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Talk-show politici, lo specchio di un’Italia polarizzata

I talk show invitano ospiti di cui gli italiani non si fidano. Sono quasi sempre uomini di mezza età, mentre gli spettatori tendono a dare più ascolto a donne e giovani. Ma a ispirare più fiducia di tutti sono gli opinionisti di cui si condividono le idee.

Talk show per tutti i gusti

Da Tribuna Politica alla “terza camera” di Porta a Porta, fino ad arrivare ai contemporanei salotti di Giovanni Floris e Lilli Gruber, la proliferazione di programmi televisivi in cui ospiti provenienti dal mondo della politica, del giornalismo, dell’accademia e della società civile discutono di politica e attualità ha portato alcuni studiosi a definire l’Italia una “Democrazia del talk show”.

Ogni sera, sui principali canali televisivi è possibile attingere a un ricco buffet di parlamentari, editorialisti e conduttori dei più vari schieramenti politici che si scontrano in programmi caratterizzati da stili che spaziano dal rispettoso e pacato fino al rissoso.

Ma cosa viene davvero proposto dai talk show italiani? E cosa porta il pubblico a fidarsi o meno di un ospite? Un nostro recente studio risponde a queste domande.

Il profilo degli ospiti: uomini che hanno superato i cinquanta anni

Abbiamo collezionato e analizzato i profili di oltre 920 ospiti apparsi in 653 episodi di dodici fra i talk show più seguiti in Italia fra l’autunno 2023 e la primavera 2024.

Il 72 per cento sono giornalisti (41 per cento) o politici (31 per cento). La restante parte è composta da scienziati sociali, economisti o giuristi (10 per cento) o da figure non inquadrabili sotto una categoria più ampia, come imprenditori o personaggi del mondo dello sport e dell’intrattenimento (18 per cento). La composizione degli ospiti cambia a seconda dello show: in alcuni, come Otto e Mezzo, i giornalisti la fanno da padrone, mentre in altri, come Dritto e Rovescio, sono i politici a dominare la scena.

In media, solo il 30 per cento degli ospiti sono donne. La maglia nera va a Quarta Repubblica, Avanti Popolo e Tg2 Post, che contano fra i loro ospiti nel periodo esaminato poco meno del 25 per cento di donne. I più “bilanciati” in termini di genere sono Dritto e Rovescio e InOnda, che si fermano in ogni caso a quota 40 per cento.

L’età media degli ospiti è di circa 58 anni. Quarta Repubblica e Stasera Italia prediligono ospiti ultrasessantenni, mentre quelli di Dritto e Rovescio sono un po’ più giovani: “solo” 51 anni in media.

Insomma, le redazioni prediligono giornalisti e politici, uomini e persone di età avanzata. I lettori più interessati possono esplorare direttamente i dati della nostra ricerca attraverso questo link.

Di chi si fidano gli italiani

Ma l’offerta di ospiti televisivi rispecchia davvero ciò che il pubblico italiano cerca? Siamo sicuri che gli spettatori si fidino di più di ciò che dicono giornalisti, politici, uomini e persone di età avanzata?

Per rispondere alla seconda domanda, abbiamo condotto un esperimento su 900 persone (un campione rappresentativo della popolazione italiana generale, ma non necessariamente dell’audience dei talk show politici), per scoprire quali sono i profili di ospiti che ispirano più fiducia. Le analisi, in relazione ai dati sull’offerta televisiva, rivelano un vero e proprio paradosso: gli italiani si fidano di ospiti molto diversi da quelli invitati nei talk show.

Emerge come le donne ispirino maggiore fiducia degli uomini e come gli under 40 siano ritenuti molto più affidabili degli ultrasessantenni. Infine, tra i non-politici di professione, sono preferiti economisti e giuristi: pochi sembrano fidarsi di giornalisti, filosofi e scienziati politici.

Questi risultati, già di per sé degni di riflessione, vanno letti anche alla luce di un altro aspetto, che dice molto sul modello di fruizione dei talk show politici: l’ospite in assoluto ritenuto più affidabile dai partecipanti all’esperimento è quello che condivide le loro idee politiche. Al di là delle credenziali professionali e delle caratteristiche sociodemografiche, condividere lo stesso schieramento ideologico sull’asse sinistra-destra di un ospite porta a rimodulare al rialzo le aspettative sulla fiducia: un giornalista, un filosofo o uno scienziato politico – categorie professionali che prese singolarmente godono di scarsa fiducia – di cui condividiamo le idee politiche è percepito come più affidabile di un economista o un giurista della parte politica opposta alla nostra. A parità di idee politiche, le etichette professionali e le caratteristiche sociodemografiche tornano a contare.

La spettacolarizzazione dell’informazione

Questo, dunque, il quadro che emerge dalla ricerca: un’offerta di ospiti che non incontra la domanda del pubblico dei talk show politici, almeno per quanto riguarda l’aspetto della fiducia.

Ma perché le redazioni, nel processo di selezione degli ospiti, penalizzano le donne e i giovani, che sembrano invece godere della fiducia del pubblico? Benché non sia possibile rispondere coi soli dati quantitativi del nostro studio, è ipotizzabile che la fiducia ispirata non rientri fra i criteri di selezione. Da tempo, gli studiosi sottolineano come la ricerca dell’intrattenimento abbia soppiantato la finalità informativa in questi programmi: meglio un ospite capace di coinvolgere il pubblico, magari alimentando polemica e polarizzazione, di uno più preparato e affidabile, ma forse più noioso. Dall’altro lato, gli spettatori sono in cerca di ospiti che condividano le loro idee politiche: massimizzare le differenze ideologiche nelle trasmissioni permetterà a ogni spettatore di trovare qualcuno che valga la pena ascoltare. Un’Italia, insomma, che si rispecchia nei talk show.

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  1. Savino

    Abbiamo quest’Italia piena di problemi anche perchè abbiamo questo modo approssimativo di fare giornalismo, senza chiarezza, che crea ancora più confusione nella gente. Vengono fatte solo interviste preconfezionate ai politici; c’è troppo sensazionalismo, i talk sono troppi (a tutte le ore del giorno e della notte), gli ospiti quasi sempre gli stessi, che si sovrappongono con la voce tra loro, rendendo incomprensibili i temi ed eludendo ogni forma di ragionamento. I social finiscono solo per rincorrere due pseudo-ideologie contemporanee che si fossilizzano su argomenti di dettaglio e di nicchia, estranei dai grandi eventi che riguardano il mondo e dai cattivi fenomeni sociali che si vanno diffondendo. Ci vogliono meno talk (1-2 la settimana nei momenti di maggiore ascolto), ma culturalmente di maggiore qualità, in grado di far capire al popolo come stanno le cose e in grado di fare una vera comunicazione tra istituzioni e cittadini.

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