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Quando nelle imprese c’è un uomo solo al comando

Nelle imprese familiari succede spesso che tutto il controllo gestionale sia esercitato dal solo titolare. Simili comportamenti vanno a discapito di strategie innovative ed efficienti e della concorrenza. Con conseguenze su tutta l’economia.

Diventare imprenditori per esercitare il controllo sugli altri

Il tema della motivazione imprenditoriale, in particolare il desiderio di esercitare il controllo sugli altri, assume una rilevanza centrale nel contesto della performance delle imprese e delle dinamiche di innovazione. In un recente articolo esploriamo come la propensione degli imprenditori a esercitare il controllo gestionale possa condurre a pratiche manageriali centralizzate, in particolare nelle imprese familiari, spesso a discapito di strategie innovative ed efficienti e della concorrenza.

La letteratura sulla motivazione imprenditoriale evidenzia come molti imprenditori siano spinti da incentivi non monetari, tra cui il desiderio di esercitare il controllo sugli altri.

Secondo la teoria di David McClelland, la volontà di esercitare controllo sugli altri costituisce una delle principali motivazioni del comportamento umano, inclusa la scelta occupazionale. Per individui con queste caratteristiche, la decisione di avviare un’impresa rappresenta il modo più diretto per veder realizzata la volontà di controllo. Condizione affinché ciò si concretizzi, soprattutto nel caso delle imprese familiari, è la scelta di una struttura organizzativa dove le decisioni sono centralizzate nelle mani del capo dell’impresa o del nucleo familiare.

Le imprese familiari italiane

In Italia, le imprese familiari con management interamente familiare sono ben il 49 per cento di quelle manifatturiere, I risultati del nostro studio mostrano che, a prescindere dal settore di attività e dalla loro dimensione, hanno una maggiore probabilità di adottare strutture decisionali centralizzate, dove è l’amministratore che prende la maggior parte delle decisioni. Nello specifico, stimiamo una probabilità che va dal 6 all’11 per cento in più di ricorrere a questo modello decisionale.

Il 90 per cento delle imprese a management interamente familiare adottano strutture centralizzate e rischiano, per questo motivo, di rimanere piccole e di non innovare rispetto a quelle che utilizzano modelli più decentralizzati, basati sulla delega.

Come riportato nella figura 1, le imprese familiari con una gestione centralizzata tendono a essere meno propense a investire in ricerca e sviluppo e a innovare in termini di prodotti, processi e brevetti. Di conseguenza, possono finire per essere meno competitive sul mercato, soprattutto nei settori ad alta intensità tecnologica o con forti pressioni concorrenziali.

Figura 1 – Quota di imprese che svolgono attività innovative per tipologia di management e modello decisionale

Fonte: elaborazioni su dati Efige

Il risultato non dipende dal settore di attività o dalla dimensione di impresa. Infatti, è vero che le imprese a management familiare sono più concentrate nei settori tradizionali, meno innovativi e sono in media più piccole. Tuttavia, la figura 2 mostra che l’utilizzo di un modello decisionale centralizzato continua a essere associato a una minore propensione all’attività innovativa, anche al netto delle caratteristiche delle imprese.

Figura 2 – Stima della probabilità di svolgere attività innovativa sulla base del modello decisionale

Fonte: elaborazioni su dati Efige

Rischi di concorrenza sleale

In questo contesto, potrebbe sorgere anche il rischio di comportamenti che generano concorrenza sleale. Le imprese meno efficienti, non solo quelle familiari, potrebbero essere tentate di ricorrere a pratiche illecite per mantenere la propria posizione sul mercato. L’evasione fiscale e contributiva, così come il ricorso al lavoro sommerso, diventano strumenti per contenere i costi operativi e competere con imprese più innovative e performanti. Questa condizione genera dinamiche concorrenziali distorte, dove le imprese meno efficienti, pur non essendo competitive sul piano dell’innovazione e della gestione, riescono a sopravvivere attraverso pratiche illecite, alterando il mercato e penalizzando le imprese che operano nel rispetto delle regole.

Le politiche industriali e fiscali dovrebbero perciò intervenire per limitare il rischio di concorrenza sleale e incentivare le imprese, in particolare quelle familiari, ad adottare modelli di gestione più efficienti e orientati all’innovazione. Una possibile direzione è quella di promuovere la professionalizzazione della gestione nelle imprese familiari, favorendo l’inserimento di manager esterni e incoraggiando la decentralizzazione delle decisioni.

È poi essenziale rafforzare i controlli sulle pratiche di evasione fiscale e contributiva, con l’obiettivo di creare un ambiente competitivo favorevole all’innovazione. Le imprese devono essere incentivate a emergere dalla zona grigia del sommerso, anche attraverso meccanismi di sostegno finanziario o fiscale per quelle che dimostrano di voler intraprendere percorsi di innovazione e crescita.

Infine, è fondamentale promuovere una cultura dell’innovazione che vada oltre il semplice incentivo economico. Le imprese devono essere sensibilizzate sui benefici a lungo termine di una gestione più aperta e orientata alla crescita, capace di attrarre talenti e investimenti e di garantire una sostenibilità economica basata sull’efficienza e sull’innovazione.

In conclusione, la motivazione al controllo e le pratiche imprenditoriali che ne derivano possono costituire un serio ostacolo alla competitività e all’efficienza delle imprese e dell’economia nel suo complesso. A pagarne il costo maggiore sono i lavoratori delle imprese che li realizzano insieme alle aziende e ai lavoratori che subiscono gli effetti della concorrenza sleale.  La presenza di quote elevate di imprenditori caratterizzati da questa motivazione e dai comportamenti che ne derivano costituiscono un potenziale meccanismo di intrappolamento dei territori in dinamiche di bassa crescita. Le politiche pubbliche devono quindi intervenire con decisione per ridurre lo spazio per pratiche distorsive come l’evasione e il lavoro sommerso.

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  1. Savino

    Mi pare di averla vista dalle parti di Torino un’azienda così, che all’origine sembrava una dinastia, non ha mai differenziato da settori tradizionali e non ha mai davvero investito in innovazione, poi, viste una serie di storture rispetto ai propri rapporti con il mercato, ha cominciato a far ricorso a management esterno e a traferire sedi legali e fiscali, i lavoratori (negli ultimi 20-30 anni) ne hanno pagato il conto e oggi sono addirittura incentivati a licenziarsi.

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