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Quel sussidio occulto ai profitti delle banche

In un contesto di alti tassi d’interesse, una politica monetaria che preveda ampie riserve bancarie, come quella oggi in vigore nei principali paesi, offre alle banche commerciali un importante e occulto sussidio ai profitti, a spese dei contribuenti.

La remunerazione delle riserve in eccesso

È abbastanza chiaro a molti che, nella congiuntura attuale, le banche commerciali fanno profitti straordinari. Meno chiaro è che le banche centrali sussidiano abbondantemente questi profitti a spese dei contribuenti. Infatti, la crescita del margine d’interesse delle banche non è originata solamente dal differenziale fra i tassi sui depositi e quello sugli impieghi a famiglie e imprese ma anche, e in alcuni casi soprattutto, dall’ampia dimensione e dall’alta remunerazione delle riserve in eccesso, cioè dei depositi detenuti presso le banche centrali.

I programmi di acquisto di titoli privati e pubblici realizzati dalle principali banche centrali dopo la crisi finanziaria e soprattutto durante la pandemia (i cosiddetti Quantitative easing – Qe) hanno enormemente ingrossato i bilanci degli istituti di emissione e il modus operandi della politica monetaria. Infatti, si è passati da un sistema con riserve bancarie limitate, in cui le banche centrali governavano i tassi attraverso operazioni di mercato aperto, a un sistema con riserve molto abbondanti, la cui remunerazione va a influenzare i tassi sul mercato interbancario. Il risultato è che le riserve delle banche, ossia i depositi che detengono presso la banca centrale, sono enormemente aumentati e vengono remunerati con tassi che nell’ultimo anno sono cresciuti molto. 

A titolo d’esempio, ad agosto le riserve detenute dalle banche europee presso la Banca centrale europea ammontavano a 3.650 miliardi di euro e rendevano il 4 per cento. Così in un anno le banche europee incasseranno dalla Bce 146 miliardi di euro, pari all’1,1 per cento del Pil. Cifre non dissimili si ritrovano negli Usa e nel Regno Unito (vedi tabella 1). 

Tabella 1

Poiché le banche commerciali remunerano la loro raccolta a tassi molto bassi (in Italia mediamente allo 0,86 per cento a settembre), la gran parte degli interessi pagati dalle banche centrali si trasforma in profitti netti. Per inciso, ricordiamo che le riserve sono prive di qualsiasi rischio sia di credito che di mercato. 

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All’opposto, le banche centrali al loro attivo detengono titoli di stato comprati quando i tassi d’interesse erano più bassi. Così a fronte dei profitti degli istituti commerciali, le banche centrali stanno accumulando sostanziali perdite. Ed è bene ricordare che, al di là degli accantonamenti, quelle perdite si trasformano in oneri fiscali per i contribuenti senza alcun dibattito pubblico o decisione governativa.

È vero che negli anni precedenti le banche centrali avevano ottenuto importanti profitti, dovuti alla loro attività di signoraggio e che in futuro, quando i tassi d’interesse scenderanno, ritorneranno a farli, ma è pur vero che le attuali perdite pesano sui bilanci pubblici. Sia la Federal Reserve che la Bank of England hanno già annunciato che non intendono ritornare a un sistema con riserve limitate, mentre la Bce riduce molto lentamente il suo bilancio non rinnovando i titoli in scadenza. Così, un sistema di riserve abbondanti rimarrà in vigore per molti anni, perché oggi ritenuto più consono a gestire la politica monetaria.

Più profitti per le banche del Nord Europa

I costi di questa scelta non si distribuiscono in maniera omogenea tra tutti i paesi dell’Unione europea e sono maggiori nei sistemi bancari che detengono ampie riserve ed emettono titoli pubblici con spread più bassi. Ad esempio, gli interessi pagati alle banche italiane sono stimati in “solo” 8,3 miliardi di euro contro i 49,1 alle banche tedesche e i 35,9 a quelle francesi.

In un recente lavoro Paul De Grauwe e Yuemei Ji mostrano come la pratica delle riserve abbondanti e remunerate offra alle banche, che generalmente raccolgono a breve e investono a lungo, una copertura gratuita ai rischi di tasso. Inoltre, essa provoca un rialzo dei tassi d’interesse sui titoli pubblici poiché offre agli intermediari finanziari una valida alternativa d’investimento. Infine, la remunerazione delle riserve riduce l’efficacia della politica monetaria poiché un innalzamento dei tassi d’interesse genera un aumento dei profitti e del capitale delle banche che attenua la stretta creditizia.

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Di qui la proposta di introdurre una riserva obbligatoria ampia e non remunerata (oggi in Europa è pari all’1 per cento) che riduca le riserve libere e il loro conseguente costo.

Insomma, una tassa sulle banche ben più equa ed efficace di quella introdotta da molti paesi, compresa l’Italia.

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  1. Alessandro

    le banche, se non mettono a riserva allora ci potrebbe essere il rischio d’insolvenza, se mettono a riserva allora è un ex-traprofitto (ingiusto) quindi cosa dovrebbe fare la bce?

  2. Maurizio Cortesi

    Articolo puntuale che rinnova la riflessione sulle incoerenze della Bce in questo caso nel rapporto con la Fed: si ripete spesso che l’Europa è diversa dagli Usa per il maggior ruolo delle banche rispetto ai mercati finanziari, e poi si copia il modello di politica monetaria della Fed che avvantaggia banche non altrettanto centrali nella trasmissione della politica monetaria come in Europa. Un altro esempio che la Bce ha una concezione riduttiva della sua indipendenza: questa deve valere non solo nei confronti della politica, ma anche rispetto alle istituzioni internazionali e soprattutto all’Accademia che produce teorizzazioni troppo influenzate dalla realtà americana.

  3. Salvatore Bragantini

    Bravo Rony

  4. Salvatore Bragantini

    Ma il dato della BoE è giusto???

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