Negli ultimi venticinque anni le economie del Centro-Est Europa hanno fatto grandi progressi. Alcuni segnali suggeriscono però che il loro modello di crescita ha necessità di un rinnovamento, puntando su investimenti in ricerca e capitale umano.

Venticinque anni di sviluppo per i paesi del Centro-Est Europa

La pubblicazione del Rapporto Draghi ha rilanciato il dibattito su come garantire la competitività dell’Unione europea. Il Rapporto, come altri recenti interventi sul tema, si concentra sull’Unione nel suo insieme. Ma non affronta le sfide specifiche dei singoli paesi o regioni al suo interno.

I membri Ue dell’Europa centro-orientale hanno svolto un ruolo particolarmente dinamico negli ultimi vent’anni, diventando dapprima il braccio manifatturiero dell’Ue e attirando grandi quantità di investimenti diretti esteri (Ide), convergendo gradualmente verso i redditi medi dell’Unione. L’area si è poi evoluta verso produzioni a maggior valore aggiunto e verso il settore dei servizi.

È stata certamente una storia di successo dal punto di vista economico. Tuttavia, più di recente, il processo di convergenza ha perso slancio, soprattutto a causa di fattori strutturali più che ciclici. Due terzi della convergenza del Pil pro-capite sono stati raggiunti nel primo decennio dopo l’adesione all’Ue e solo un terzo nell’ultimo decennio. Gli afflussi di Ide, pari al 5,2 per cento del Pil negli anni Duemila, sono rallentati nel decennio successivo alla crisi finanziaria globale (2,4 per cento del Pil in media).

Figura 1

La prevalenza della manifattura

La questione è rilevante anche per l’Italia poiché i paesi al di là di quella che una volta era la Cortina di Ferro (secondo la nota definizione di Winston Churchill) giocano un ruolo importante per il settore produttivo del nostro paese. Tra le imprese italiane con presenza estera, una su sei è presente in Centro-Est Europa (una su tre tra le imprese italiane nell’Unione europea). Al contempo, i paesi del Centro-Est Europa assorbono il 10 per cento dell’export italiano di beni (quasi il doppio che due decenni addietro). L’export italiano verso i paesi dell’area, quintuplicato negli ultimi 25 anni, vale ben tre volte quello destinato al mercato cinese.

Il vantaggio competitivo dei paesi centro-orientali rimane ancorato al settore manifatturiero – per esempio la Repubblica Ceca, la Polonia, la Slovacchia e l’Ungheria sono classificate tra i primi trenta paesi industriali a livello globale – con un ruolo particolarmente forte nel settore automobilistico. La regione fa più affidamento sulla produzione manifatturiera che sulle fasi a maggior valore aggiunto (a monte e a valle) del processo produttivo, come ricerca e sviluppo (R&S), vendite, logistica o marketing. Ciò rende ancora questi paesi “economie di fabbrica” (specializzate nella produzione) rispetto alle “economie centrali”, che guidano in larga parte il ritmo del cambiamento tecnologico nella regione. La specializzazione si traduce in una produttività del lavoro inferiore rispetto al resto dell’Ue, con un valore aggiunto per ora lavorata che varia da appena il 22% della media Ue in Bulgaria al 67% in Slovenia.

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Inoltre, la crescita della produttività del lavoro nell’area centro-orientale ha rallentato negli ultimi anni rispetto al decennio precedente. Non è necessariamente un fenomeno specifico della regione, poiché la crescita della produttività del lavoro è diminuita anche a livello globale e nell’Ue, ma il calo in questi paesi è stato più pronunciato. Ed è uno dei principali motivi per cui anche il processo di convergenza è rallentato.

Le sfide per l’area

Una sfida cruciale per la regione centro-orientale e le imprese lì presenti risiede nell’investire nell’innovazione e nella commercializzazione di nuove tecnologie. Sebbene le imprese operanti nell’area siano diventate significativamente più innovative negli ultimi dieci anni, sono ancora in ritardo rispetto all’Ue. Investono meno in ricerca e sviluppo e nella formazione e intraprendono meno collaborazioni con le università, perché finora ci si è focalizzati sulla produzione. Dei 2.500 maggiori investitori in ricerca e sviluppo nel mondo, solo otto si trovano nell’area centro-orientale dell’Europa (di cui cinque in Polonia). Il livello complessivo degli investimenti rispetto al Pil in Europa occidentale e nell’area è simile, ma gli investimenti in proprietà intellettuale sono significativamente più bassi nel Centro-Est: 5,8 per cento del Pil negli Stati Uniti, 4,4 per cento in media nell’Ue, 3,1 per cento nell’Europa meridionale, 2,9 per cento nella regione Centro-Est, mediamente nel periodo 2010-2022.

La carenza di manodopera qualificata, aggravata dall’emigrazione e dall’invecchiamento della popolazione, e l’insufficienza di capitale di rischio rappresentano ulteriori ostacoli all’innovazione. Il numero complessivo di nuovi laureati nella regione è diminuito di oltre il 20 per cento nell’ultimo decennio, principalmente a causa dell’andamento demografico. Il numero di emigrati dall’Europa centro orientale verso l’Europa occidentale è aumentato da 1,7 milioni nel 2000 a 6,5 milioni nel 2020. Gli investimenti dei venture capital nell’area rappresentano solo il 5 per cento del totale di quelli nell’Ue. 

Nonostante queste difficoltà, le prospettive per potenziare la capacità innovativa nell’Europa centro-orientale sono promettenti: le imprese della regione occupano ora il doppio del personale in ricerca e sviluppo rispetto a un decennio addietro. Un numero crescente di imprese sta trasferendo la ricerca e lo sviluppo nella regione. Praga ospita diverse aziende innovative nel campo dell’IT, dell’intelligenza artificiale e della robotica (ad esempio Avast). La città ha una vivace scena di startup con molti incubatori e acceleratori. A Brno c’è un fiorente ecosistema di innovazione, in particolare nei settori IT, scienze della vita e ingegneria.

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Seguendo tre direttrici principali – promozione dell’innovazione, rafforzamento del capitale umano, e investimenti nella transizione tecnologica (i paesi centro-orientali sono particolarmente energy-intensive) – le economie della regione possono rappresentare un fattore di traino per le imprese europee (e italiane) e per la posizione competitiva del Vecchio Continente.

* L’articolo è frutto di un progetto di collaborazione tra la Bei – Banca europea per gli investimenti, la Banca Centrale Austriaca e l’istituto di ricerca wiiw. Le idee e le opinioni espresse in questo articolo sono da attribuire agli autori e non investono la responsabilità dell’istituzione di appartenenza.

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