L’obbligo di rientrare in ufficio non ha avuto effetti su salute e benessere dei lavoratori. Sempre più aziende optano per il ritorno a tempo pieno, ma il lavoro da casa sembra ancora un elemento chiave per l’equilibrio tra vita privata e professionale.

Si torna in ufficio

Con l’emergenza Covid-19, il lavoro da casa (detto anche smart working) è diventato una realtà diffusa in molte parti del mondo, rivoluzionando il tradizionale concetto di ambiente di lavoro. Lo smart working ha conquistato ampi consensi, specie per i benefici percepiti sulla qualità della vita. Tuttavia, molte aziende, come Amazon, hanno annunciato politiche per un ritorno a tempo pieno in ufficio, aprendo dibattiti sugli effetti di questa decisione su benessere e salute dei lavoratori. Uno nuovo studio risponde alla domanda usando i dati Come-Here dell’Università del Lussemburgo ed esamina un caso specifico in Italia.

La situazione in Italia

In Italia, prima della pandemia, solo il 4,7 per cento della forza lavoro lavorava da casa, un valore molto inferiore alla media europea del 14,4 per cento. Grazie ai decreti relativi al contenimento dell’emergenza Covid-19, lo smart working è diventato la norma per i lavoratori in settori non essenziali, anche nel pubblico. A partire da ottobre 2021, però, un decreto governativo ha imposto ai dipendenti pubblici il ritorno al lavoro in ufficio, mentre i dipendenti privati hanno potuto continuare a lavorare da remoto fino a settembre 2022.

Possiamo dunque confrontare l’esperienza dei lavoratori pubblici (rientrati in presenza) con quella dei colleghi del settore privato che hanno mantenuto la possibilità di lavorare da remoto. Studiando i due gruppi prima e dopo ottobre 2021, possiamo isolare gli effetti del rientro in ufficio sulla salute e il benessere dei lavoratori.

Cambiamenti nella vita quotidiana con il ritorno in ufficio

Com’è cambiata la quotidianità dei lavoratori pubblici dopo l’obbligo di rientro in ufficio? La figura 1 mostra la percentuale di lavoro da casa durante la pandemia per dipendenti pubblici e privati. Entrambi i gruppi hanno seguito un andamento simile, con una prima riduzione dello smart working dal 60 per cento all’inizio del Covid al 20 per cento a fine estate 2020. La percentuale di smart working ricomincia ad aumentare con la seconda ondata di infezioni nel 2020, arrivando al 40 per cento a inizio 2021. A partire dall’entrata in vigore del decreto, a ottobre 2021, la figura 1 registra una riduzione significativa del tempo di lavoro da casa dei lavoratori pubblici, che passa dal 35 al 15 per cento in meno di un anno.

Figura 1 – Smart working tra dipendenti pubblici e privati nel tempo

Nota: i punti rappresentano valori medi di smart working nel tempo per settore. Le barre verticali indicano intervalli di confidenza al 95%.

Altre abitudini sono cambiate in seguito al decreto: per esempio, i lavoratori coinvolti hanno trascorso più tempo all’aperto, riducendo leggermente le ore di lavoro giornaliere, probabilmente a causa dell’aumento del tempo impiegato per gli spostamenti verso l’ufficio. Tuttavia, sono diminuite anche le interazioni sociali con amici e familiari, un effetto che potrebbe essere attribuito ai ritmi più intensi della giornata lavorativa fuori casa. In linea di principio, questi cambiamenti nella routine dei lavoratori possono influire sul loro benessere. Infatti, trascorrere tempo all’aria aperta e orari lavorativi più corti sono generalmente associati a una migliore qualità della vita; al contrario, la riduzione delle interazioni sociali può avere effetti negativi.

Nessun impatto rilevante su salute e benessere

Sorprendentemente, i dati non mostrano alcun effetto significativo dell’obbligo di ritorno in ufficio su una serie di indicatori di benessere e salute misurati negli otto mesi successivi all’introduzione del decreto. I risultati in figura 2 dimostrano che prendendo in considerazione misure oggettive, come diagnosi di ansia o depressione, scale psicometriche che valutano lo stress percepito e la soddisfazione di vita, e indicatori fisici come l’indice di massa corporea (Bmi), i risultati sono sempre nulli. Il bilancio è quindi invariato: i benefici e gli svantaggi del ritorno in ufficio sembrano compensarsi.

Figura 2 – L’effetto dell’obbligo di ritorno in ufficio su salute e benessere

Nota: i punti rappresentano stime dell’effetto causale della riforma sugli indici di benessere e salute indicati in figura. Le barre orizzontali indicano intervalli di confidenza al 95 per cento.

Cosa significa per le politiche aziendali?

La lezione principale emersa dallo studio riguarda il delicato equilibrio tra i benefici del ritorno in ufficio, legati alla socializzazione tra colleghi e alla separazione tra vita privata e lavorativa, e i vantaggi del lavoro da casa, in termini di flessibilità e riduzione dello stress da pendolarismo.

Diverse ricerche hanno mostrato come il lavoro da casa sia associato a una maggiore produttività, sia nel settore privato che in quello pubblico. Ciononostante, attività lavorative che si basano maggiormente sul lavoro di squadra e sulla collaborazione tra colleghi possono avere più vantaggi da un ritorno al lavoro in ufficio. Se l’obiettivo delle politiche aziendali è migliorare la produttività e ridurre il turnover del personale, potrebbe essere utile focalizzarsi su aspetti come soddisfazione dei dipendenti e coinvolgimento lavorativo. Il semplice ritorno in ufficio non sembra essere la soluzione per aumentare il benessere dei dipendenti, ma al contrario può essere percepito come una mancanza di fiducia da parte dei datori di lavoro.

La strada verso un nuovo equilibrio lavorativo

Questi risultati sollevano interrogativi anche sulla necessità di un ritorno totale in ufficio, soprattutto in un contesto post-pandemico. Se in base allo studio il ritorno in azienda non ha effetti negativi sul benessere dei lavoratori, non vi sono nemmeno benefici tangibili che ne giustifichino l’imposizione.

E se il lavoro in ufficio non sembra avere effetti significativi sul benessere, è lecito chiedersi se una maggiore flessibilità non sia la soluzione ideale per bilanciare produttività e qualità della vita. I datori di lavoro dovranno dunque valutare attentamente quali modalità di lavoro favorire, esplorando politiche che valorizzino il giusto equilibrio tra vita professionale e personale.

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