La decisione della Consulta impone una revisione radicale dell’architettura della legge sulla autonomia differenziata. I rilievi toccano punti cruciali: dall’impossibilità di devolvere intere materie, alla questione dei Lep, al ruolo del Parlamento.
Incostituzionali aspetti chiave della legge
Con la decisione del 14 novembre sulla legge Calderoli in materia di forme particolari di autonomia, la Corte costituzionale ha fatto un gran botto. Certo, bisogna attendere il dettaglio della sentenza e certo rimane aperta la questione di come dare attuazione a una precisa previsione costituzionale che riconosce la possibilità di “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia” alle regioni ordinarie. Ma la decisione della Consulta impone una revisione radicale di tutta l’architettura dell’autonomia differenziata.
In particolare, accogliendo una serie di rilievi sollevati nei ricorsi presentati dalle Regioni Puglia, Toscana, Sardegna e Campania (vedi qui) e in linea con le osservazioni avanzate da esperti e istituzioni come l’Ufficio parlamentare di bilancio e Banca d’Italia, la Corte ha riconosciuto l’incostituzionalità di una lunga serie di aspetti chiave della legge Calderoli.
No alla devoluzione di intere materie
La Consulta esclude innanzitutto la possibilità di devolvere in via differenziata intere materie di intervento pubblico (oramai famose le ventitré chieste da Luca Zaia), o anche ambiti di materie (vedi qui), e spazza il campo da qualsiasi scenario di regionalizzazione in blocco di intere materie oggi in capo allo stato. Il trasferimento deve essere circoscritto a specifiche funzioni legislative e amministrative e motivato, in relazione alle peculiarità della singola regione, sulla base dell’effettivo miglioramento della “efficienza degli apparati pubblici” che dalla devoluzione dovrebbe derivare, coerentemente con il principio di sussidiarietà.
La questione dei Lep
A questo profilo è anche collegata la rilevata arbitrarietà della legge Calderoli laddove distingue “materie-Lep” e “materie-non Lep”, prefigurando percorsi di devoluzione separati. La Corte sostiene invece che bisogna guardare alle singole funzioni pubbliche di cui si chiede il trasferimento, senza contenitori preconfezionati, e verificare se ciascuna attenga a prestazioni concernenti i diritti civili e sociali e quindi richieda la determinazione dei relativi Lep.
Incostituzionale è stato poi giudicato tutto l’impianto costruito dalla legge Calderoli per la determinazione dei Lep nelle materie in cui rilevano diritti civili e sociali. La determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni, e l’eventuale loro successivo aggiornamento, non possono essere affidati a meri decreti del presidente del Consiglio dei ministri, che escludono completamente il Parlamento da una decisione così essenziale per il disegno delle politiche pubbliche. E anche il conferimento di una delega legislativa al governo contenuta nella legge Calderoli, che attribuisce la determinazione dei Lep a decreti legislativi, è stata giudicata priva di idonei criteri direttivi, cioè una “delega in bianco”, e come tale da superare.
Il ruolo del Parlamento
La Corte accoglie poi un punto, sollevato da molte parti durante l’esame parlamentare della legge, secondo cui va riconosciuto un ruolo centrale e sostanziale al Parlamento nel processo di approvazione delle norme di riconoscimento delle maggiori competenze. L’apporto del Parlamento non può esaurirsi in un mero voto “prendere o lasciare” su accordi bilaterali governo-regione, ma deve prevedere la possibilità di emendare gli accordi.
Anche sugli aspetti del finanziamento delle funzioni trasferite, la Corte esclude la possibilità di ricorrere, come fa la legge Calderoli, a un decreto interministeriale, e non invece a un atto di approvazione parlamentare, per rivedere periodicamente le aliquote di compartecipazione dei tributi erariali impiegati per finanziare le funzioni trasferite per garantire l’allineamento tra risorse e fabbisogni. È un passaggio critico e delicato per tutto il meccanismo di finanziamento e probabilmente la Corte teme che affidarlo a decreti interministeriali – che secondo l’impianto della legge Calderoli risulterebbero dal confronto bilaterale delle singole regioni con il governo nell’ambito di Commissioni paritetiche sul modello delle regioni a statuto speciale – possa comportare rischi per la tenuta dei conti pubblici ed eventualmente favorire una regione rispetto a un’altra (vedi qui).
Sempre in tema di finanziamento, la Consulta sostiene che la valorizzazione finanziaria delle funzioni trasferite debba basarsi non sulla spesa attualmente sostenuta dallo stato nei territori delle regioni richiedenti (la cosiddetta spesa storica), ma su costi e fabbisogni standard. Dato che la legge Calderoli già prevede questo aggancio per le materie o funzioni Lep, l’intervento della Corte potrebbe essere interpretato come la necessità di estendere l’operazione di standardizzazione anche alle funzioni non-Lep. È necessario attendere il testo della sentenza per meglio approfondire il punto, e tuttavia va sottolineato che per le funzioni non-Lep è oggettivamente difficile pensare, sul piano tecnico, a una qualche forma di standardizzazione senza un riferimento nella legislazione che stabilisca specifiche prestazioni da fornire ai cittadini.
La Corte chiarisce poi che le regioni ad autonomia rafforzata debbano, e non soltanto “possano”, contribuire agli obiettivi di finanza pubblica, al pari di tutti gli altri soggetti pubblici. Infine, secondo la Corte, va esclusa la possibilità di applicare l’autonomia differenziata, così come regolata dalla legge Calderoli, anche alle regioni a statuto speciale, che invece, per ottenere maggiori forme di autonomia, possono ricorrere alle procedure previste nei loro statuti.
Per colmare i vuoti profondi che la pronuncia di incostituzionalità ha aperto nella struttura della legge Calderoli e che la rendono oggi di fatto inapplicabile, la Corte rimanda al Parlamento che potrà intervenire, ovviamente su iniziativa del governo, sempreché ritenga opportuno farlo, viste le divisioni interne della maggioranza su questi temi.
Se il Parlamento riformulerà il testo della legge Calderoli lo dovrà fare in coerenza con i rilievi della Corte. Impresa non banale, vista l’ampiezza delle censure di incostituzionalità. Richiederà comunque l’abbandono di qualsiasi richiamo alla logica del “vogliamo tutto” e del “ci teniamo il nostro residuo fiscale”, che ha pesantemente condizionato e distorto la costruzione della legge Calderoli.
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