che però ormai non esistono più). Appena un mese dopo, il “Dl coesione” (n. 60/2024) conferma l’estensione della possibilità di fruire del credito di imposta a seguito della realizzazione di un investimento ad alcune aree delle Zls (zone cosiddette in deroga, ex art. 107 par. 3 lett. c) TfUe).
Dal 2024, quindi, le Zls vorrebbero assomigliare alle “Zes della prima ora”, attraverso una guida a trazione regionale incentrata sulle aree portuali e una individuazione di poli logistici da promuovere.
Il modello Zes del Dl n. 91/2017, appena depennato per il Mezzogiorno, pare riproposto per le Zls. Funzionerà? E in particolare per il credito di imposta, saranno sufficienti una finestra temporale – a oggi – di appena 6 mesi (8 maggio-15 novembre 2024) e risorse indefinite, in quanto indicate in via cumulativa con altri fondi? Salvo Genova e Venezia, non ci sono altri porti che abbiano una Zls e le proposte di piano strategico esistenti (Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna, Toscana, Lazio) saranno, plausibilmente, riformulate alla luce dei neonati Dpcm n. 40/2024 e Dl coesione. Senza dimenticare il rinvio a un successivo decreto ministeriale che definirà le modalità di accesso al beneficio fiscale.
Cosa decideranno le regioni? Nella speranza di attirare maggiori investimenti, sceglieranno di inserire nel perimetro Zls le limitate aree che possono fruire del credito di imposta, magari forzando il nesso economico-funzionale richiesto dalla normativa per ricomprendere aree non territorialmente adiacenti a quella portuale? Porti, aeroporti, retroporti, piattaforme logistiche e interporti mostrano sempre solide connessioni con le zone “in deroga” (generalmente zone interne o particolarmente svantaggiate)? Qual è l’obiettivo: favorire la logistica o la coesione?
Di recente Assonime ha parlato di matrice bottom up per le Zls che restano “fortemente legate al territorio (regionale o interregionale), segnando il distacco rispetto al modello top down centralizzato con l’istituzione della Zes Unica”. Quanto ciò sia frutto di una scelta ponderata e non l’esito di rinvii a precedenti “impostazioni” normative non è ben chiaro. Pare invece plausibile ipotizzare che molte imprese potrebbero rinunciare a investire. Il perché lo dicono i numeri Zes (e quanto si può immaginare) all’indomani del Dpcm (in Gazzetta Ufficiale 21.5.2024) che ha configurato una sorta di procedura a prenotazione e un meccanismo di calcolo del credito effettivo che potrebbe spingere alcune imprese a prenotarsi per importi elevati abbassando le percentuali reali di agevolazione e disincentivando altri soggetti. Lo dice la farraginosità e l’ambiguo e incerto cammino “emulativo” delle Zls.
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Marco Quadrelli
Il ruolo che le ZES possono avere nello stimolare le imprese attraverso la deregolamentazione è limitato. De jure godono di un notevole grado di autonomia giuridica e di libertà economica. Di fatto si tratta di progetti finanziati dal governo che non potrebbero mai esistere in un libero mercato. Inoltre le ZES sono di fatto redistribuzione di risorse in una zona, a scapito di altre. Benvenuta l’autonomia regionale differenziata che dovrebbe eliminale.