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E se sugli immigrati irregolari avessero ragione gli Usa?

Il tasso di criminalità degli immigrati illegali negli Usa è forse sottostimato. Un metodo di calcolo alternativo e basato sulla probabilità di recidiva propone numeri nettamente superiori. E aiuta a spiegare l’intransigenza dell’amministrazione.

Entrare illegalmente negli Usa è un reato

L’immigrazione è diventata un tema centrale nel dibattito politico degli ultimi anni negli Stati Uniti. Secondo il Pew Research Center, nel 2022 gli immigrati illegali rappresentavano il 3,3 per cento della popolazione totale degli Usa e il 23 per cento della popolazione nata all’estero. Uno degli aspetti più discussi è il legame tra presenza di immigrati illegali e criminalità: esistono ragioni credibili per ritenere che le stime del tasso di criminalità tra gli immigrati illegali siano di gran lunga inferiori alla realtà.

Molte ricerche indicano che gli immigrati legali non commettano più crimini dei cittadini nativi; anzi, tendono a commetterne di meno. Per esempio, uno studio di Abramitzky, Boustan, Jácome, Pérez e Torres mostra che dal 1960 gli immigrati hanno una probabilità più bassa del 60 per cento rispetto ai nativi statunitensi di finire in carcere.

Ma sui tassi di criminalità degli immigrati illegali c’è più incertezza. Uno studio del 2020 di Light, He e Robey, basato su dati del Texas, ha rilevato che gli immigrati illegali commettono meno omicidi rispetto ai nativi. Al contrario, Lott e Moody (2018) hanno scoperto che in Arizona, tra il 1985 e il 2017, gli immigrati illegali avevano un tasso di incarcerazione più elevato rispetto ai nativi.

Le stime ufficiali sui crimini commessi dagli illegali

Il problema è che la maggior parte delle stime attuali si basa su dati degli arresti. Ritengo che questo metodo sottostimi sistematicamente il vero tasso di criminalità degli immigrati illegali, per diverse ragioni. Primo, il numero di immigrati illegali è incerto, a differenza di quello degli immigrati legali: per definizione, chi è irregolare non si registra e tende a nascondersi. Uno dei modi per stimare il loro numero è sottrarre i numeri dei cittadini e immigrati regolari al numero totale di risposte che si ricevono nei censimenti, per esempio l’American Community Survey e il Current Population Survey. Benché siano censimenti anonimizzati e senza alcun legame con le forze dell’ordine, è possibile che tanti immigrati irregolari abbiano timore di parteciparvi. Secondo, i dati sugli arresti provengono da un numero limitato di agenzie di polizia, spesso raccolti attraverso richieste Foia (Freedom of Information Act), e non sono rappresentativi dell’intero territorio americano. Non a caso, due degli studi più citati sull’immigrazione illegale — e che giungono a conclusioni opposte — si basano su dati di soli due stati: Arizona e Texas. Terzo, anche se non commettono reati, gli immigrati irregolari cercano di evitare i luoghi più a rischio di posti di blocco o di presenza delle forze dell’ordine. Anche il fatto che il numero degli immigrati illegali venga spesso stimato proprio a partire dai dati di arresto può generare distorsioni statistiche.

Un approccio basato sulla recidiva

La mia proposta è perciò di affrontare il problema con un approccio diverso, “top down”. Per definizione, un immigrato illegale ha un tasso di criminalità del 100% quando si considera come crimine lo stesso ingresso illegale nel paese. Negli Stati Uniti è un reato penale (ai sensi della legge 8 U.S.C. § 1325) e non amministrativo. Per la precisione è un “reato penale minore” (felony/misdemeanor). È un fatto da ricordare quando si discute di criminalità degli immigrati illegali. Le persone che attraversano illegalmente un confine, magari superando un muro o arrivando via mare, sono in una situazione diversa da chi entra legalmente per richiedere asilo o con un visto. Il meccanismo di selezione, già in partenza, indica che gli immigrati illegali potrebbero avere un tasso di criminalità più alto.

