Il 28 luglio i venezuelani votano per eleggere il presidente. Gli undici anni di regime autoritario di Maduro hanno avuto gravi ripercussioni sull’economia del paese e sulla tutela dei diritti umani. Ma non è detto che sia arrivata l’ora del cambiamento.

Le elezioni 2024

Negli ultimi undici anni il Venezuela è stato governato da Nicolás Maduro, leader del partito socialista di ispirazione chavista: venne eletto per la prima volta nel 2013 e poi rieletto nel 2018. La seconda elezione è stata particolarmente controversa, con accuse di brogli elettorali e boicottaggi da parte dell’opposizione. Maduro si è imposto fin dal principio come leader autoritario e il suo governo è stato segnato da una forte repressione dei dissidenti politici, arresti arbitrari e un uso eccessivo della forza contro i manifestanti, con gravi violazioni dei diritti umani.

Si preannunciano problematiche anche le elezioni presidenziali in programma per domenica 28 luglio: Maduro, che si è ricandidato, ha fatto di tutto per annientare l’opposizione e garantirsi il terzo mandato, nonostante il drastico calo della sua popolarità conseguenza della grave crisi che affligge il paese da quando è in carica.

Sondaggi indipendenti mostrano infatti come la popolazione sia desiderosa di un cambio di rotta: due terzi vorrebbe un nuovo leader. Il principale avversario di Maduro è Edmundo González Urrutia, candidato della coalizione politica Piattaforma Unitaria, che sarebbe in vantaggio di ben 21 punti percentuali rispetto al leader uscente. Tuttavia, pur con tanto consenso, per lui non si preannuncia una vittoria scontata.

I problemi politici e sociali del Venezuela

Alla vigilia delle elezioni presidenziali, il Venezuela appare sempre più fragile dal punto di vista politico e afflitto da gravi problemi sociali e di tutela dei diritti umani.

Secondo il Democracy Index del 2023, il paese continua a registrare una delle valutazioni più basse dell’area, con un punteggio di 2,31, in costante declino rispetto al 5,42 del 2006. L’indice misura la qualità della democrazia basandosi su cinque categorie principali: processo elettorale e pluralismo, funzionamento del governo, partecipazione politica, cultura politica e libertà civili. Paesi con punteggi tra 0 e 4 sono considerati regimi autoritari, tra 4 e 8 indicano regimi ibridi o democrazie fragili, valori superiori a 8 rappresentano democrazie piene. I dati confermano dunque che la politica venezuelana è ben lontana da essere democratica.

Un’altra statistica utile per comprendere la crisi politica e sociale è l’indice della percezione della corruzione: misura quanto il settore pubblico di un paese sia percepito come corrotto, valutando l’abuso dei pubblici uffici per interessi privati. Nel 2023, il Venezuela ha registrato un punteggio di 13 su una scala da 0 a 100, dove 0 indica massima corruzione e 100 indica la minima. Il punteggio estremamente basso evidenzia l’entità del problema nel paese e colloca il Venezuela tra i paesi più corrotti al mondo.

Una economia in bilico

Il Venezuela possiede una delle più grandi riserve petrolifere mondiali. Fin dalla seconda metà del Novecento, le esportazioni di greggio hanno rappresentato la principale fonte di entrate per il paese, influenzando profondamente l’andamento dei principali indicatori economici. Nei periodi in cui il prezzo del petrolio è salito, come nei primi anni Duemila, il Pil del paese è aumentato, raggiungendo un tasso di crescita annuale del 18 per cento nel 2004. Nel 2014 la quotazione del greggio è però crollata da oltre 100 dollari al barile a meno di 50 dollari, segnando l’inizio di un periodo di grave crisi economica. Dopo sei anni consecutivi di crescita negativa, il tasso di variazione del Pil ha toccato un minimo storico nel 2020 (-30 per cento) per poi tornare positivo dal 2021. Per dare una dimensione della crisi tra il 2014 e il 2021 il Pil del paese si è ridotto di circa tre quarti.

Dal 2014, un anno dopo l’elezione di Nicolás Maduro, sono emersi tutti i problemi strutturali dell’economia venezuelana. Primo tra tutti l’inflazione, che ha iniziato a crescere a livelli incontrollabili. Già l’anno successivo all’inizio della crisi economica, si attestava al 121 per cento e quattro anni dopo, nel 2018, ha raggiunto la cifra vertiginosa di 65.374 per cento. Si tratta della cosiddetta iperinflazione: una condizione in cui il tasso di inflazione supera il livello di 50 per cento al mese, causando un rapido deprezzamento della valuta e la perdita del potere d’acquisto per i cittadini. Ancora oggi, la situazione rimane critica con un tasso di inflazione intorno al 100 per cento.

Nonostante alcuni segnali di miglioramento, il Venezuela continua a lottare contro le gravi conseguenze della crisi. L’inflazione alle stelle ha lasciato oltre il 70 per cento della popolazione in condizioni di povertà. E la scarsità di beni di prima necessità, dagli alimenti alle medicine, ha provocato l’espansione del mercato nero, del contrabbando e della corruzione, incrementando ulteriormente i livelli di violenza e criminalità.

La crisi economica e sociale che attraversa il Venezuela da oltre un decennio ha costretto milioni di venezuelani a lasciare il loro paese, provocando una crisi umanitaria di vasta portata. Nel gennaio 2023, le Nazioni Unite hanno stimato che oltre 7,1 milioni di abitanti hanno lasciato le loro case. Secondo la Piattaforma regionale di coordinamento interistituzionale (R4V) per rifugiati e migranti dal Venezuela, la maggior parte si è diretta verso Colombia (circa 2,5 milioni), Perù (circa 1,5 milioni) e Stati Uniti (circa 545 mila).

Bivio o strada senza uscita?

I sondaggi riflettono l’impopolarità del presidente Nicolás Maduro e danno in vantaggio il candidato dell’opposizione Edmundo González Urrutia. Che potrebbe vincere, se le elezioni si svolgessero senza irregolarità. Ma il leader socialista ha messo in atto una serie di politiche e strategie scorrette per influenzare i risultati elettorali. Oltre a mobilitare i propri elettori, ha reso difficile l’accesso al voto per i sostenitori dell’opposizione e intensificato gli attacchi diretti ai candidati avversari, con arresti mirati e altre forme di violenza. Per disorientare gli elettori al momento del voto, il presidente ha escogitato un ulteriore stratagemma: la scheda elettorale è confusa, con il nome di Maduro che compare ben 13 volte.

Per contrastare i brogli elettorali del leader socialista, González Urrutia e i suoi sostenitori hanno organizzato una massiccia presenza ai seggi, con circa 600mila persone incaricate di monitorare eventuali irregolarità.

Cosa succederebbe se i controlli non fossero sufficienti? Una vittoria di Maduro rafforzerebbe ulteriormente il suo regime autoritario, consentendogli di consolidare il potere e aggravando lo stato della crisi economica e umanitaria del paese. Ma una eventuale vittoria di Urrutia non disegna scenari migliori: Maduro ha infatti prospettato una “guerra civile” in caso di sconfitta, sollevando dubbi sulla possibilità di una transizione pacifica del potere.

Il Venezuela si trova dunque di fronte a un bivio. O meglio, sembra avviato verso una strada senza uscita. La speranza di una terza via, pacifica e democratica, è l’ultima ancora di salvezza per un paese in bilico.

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