Il venture capital non finanzia progetti nati dalla ricerca scientifica e con ambizione di arrivare sul mercato. Per i programmi di innovazione radicale e a lungo termine, bisogna allora far ricorso a risorse pubbliche. Cambiando modelli di valutazione.
Come si misura la maturità tecnologica dei progetti
I progetti imprenditoriali provenienti dalla ricerca scientifica sono fondamentali per affrontare sfide globali come il cambiamento climatico. Tuttavia, rispetto ad altre attività, soffrono di un divario di finanziamento significativo, legato alla loro natura ad alto rischio, ai tempi lunghi di sviluppo e all’incertezza tecnica. I tradizionali investitori di venture capital e private equity non scelgono infatti programmi che non hanno ancora raggiunto un certo grado di maturità. Il fenomeno che ne deriva è noto come “Death Valley”.
La maturità tecnologica di un progetto si può misurare attraverso il technology readiness level (Trl), una metodologia utilizzata da vari enti americani ed europei e basata su una scala di valori da 1 a 9, dove 1 è il più basso (definizione dei principi base) e 9 il più alto (sistema già utilizzato in ambiente operativo).
Secondo le stime della European Investment Bank, per le tecnologie pulite il divario di finanziamento tra progetti in fase avanzata e progetti che si trovano ancora alle fasi iniziali di ricerca – nei Trl 1-4 – è di 15 miliardi di euro l’anno. La preferenza degli investitori per progetti prossimi alla commercializzazione appare dunque un ostacolo all’innovazione necessaria per affrontare le sfide Esg (Environmental, Social, and Governance).
Nel caso dell’Italia, la situazione appare chiara dalla lettura dell’ultimo rapporto del PniCube, la rete nazionale italiana degli incubatori universitari e delle start cup regionali, fondata per valorizzare la ricerca accademica attraverso la creazione di start up innovative deep tech. Pni-Cube rappresenta l’81 per cento degli atenei statali italiani e promuove l’innovazione sostenibile e imprenditoriale, collegando università, enti di ricerca e attori dell’ecosistema tecnologico.
Secondo il Rapporto 2024(tabelle 1 e 2), tra il 2020 e il 2023 sono stati presentati 264 progetti di start up deep tech nell’ambito del Premio nazionale per l’innovazione (Pni), con il 58 per cento che si è trasformato in imprese innovative. La maturità tecnologica media dei progetti è risultata relativamente bassa, con un Trl medio di 5 e mediano di 4. Un’ampia quota di progetti si concentra in settori con un impatto sociale elevato, come il Life Sciences-Medtech (35 per cento) e il CleanTech (20 per cento).
Tabella 1 – Caratteristiche dei progetti Pni, 2020-2023
Tabella 2 – Distribuzione dei progetti Pni per settore
Il quadro conferma la scarsa presenza del venture capital quale strumento principale di finanziamento di progetti volti alla valorizzazione della ricerca e al potenziamento dei processi di trasferimento tecnologico, soprattutto se di tipo trasformativo. La conclusione nulla toglie ai meriti del venture capital nel promuovere l’innovazione quando si tratta di progetti tecnologicamente più maturi o di sviluppo industriale o scale-up.
Le strategie del venture capital negli Usa
Per capire meglio le strategie del venture capital conviene guardare agli Stati Uniti, quantomeno per la più ampia disponibilità di dati. Circa il 70 per cento dei fondi venture capital negli Usa è destinato a start up in fasi avanzate con un mercato già consolidato, mentre per i progetti con Trl basso l’accesso ai capitali privati è molto limitato. Lo si vede anche dalla concentrazione settoriale degli investimenti: nel 2022, il 40 per cento dei fondi globali VC è stato destinato al settore software, mentre le tecnologie ambientali e le scienze della vita, nonostante il loro potenziale di impatto sociale, hanno ricevuto una quota significativamente inferiore (tabella 3). Ma la questione è ancora più complessa, come si può vedere dalla tabella 4.
Tabella 3 – Distribuzione dei progetti finanziati dal venture capital per settore, 2020
Tabella 4 – Sintesi delle distorsioni operate dal venture capital
Finanziamenti e discriminazioni
Proprio queste distorsioni sottolineano l’urgenza di sviluppare protocolli e metriche più idonei per valutare l’efficacia dei progetti di innovazione, specialmente quando finanziati, direttamente o indirettamente, con fondi pubblici.
Bastano pochi dati, sempre sugli Stati Uniti, a rendere chiara la questione. Sul fronte del genere, emerge chiaramente che le start up fondate esclusivamente da donne ricevono solo il 2 per cento degli investimenti complessivi, con una percentuale ancora più bassa quando si considerano fondatrici appartenenti a minoranze etniche. Il dato sottolinea un profondo squilibrio nell’equità degli investimenti e nel sostegno a progetti che potrebbero beneficiare di una maggiore diversità. Dal punto di vista geografico, il 77 per cento dei fondi venture capital è concentrato in sole tre aree – California, New York e Massachusetts – lasciando molte altre regioni, incluse quelle con potenziale innovativo legato a università e centri di ricerca, prive delle risorse necessarie. La distorsione settoriale è altrettanto marcata: il 40 per cento degli investimenti venture capital globali è destinato al settore software, mentre settori con maggiore impatto sociale, come le tecnologie ambientali e le scienze della vita, ricevono meno del 10 per cento delle risorse. Le differenze riguardano pure lo stadio di sviluppo delle start up. Circa il 70 per cento dei fondi viene assegnato a progetti con un alto livello di maturità tecnologica (Trl 5-9), mentre i progetti nelle fasi iniziali (Trl 1-4), che richiedono investimenti pazienti e ad alto rischio, continuano a essere cronicamente sottofinanziati. La dinamica è particolarmente critica per le start up accademiche, dove meno dell’1% dei brevetti universitari si traduce in prodotti commerciali a causa della mancanza di risorse per superare le fasi più rischiose dello sviluppo tecnologico. Infine, la distorsione demografica si manifesta nell’accesso limitato ai fondi da parte delle minoranze etniche e culturali, che ricevono una quota marginale degli investimenti, contribuendo a perpetuare uno squilibrio sistemico nella distribuzione delle risorse.
Nuovi modelli di valutazione
Tutti questi dati mettono in luce i limiti di un sistema di finanziamento orientato prevalentemente alla commercializzazione rapida, a scapito di innovazioni più radicali e di lungo termine che potrebbero avere un impatto significativo sulla società.
Ciò sottolinea l’urgenza di destinare più risorse pubbliche a progetti con Trl inferiore a 5, ma anche quella di adottare protocolli di valutazione alternativi e di investire in strumenti operativi e metodologie adeguate a garantire che le risorse pubbliche siano utilizzate con il massimo impatto sociale ed economico. Già da tempo sono disponibili, nell’ambito delle scienze sociali, indicatori come il tasso di rendimento sociale degli investimenti, si tratta ora di renderli operativi. Nel caso di progetti di valorizzazione della ricerca finanziata con risorse pubbliche, il ricorso a questi modelli di finanziamento dovrebbe costituire la regola e non l’eccezione.
In conclusione, le agenzie pubbliche devono sviluppare protocolli di valutazione appropriati per supportare progetti a Trl basso, garantendo che l’innovazione trasformativa possa contribuire a obiettivi sociali ed economici di lungo termine. Solo attraverso una riforma dei criteri di assegnazione dei fondi pubblici sarà possibile superare il divario di finanziamento e realizzare il pieno potenziale dei progetti deep tech legati alla ricerca.
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