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Come si elegge un Papa 3.0*

Come si orientano i voti nel conclave prima che si arrivi alla maggioranza necessaria per l’elezione del nuovo Papa? Una tendenza c’è, ma le “conversazioni notturne” azzerano tutto. Gli effetti della “controriforma” di Benedetto XVI, mantenuta da Francesco.

Le regole elettorali del Vaticano

Il Conclave per eleggere il successore di Papa Francesco inizia il 7 maggio 2025, il sedicesimo giorno successivo alla sua morte, ovvero entro quell’arco di tempo tra il quindicesimo e il ventesimo giorno previsto dalla Costituzione apostolica Universi Dominici Gregis.

C’è subito da sottolineare un aspetto particolare del conclave 2025, che riguarda il numero dei partecipanti: attualmente i cardinali elettori – cioè con meno di 80 anni – sono 133 (dopo il passo indietro del cardinale Becciu). Sempre la Costituzione apostolica, all’articolo 33, prescrive che il numero massimo dei cardinali elettori non possa superare i 120. A meno di rinunce spontanee di 14 o 15 cardinali, è allora probabile che il Collegio dei cardinali ammetta un numero superiori di cardinali elettori, facendo prevalere il diritto dei cardinali essere rimosso dall’elezione attiva o passiva previsto sempre dalla Costituzione apostolica rispetto al limite numerico dei 120.

Ma a prescindere dalla questione del numero di elettori, qual è l’andamento tipico dei voti ricevuti dai vari “candidati”, prima che venga raggiunta la maggioranza dei due terzi più uno? Uno studio statistico fornisce indicazioni più precise. Prima, però, vediamo le regole che portano alla elezione del pontefice.

A stabilire che per essere eletto papa un candidato dovesse ricevere due terzi dei voti dei cardinali e che nessun cardinale potesse votare per se stesso fu Alessandro III nel 1179, durante il Concilio Laterano III. Paolo VI, riprendendo una modifica introdotta da Pio XII e abrogata da Giovanni XXIII, ha fissato la regola della maggioranza dei due terzi più uno, eliminando dunque l’onere di verificare se l’eletto abbia o meno votato per se stesso. Lo stesso Paolo VI ha limitato l’esercizio del diritto di voto ai cardinali sotto gli ottanta anni di età. Ma la modifica più rilevante delle regole elettorali è stata introdotta da Giovanni Paolo II: con la Costituzione apostolica Universi Dominici Gregis, ha abbassato drasticamente il quorum necessario dopo il trentaquattresimo scrutinio senza esito. Tuttavia, le regole elettorali stabilite dal suo predecessore sono state eliminate nel 2007 da Benedetto XVI: siamo dunque ritornati a un quorum di “due terzi più uno” per tutte le tornate di voto, compreso l’eventuale ballottaggio fra i due nomi più votati previsto dopo il 34° scrutinio.

L’evoluzione dei voti

Qual è stata l’evoluzione tipica dei voti dati ai vari candidati durante la sequenza degli scrutini degli ultimi conclavi? A quanto ci risulta, sul tema esiste un solo studio statistico rigoroso. Sfruttando memoriali scritti da cardinali presenti, Jayne Toman dell’università di Sydney ha raccolto un insieme di dati sulla dinamica dei voti nei sette conclavi che vanno dall’elezione di Benedetto XV nel 1914 (cardinal Della Chiesa) a quella di Giovanni Paolo II nel 1978.

Il conclave più breve fu quello che portò all’elezione di Pio XII (cardinal Pacelli), con tre scrutini, mentre l’elezione di Pio XI (cardinal Ratti) ne richiese quattordici.

La variabile dipendente studiata da Toman è il numero di voti ottenuti in ciascun scrutinio da ogni cardinale che ne abbia ricevuto almeno uno, e il cui nome sia stato annotato dai cardinali memorialisti.

Tre variabili hanno un’influenza statisticamente significativa sul numero di voti ricevuti.

La prima è che il numero di voti ricevuti da un dato candidato alla tornata precedente (t-1) è correlato in modo fortemente positivo con il numero di voti ricevuti dallo stesso nello scrutinio presente. In altri termini, i voti tendono a convergere verso quei candidati che sono stati più votati allo scrutinio precedente. Secondo le stime effettuate da Toman, l’effetto del numero di voti alla tornata precedente è sempre positivo per tutti i conclavi studiati, eccezion fatta per quello che portò all’elezione di Giovanni XXIII (cardinal Roncalli). A parte questo caso, la stima più bassa dell’effetto si ha per il conclave che elesse Pio XI: ogni voto in più per un dato candidato alla tornata precedente è correlato con 0,44 voti in più durante lo scrutinio attuale.

