I giovani in Italia hanno poche prospettive. Manca infatti una visione strategica che inquadri il loro sviluppo in quello generale del paese. I governi locali hanno adottato alcune buone pratiche per individuare l’impatto generazionale dei loro interventi.

I dati sulla condizione giovanile

I dati sulla disoccupazione giovanile (15-24 anni) nei primi mesi del 2024, rilasciati da Istat, certificano un tasso prossimo al 20 per cento, registrato per l’ultima volta nel 2007, cioè prima della crisi finanziaria. Se la “svolta” rappresenta un fenomeno incoraggiante, le prospettive per lo sviluppo delle giovani generazioni nel nostro paese rimangono tuttavia molto incerte.

In aprile il Consiglio nazionale dei giovani e l’Agenzia italiana per la gioventù hanno presentato il rapporto “Giovani 2024: Bilancio di una generazione”, sulla condizione giovanile in Italia, che mette al centro la “questione demografica” (età media vicino ai 46 anni e incidenza della popolazione giovanile tra i 18 e i 34 anni sulla popolazione totale pari al 17,4 per cento, contro il 19,4 per cento della media Ue) e il fenomeno migratorio giovanile (saldo migratorio annuo medio 2017-2021 superiore alle 90 mila unità di under 40). Anche l’Indice del divario generazionale (Gdi), che prende in considerazione vari aspetti (salute, benessere, sicurezza, mobilità, ambiente, welfare, partecipazione democratica, pari opportunità e altro) basandosi su 14 domini e 43 indicatori, si mantiene costantemente su livelli elevati. Anzi, nel corso delle varie crisi succedutesi dal 2006 al 2022, l’indice è sempre peggiorato (fatto 100 il 2006 ha raggiunto picchi oltre 140 punti) con significativa velocità e intensità, dimostrandosi invece meno elastico nei periodi di ripresa, come quello attuale (figura 1).

Per usare una metafora, oggi un giovane, per raggiungere la propria autonomia e dunque poter permettersi una abitazione indipendente, accedere a un lavoro dignitoso e poter assumere la genitorialità responsabile, deve compiere sforzi maggiori di un terzo rispetto a un giovane del 2006.

Figura 1 – Indice del divario generazionale

Fonte: Osservatorio politiche giovanili della Fondazione Bruno Visentini

In questo contesto, è evidente l’importanza di politiche mirate a sostenere i giovani in una congiuntura economica complessa, intervenendo sui principali elementi di fragilità, quali l’emergente povertà (generata da bassa intensità lavorativa, inattività e povertà educativa), gender pay gap, difficoltà di accesso al credito e difficoltà a mobilizzare risorse per lo sviluppo (eccessiva incidenza della spesa pensionistica e debito pubblico sul Pil).

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Chi cura gli interessi dei giovani

Se questi sono i fattori fondamentali, se ne aggiungono poi altri che concorrono a rallentare lo sviluppo delle giovani generazioni.

In primo luogo, lo scarso coinvolgimento dei giovani nei processi che ai vari livelli di governo conducono alla definizione di strategie per lo sviluppo, norme e interventi. La loro ininfluenza nei processi decisionali non può essere semplicemente ricondotta alla loro scarsa rilevanza numerica o alla loro diffusa astensione alle tornate elettorali, ma deve necessariamente essere addossata alla mancata attivazione dei processi che a livello europeo sono definiti di Youth Empowerment, ovvero la capacità dei giovani di mettere a fuoco i loro interessi e di promuoverli.

In secondo luogo, la difficoltà di perimetrare l’universo giovanile, definito recentemente dal Consiglio dell’Ue come “una moltitudine di identità, con capacità, esigenze, volontà, risorse e interessi diversi, che si trovano dinanzi a svariate sfide e opportunità e provengono da vari contesti educativi, culturali, geografici, economici e sociali”.

Nel nostro paese manca anche una visione strategica volta a inquadrare lo sviluppo dei giovani nell’ambito della competitività dell’intero sistema paese. Non abbiamo una legge quadro delle politiche giovanili e non è stata ancora data attuazione alla Strategia europea per la gioventù 2017-2029. In attesa di attuazione anche lo Youth Check, uno strumento di valutazione degli effetti delle politiche sulla popolazione giovanile già operativo in Austria, Francia, Germania e nelle Fiandre belghe. Nel rendere un parere consultivo sullo strumento alla presidenza spagnola del Consiglio, il Comitato economico e sociale europeo (Cese) ha indicato come essenziale “che tutte le leggi, gli atti aventi forza di legge, le politiche, le strategie, i programmi, le misure e gli investimenti pubblici degli stati membri siano sottoposti a una consultazione per accertare l’impatto dell’Ue sui giovani, a una valutazione d’impatto, a una definizione di politiche e a proposte di misure di mitigazione, e impediscano ogni azione di violazione dei diritti e di discriminazione nei confronti dei giovani”.

Le iniziative degli enti locali

Nelle more dell’introduzione di un modello di valutazione di impatto generazionale (Vig) da parte delle istituzioni centrali del nostro paese, alcune realtà locali si sono mosse per sperimentarla nella propria dimensione territoriale. La direzione presa da questi enti non è tanto quella dell’attuazione del nuovo art. 9 della Costituzione che, in ambito strettamente ambientale menziona le future generazioni e così facendo smarrisce la multidimensionalità del problema qui esaminato e finisce per “spostare in avanti” il problema, ma si concentra sulle attuali giovani generazioni e si appoggia sulla tassonomia definita dalle Linee guida per la valutazione dell’impatto generazionale delle politiche pubbliche introdotte con Dm 8 luglio 2022 basata sui domini lavoro, educazione, benessere e Inclusione.

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Caso emblematico è senza dubbio il comune di Parma che per primo ha voluto sperimentare la metodologia valutativa nella propria realtà e perimetrare definizioni più precise per le “misure generazionali”, “potenzialmente generazionali” e “non generazionali”. Esperienza seguita dal comune di Bologna, che a maggio 2024 ha introdotto le proprie linee guida.

In particolare, attraverso un lavoro di approfondimento, analisi e “mappatura” delle misure e dei propositi contenuti nei Documenti unici di programmazione (Dup) dei due comuni, ci si è basati su uno schema logico per individuare e “marcare” quando una misura è realmente ed esclusivamente rivolta ai giovani (generazionale, appunto) o potenzialmente possa esserlo. L’approccio permette anche di rilevare eventuali misure anti-generazionali, che, se non corrette, potrebbero incrementare il divario generazionale e si basa su una valutazione quantitativa e qualitativa degli interventi “marcati”, con il ricorso a indicatori di output e di outcome, valutando sull’impatto sull’Indice di divario generazionale locale.

Si tratta di un passo in avanti culturale e pragmatico, che si auspica non sfugga al legislatore nazionale chiamato ora ad approvare il Ddl “Misure per la semplificazione normativa e il miglioramento della qualità della normazione e deleghe al Governo per la semplificazione, il riordino e il riassetto in determinate materie” varato dal Consiglio dei ministri il 4 giugno , che all’art 4 propone di introdurre la valutazione di impatto generazionale dei disegni di legge presentati a Camera e Senato.

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