L’accesso all’aborto, un diritto sancito dalla legge 194, non è uguale in tutto il paese. Le differenze tra Nord e Sud sono profonde. Nelle zone dove l’obiezione di coscienza è più alta, le donne sono costrette a spostarsi in altre regioni o province.
Un diritto sancito dalla legge 194
L’interruzione volontaria di gravidanza è un diritto che consente di ricorrere alla pratica in modo sicuro e gratuito nei primi 90 giorni di gestazione (legge 194 del 1978). La legge garantisce, all’articolo 9, l’accesso all’aborto in strutture pubbliche anche quando vi sia personale sanitario obiettore di coscienza.
L’Ivg non solo è sancita dalla legge 194, ma rientra nei livelli essenziali di assistenza (Lea), cioè nei servizi e nelle prestazioni che il Servizio sanitario nazionale garantisce uniformemente a livello nazionale ed è inclusa negli indicatori per il monitoraggio dell’assistenza sanitaria. Tuttavia, gli indicatori relativi all’Ivg non rientrano tra le prestazioni cosiddette core che vengono utilizzate per valutare l’erogazione dei Lea: includerle in questo gruppo incentiverebbe un miglioramento del servizio e un monitoraggio accurato.
La mappa degli obiettori di coscienza
L’aborto è dunque un diritto che dovrebbe essere garantito su tutto il territorio nazionale, ma le disparità territoriali nell’accesso al servizio sono significative, soprattutto per le regioni del Mezzogiorno.
A livello nazionale, circa due ginecologi su tre che lavorano in strutture che effettuano l’Ivg sono obiettori di coscienza. Se invece guardiamo la situazione a livello regionale (figura 1), emerge una forte disparità territoriale tra Nord e Sud, con le percentuali di obiettori più alte in Sicilia (85), Abruzzo (84) e Puglia (80,6). L’indagine più dettagliata del progetto “Obiezione 100” dell’Associazione Luca Coscioni, in cui vengono mappate le singole strutture, indica che ci sono 72 ospedali in cui l’obiezione di coscienza tra i ginecologi è superiore all’80 per cento, in diciotto di questi è pari al 100 per cento.
Gli spostamenti in altre regioni e province
La presenza di medici e personale sanitario obiettore di coscienza ha come conseguenza il fenomeno della migrazione verso altre regioni o province per ricorrere all’interruzione volontaria di gravidanza.
Le regioni con il più alto numero di obiettori di coscienza sono caratterizzate da forti spostamenti interni. Le regioni con la più bassa percentuale di Ivg nella provincia di residenza sono Molise (55) e Abruzzo (59). In Molise il 22 per cento di chi vuole interrompere la gravidanza migra in un’altra provincia e il 23 in un’altra regione. Per l’Abruzzo gli stessi valori sono invece rispettivamente del 30 e del 10 per cento.
Con l’eccezione del Lazio, sono tutte al Nord le regioni la cui percentuale di interruzioni volontarie si attesta al di sopra del 90 per cento: le province di Trento e Bolzano, Liguria e Emilia-Romagna. Viceversa, la percentuale di migrazioni in altre regioni è molto bassa per la provincia di Bolzano (2,42), Emilia-Romagna (2,77) e Lombardia (3,11).
A livello provinciale si verificano alcuni casi estremi: le province di Fermo, Chieti, Isernia e Caltanissetta non effettuano alcuna interruzione di gravidanza sul proprio territorio, obbligando quindi alla migrazione in un’altra provincia o regione. Dall’altra parte, si registrano valori superiori al 95 per cento in molti capoluoghi di regione, principalmente del Nord: Torino, Genova, Bolzano, Bologna, Roma, Cagliari e Sassari.
Dopo il ribaltamento della sentenza Roe vs Wade negli Stati Uniti, che ha lasciato ai singoli stati la possibilità di limitare l’accesso all’Ivg, l’Unione europea ha approvato una risoluzione in cui ha espresso preoccupazione per i passi indietro del diritto di accesso a un aborto sicuro e legale e ha esortato gli stati membri a depenalizzarlo e a eliminare e combattere gli ostacoli che lo impediscono. In Italia, i dati sull’obiezione di coscienza e sulle migrazioni per accedere all’Ivg parlano chiaro: il diritto all’aborto non gode di buona salute, mentre è sempre più terreno di scontro politico, anziché essere interpretato come un diritto alla salute e all’autodeterminazione.
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