Le banche americane sono riuscite a convincere la Fed a ridurre drasticamente i requisiti patrimoniali previsti dalla revisione degli accordi di Basilea. Gli istituti europei, invece, sembrano più accondiscendenti verso i regolatori europei.  

La campagna dei banchieri Usa contro “Basel Endgame”

Il 9 settembre Michael Barr, vicepresidente alla supervisione bancaria della Fed, ha proposto una drastica riduzione dei requisiti patrimoniali previsti dalla revisione delle regole di Basilea III. Le nuove proposte, che ora verranno sottoposte a un ulteriore dibattito pubblico prima di essere approvate definitivamente, nascono dopo una intensissima campagna di lobbying: è stata così martellante che ha visto la comparsa di cartelloni pubblicitari sulle principali autostrade e aeroporti, annunci televisivi e persino uno spot durante la finale del Super Bowl, il più importante evento sportivo americano. È sceso in campo personalmente anche Jamie Dimon, Chief executive di JPMorgan Chase, la più grande banca americana. Secondo i detrattori, i nuovi accordi di Basilea III avrebbero prodotto conseguenze così terribili per imprese e famiglie americane in termini di minor credito e peggiori servizi, da essere soprannominati con il termine apocalittico di “Basel Endgame”, mutuato da un film di successo e oramai usato anche dalle autorità.

Le origini della revisione normativa stanno negli accordi presi nel 2017 dal Comitato di Basilea sulla supervisione bancaria. La convinzione era che gli accordi di Basilea III, raggiunti a seguito della grande crisi finanziaria del 2007-2008, pur rappresentando un enorme passo avanti rispetto alla normativa precedente, non fossero sufficienti a chiudere tutte le potenziali scappatoie alla regolamentazione e a garantire la stabilità finanziaria.

L’uscita di scena di Donald Trump, fortemente contrario a qualsiasi tipo di regolamentazione, la crisi delle banche regionali americane e la fine del Credit Swiss avevano poi indotto le autorità americane ad applicare la nuova normativa con severità e a estenderla alle banche regionali (con un attivo compreso fra i 100 i 250 milioni di dollari) che finora avevano goduto di una regolamentazione semplificata.  

La revisione mirava, allora, a ripristinare la credibilità della regolamentazione prudenziale attraverso un più severo calcolo delle attività ponderate per il rischio. Questo dovrebbe avvenire rafforzando la solidità dei metodi standardizzati per il calcolo del rischio di credito, di mercato e operativo; limitando l’uso dei modelli interni per i rischi di credito e abolendo quelli per il rischio operativo; abbassando il coefficiente di leva finanziaria; e aumentando il capitale addizionale (capital surcharge) delle banche di rilevanza sistemica.

Ora il grande ripensamento. Si stima che le nuove proposte di Michael Barr riducano l’incremento del capitale regolamentare dal 19 per cento precedente al 9 per cento, che per le sei maggiori banche rappresentano un risparmio di circa 100 miliardi di dollari: la nuova proposta prevede un incremento del tier 1 (capitale di migliore qualità) di 80 miliardi di dollari, contro gli originali 180. Infatti, gli incrementi ai requisiti patrimoniali relativi ai mutui residenziali, ai prestiti personali, agli enti regolamentari, ai rischi operativi relativi e alle gestioni patrimoniali vengono drasticamente ridotti, mentre gli incrementi previsti sui rischi di mercato non sono stati toccati. Inoltre, le banche con un attivo inferiore ai 250 milioni di dollari non saranno più soggette agli aumenti patrimoniali previsti, con la sola eccezione di quelli inerenti al riconoscimento delle perdite latenti prodotte dal loro portafoglio titoli. Queste banche saranno poi costrette ad aumentare la loro raccolta a lungo termine.

Nel complesso la normativa, che potrebbe conoscere un ulteriore alleggerimento in fase di ratifica definitiva, rappresenta una significativa deviazione dagli accordi di Basilea, che non sono un trattato ma solo un accordo di cooperazione internazionale.

Le ultime proposte della Bank of England per la revisione degli accordi di Basilea III, più sobriamente chiamati Basel 3.1, contengono già numerosi riferimenti alla “competitività internazionale” e probabilmente alla fine si allineeranno agli standard americani.

La nuova normativa entra in vigore in Europa

In Europa, invece, nel silenzio (almeno apparente) delle banche, la nuova normativa, definita Fundamental Review, dovrebbe prendere avvio, anche se in maniera graduale, all’inizio del prossimo anno. L’unica eccezione potrebbe essere la parte riguardante i rischi di mercato per i quali la Commissione europea ha chiesto al Consiglio e al Parlamento un rinvio di un anno. Minori dimensioni, maggiore frammentazione, scarso peso politico spiegano l’accondiscendenza delle banche europee. Queste, tuttavia, già soffrono di uno svantaggio regolamentare dovuto alle difficoltà di portare a termine il progetto dell’Unione bancaria e finanziaria europea. Dove sta, allora, il principio di level playing field tanto sbandierato dai padri di Basilea, quando il regolatore europeo guarda solo alla stabilità finanziaria, mentre quello americano capisce che c’è un trade-off tra crescita e stabilità?          

Per il momento, forse vale la pena mettersi d’accordo almeno sul nome della nuova regolamentazione. In fondo anche “la lingua rende uguali” diceva Don Milani.

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