Comunque sia, il miglior modo per stimare il tasso di criminalità tra gli immigrati illegali potrebbe essere il tasso di recidiva — ovvero la probabilità che una persona che ha già commesso un crimine ne commetta un altro. Secondo il Bureau of Justice Statistics, il 67,8 per cento dei detenuti rilasciati viene arrestato per un nuovo reato entro tre anni. La percentuale potrebbe fornire una stima ragionevole del tasso di criminalità tra chi ha già violato la legge entrando illegalmente nel paese.

Il mio approccio non richiede di conoscere il numero esatto di immigrati illegali né di ottenere dati di arresto: basta assumere, tenendo fissi i confini e le leggi di immigrazione, che il crimine di ingresso illegale non sia troppo diverso dagli altri tipi di reati, dato che tutti i reati vengono utilizzati per stimare la recidiva. Il mio ragionamento suggerisce che il vero tasso di criminalità degli immigrati illegali sia probabilmente molto più alto rispetto a quello stimato dagli approcci “dal basso”, attualmente dominanti.

Se prendiamo per buono il dato — fornito dal Cato Institute — secondo cui il tasso di incarcerazione degli immigrati legali è dello 0,5 per cento, il mio ragionamento implica che il tasso di criminalità degli immigrati illegali potrebbe essere fino a 138 volte più alto di quello finora stimato. Va detto che il mio metodo assume che il tasso di recidiva generale che viene stimato per qualsiasi crimine non sia troppo diverso dal tasso di recidiva per il reato di ingresso illegale nel paese. È una assunzione non facilmente verificabile, ma che appare meno problematica rispetto alle questioni sollevate dai metodi dominanti.

Il dibattito politico americano resta profondamente diviso: i democratici e i repubblicani propongono soluzioni molto diverse. Gli immigrati illegali ottengono sostegno da reti di cittadini (generalmente parenti e amici) e dalle imprese che li assumono, le quali sono di proprietà di elettori. Il fatto che siano presenti o meno imprese che assumono immigrati può a sua volta interagire con il tasso di criminalità degli immigrati irregolari, visto che le opportunità economiche rappresentano una forma di prevenzione del crimine. La durezza dei repubblicani Usa nel trattare il tema dell’immigrazione illegale potrebbe essere motivata da una realtà peggiore di quella che le stime attuali fanno apparire.

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  1. Fabrizio Merli

    Un altro fattore che non viene mai considerato in questo tipo di analisi comparative è il periodo di permanenza sul territorio.

    Già quando il compimento di un reato può essere associato ad un individuo che appartiene ad un gruppo sociale significa che questo reato è stato scoperto poichè denunciato, che l’amministrazione ha effettivamente deciso di perseguirlo, che l’amministrazione è riuscita a condannare il colpevole (tutte cose che purtroppo spesso non accadono, basti pensare ai reati di furto o spaccio commessi vs denunciati vs effettivamente perseguiti vs n. di condanne in giudicato). Ma inoltre la segnalazione “condanna di reato per X che sappiamo essere appartenente al gruppo sociale Xx” è evidentemente da rapportare al tempo trascorso nel territorio. Chi a 40 anni si è macchiato di un reato nel territorio di uno Stato dove ha sempre vissuto è in una situazione (pur grave) ben diversa da chi a 40 anni si è macchiato di un reato nel territorio di uno Stato nel quale vive da soli 5 anni per esempio, la propensione a delinquere se non di 8 volte maggiore è comunque molto maggiore, quale pertanto la probabilità di recidiva.
    In parole povere è facile essere incesurati in un Paese se in quel Paese ci sei appena arrivato, anche un serial killer all’inizio lo sarebbe, figuriamoci in pochi anni di vita in quel territorio già ha ricevuto una condanna.

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