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MPS-Mediobanca: quando la finanza privata incontra il governo

Nell’operazione Mps-Mediobanca si è creata una convergenza d’interessi fra il governo e le famiglie Caltagirone e Del Vecchio. Forse nascerà così il più grande gruppo finanziario italiano. Il costo potrebbe ricadere su contribuenti e piccoli azionisti.

Il brutto anatroccolo nel salotto della finanza

Il sistema bancario italiano è in fermento. Dopo il tentativo di Unicredit di acquisire Commerzbank e Banco Bpm e quello di Banca Ifis di rilevare Illimity, ora è Monte dei Paschi di Siena a lanciare un’offerta su Mediobanca. Il brutto anatroccolo vuole comprarsi la più blasonata delle banche italiane.

Intendiamoci, in tutti i casi (con la parziale eccezione di Banca Ifis) si tratta di offerte pubbliche di scambio (Ops), dove gli azionisti delle banche target non ricevono soldi in cambio dei titoli che cedono, ma solo azioni dell’acquirente: “figurine contro figurine”, come si dice in gergo.

Tuttavia, se le altre operazioni riguardano banche commerciali piuttosto simili fra loro e prefigurano un maggiore e più capillare controllo del mercato, oltre a permettere forti sinergie sul fronte dei sistemi informatici, dei costi operativi, della compliance, nel caso di Mps-Mediobanca la potenziale fusione assume un carattere più strategico. Infatti, il gruppo senese è sostanzialmente una banca commerciale, mentre Mediobanca è una banca private e un investment-bank, con una ingombrante partecipazione: Assicurazioni Generali.

Certo, i manager di Mps hanno stimato che le sinergie ammonterebbero a 700 milioni di euro l’anno, contro i maggiori costi di integrazione di 600 milioni il primo anno. Inoltre, come recita il comunicato stampa, “il nuovo Gruppo sarà in grado di accelerare l’utilizzo di euro 2,9 miliardi di Dta (Deferred Tax Assets) nei prossimi sei anni e un significativo beneficio di capitale”. Si stima che il beneficio per gli azionisti di Mediobanca che aderiscono all’offerta sia in totale di 1,2 miliardi di euro. In altre parole, il nuovo gruppo sarà in grado di utilizzare più velocemente gli enormi crediti d’imposta accumulati dal Monte dei Paschi per le gigantesche perdite realizzate sui crediti deteriorati negli anni precedenti. Così, a pagare sarà soprattutto il fisco italiano.

Interessi che convergono

Ma qual è il carattere strategico dell’operazione? E qual è la congiunzione di interessi tra i maggiori soci di Mps che hanno lanciato l’operazione? Da un lato, il Tesoro, ancora primo azionista della banca con l’11,7 per cento del capitale, non ha mai fatto mistero di voler creare un terzo polo bancario ed evitare che la banca senese finisca in mani straniere. Dall’altro, le famiglie Caltagirone e Delfin – che raggruppa gli interessi dei sette eredi di Leonardo Del Vecchio (guidati dall’inamovibile Francesco Milleri) – detengono assieme il 14,8 per cento di Mps e il 25,3 per cento di Mediobanca e vedono di buon occhio la fusione fra le loro partecipate. Anche perché l’operazione permetterebbe il controllo definitivo su Assicurazioni Generali.

A Trieste, infatti, da tempo è aperta un’altra partita fondamentale, che vede contrapposti da un lato Mediobanca, quale principale azionista del gruppo assicurativo con il 13,1 per cento, e dall’altro di nuovo le famiglie Caltagirone con il 6,9 per cento e Delfin con il 9,9 per cento. Negli ultimi tempi la contrapposizione fra Mediobanca, che governa da sempre la società, e le due famiglie si è fatta più accesa a causa del progetto di fondere l’asset managementdi Generali con quello del Groupe des Banques Populaires et des Caisses d’Epargne, Natixis. Il risultato sarebbe la creazione di un colosso del risparmio gestito da 1,9 triliardi di dollari, che potrebbe tentare di competere con i giganti americani, che comunque hanno dimensioni ben più ampie. Il progetto ha certamente una forte valenza industriale, ma una governance alquanto discutibile. Infatti, ognuno dei due soci avrebbe il 50 per cento della nuova società, la possibilità di eleggere a turno l’amministratore e di gestire i propri asset. La premessa per un disastro.