Esiste poi un effetto di trascinamento (“momentum”), per cui una crescita dei voti ottenuti da un cardinale tra l’ultimo scrutinio (al tempo t-1) e il penultimo scrutinio (al tempo t-2) è correlato positivamente e significativamente con i voti ricevuti durante lo scrutinio presente (al tempo t). A prescindere dall’effetto per se stesso del numero delle preferenze ottenute allo scrutinio precedente, i cardinali tendono a convergere su coloro i cui voti appaiono in crescita. A titolo di esempio, durante il conclave che portò all’elezione di Pio XI (Ratti), il cardinal Gasparri ricevette otto voti al primo scrutinio, che poi crebbero fino a ventiquattro nel sesto, per rimanere a questo livello per altre due tornate. La perdita di momentum contribuisce a spiegare il fatto che i sostenitori di Gasparri si siano spostati su altri candidati e in particolare su Ratti. Nella tornata finale (la quattordicesima) Gasparri non ricevette alcun voto. Il momentum, pur avendo un effetto positivo sul numero di voti, è di magnitudine assolutamente inferiore rispetto al numero di voti al tempo t-1: ad esempio, per i conclavi di Benedetto XV e Pio XI un voto in più tra lo scrutinio t-2 e t-1 è correlato in media con 0,02 voti in più per quel candidato allo scrutinio t.

Per la terza variabile considerata da Toman, bisogna premettere che nel 1904 (disposizione di Pio X) il numero di scrutini giornalieri è stato portato da due a quattro. A parte la pausa per il pranzo, il momento in cui i cardinali hanno più tempo a disposizione per scambiarsi informazioni e stringere accordi è la sera, quando conversazioni private nelle stanze sono in via di principio possibili. Secondo le stime della Toman, l’effetto principale delle “conversazioni notturne” è quello di ridurre sensibilmente i voti ricevuti il mattino successivo dal candidato che si trovava in testa la sera precedente. L’effetto potrebbe essere spiegato dal fatto che le conversazioni notturne facilitano un coordinamento tra gli elettori, finalizzato a impedire o rallentare la vittoria del candidato in testa. Unica eccezione a questa regolarità è rappresentata dal conclave che elesse Giovanni Paolo II.

La breve vita della maggioranza assoluta

Con la Costituzione apostolica Universi Dominici Gregis del 1996, Giovanni Paolo II – oltre a eliminare la possibilità di eleggere il nuovo papa per “acclamazione” e per “compromesso” – ha modificato il quorum necessario per passare, dopo il trentaquattresimo scrutinio, dalla maggioranza dei due terzi più uno alla maggioranza assoluta o al ballottaggio tra i due candidati più votati nella tornata precedente. Con le regole precedenti, la maggioranza di due terzi più uno poteva essere alterata soltanto con il consenso unanime di tutti i cardinali partecipanti al conclave. Con la nuova previsione, era sufficiente una maggioranza assoluta di cardinali per decidere se a partire dalla trentacinquesima votazione si dovesse procedere a maggioranza assoluta, oppure con ballottaggio.

Si dà il caso però che queste regole siano rimaste in vigore soltanto per il conclave del 2005, quello che ha portato all’elezione di Benedetto XVI. Molto probabilmente hanno dato maggior potere contrattuale a una maggioranza semplice – e coesa – di cardinali durante i primi scrutini, a motivo della minaccia credibile di scegliere un quorum del 50 per cento più uno dopo il trentaquattresimo scrutinio. Poiché nel 2007 Benedetto XVI ha reintrodotto un quorum permanente dei due terzi più uno, ci aspettiamo che il conclave di oggi, come quello che ha portato all’elezione di Francesco, converga su un cardinale che può contare su un consenso ampio. Non possiamo certamente sapere quali fossero le intenzioni di Benedetto XVI, ma possiamo supporre che la sua decisione del 2007 fosse motivata dal desiderio di facilitare l’elezione di un successore che sana fratture invece di allargarle.

* Questa è la versione aggiornata di un pezzo apparso su lavoce.info l’8 marzo 2013, cioè prima del conclave che ha portato all’elezione di Papa Bergoglio; a sua volta quel contributo era la versione aggiornata di un primo articolo, scritto il 14 aprile 2005, ovvero cinque giorni prima dell’elezione di Joseph Ratzinger come Papa Benedetto XVI.

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Il Punto

  1. Savino

    La crisi dei sistemi democratici di elezione è evidente a tutti i livelli ed è stata sovverita dalla lotta per il potere. Diamoci una regolata quando siamo chiamati ad eleggere organi di rappresentanza ecumenica così importanti.

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