Il raggruppamento Caltagirone-Delfin e il Tesoro italiano si oppongono al progetto, temendo che dietro l’accordo ci sia un qualche altro patto che potrebbe finire per mettere il risparmio italiano nelle mani dei francesi, che nel passato si sono dimostrati molto aggressivi e determinati. Basta ricordare il caso dell’asset management di Unicredit (Pioneer) finito ai francesi di Amundi. La messa in sicurezza di Generali e di Mediobanca in mani italiane è un altro obiettivo del governo. Ecco allora che anche sotto questo aspetto gli interessi delle famiglie Caltagirone e Del Vecchio si sposano con quelli del Tesoro italiano.

In conclusione, se l’operazione riuscisse, potrebbe nascere un polo finanziario italiano che include Mps, Mediobanca e Generali. Il primo per dimensione in Italia e di tutto rispetto anche a livello internazionale.

Come hanno reagito i mercati

Le prime reazioni del mercato all’operazione non sono state particolarmente positive: le quotazioni di Mediobanca sono salite, mentre quelle di Mps pesantemente calate. A queste condizioni, difficilmente i soci di Mediobanca avrebbero interesse a cedere le proprie azioni al concambio offerto. Tuttavia, con qualche aggiustamento del premio pagato (oggi solo del 5 per cento) la maggioranza degli azionisti di Mediobanca (ma forse potrebbe bastare solo il 25 per cento) potrebbe convincersi a effettuare lo scambio. Per i soci privati di riferimento questo non avrebbe nessun costo poiché sono azionisti sia della parte cedente che di quella acquirente. Anzi, paradossalmente più è alto il prezzo pagato per ottenere Mediobanca e più Caltagirone e Delfin guadagnano, dato che la loro partecipazione in Mediobanca è superiore a quella in Mps.

A rimetterci, almeno nel breve periodo, sarebbero il Tesoro, Banco Bpm (che ha di recente acquisito il 5 per cento di Mps) e Anima (che possiede il 4 per cento), rei di non avere favorito la nascita del terzo polo, oltre agli altri piccoli azionisti di Mps. Forse nel lungo periodo la creazione di valore del nuovo gruppo sarà superiore alla diluizione attuale, ma la prima è certa, la seconda possibile.

Se sono rose fioriranno, se sono spine pungeranno.

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Il Punto

  1. Pippo Bertucci

    “A rimetterci, almeno nel breve periodo, sarebbero il Tesoro, Banco Bpm (che ha di recente acquisito il 5 per cento di Mps) e Anima (che possiede il 4 per cento),”

    Capisco che questi soggetti ci rimetterebbero perché la loro partecipazione in MPS sarebbe diluita per effetto di un concambio relativamente sfavorevole nell’ambito dell’OPS: ma questi sono tutti soci di MPS, che dovrebbero votare a fare dell’aumento di capitale a servizio dell’OPS, quindi saranno padroni di decidere se il concambio proposto è conveniente o meno.

  2. Savino

    Il Tesoro, se volesse fare qualcosa di strategico sul piano finanziario e, in prospettiva, di rilancio infrastrutturale e di rilancio di una politica industriale nazionale, dovrebbe operare un’acquisizione in fusione tra Cassa Depositi e Prestiti e Mediobanca. Sarebbe una scossa per l’economia nazionale, con il know out di entrambe.

  3. PAOLO CASANI

    L’OPS di Mps su Mediobanca non è una operazione di mercato ma di potere; Mps già in passato, con l’acquisto di Banca Antonveneta, ha rischiato il tracollo e si è salvata soltanto con i soldi dello Stato, adesso vorrebbe acquistare una società che capitalizza 13 MLD di euro, contro i suoi neppure 8 MLD, e dove troverà i fondi? Da un aumento di capitale in cui lo Stato azionista dovrà mettere la sua parte. E’ una vergogna assoluta. E la Banca d’Italia cosa dice?

  4. alessandro palermo

    le opinioni creano suggestioni, in un momento in cui solo fatti contano, e i fatti sono che decidera’ il mercato se accogliere l’ops proposta o respingerla, punto

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