Dopo la bocciatura della Corte dei conti, bisogna che ci sia ancora più chiarezza sui costi di costruzione, ma anche su quelli di gestione del ponte sullo Stretto. Il punto critico sono le stime di traffico: quelle fin qui indicate appaiono molto discutibili.
Lo stop della Corte dei conti
Il 29 ottobre la Corte dei conti ha negato il visto di legittimità e la conseguente registrazione della delibera che approvava il progetto definitivo del ponte sullo Stretto di Messina. La decisione arriva dopo che l’Ufficio di controllo della Corte dei conti – valutate le risposte del governo alle criticità rilevate – aveva deferito la questione alla Sezione Centrale di controllo di legittimità sugli atti del governo (l’organo collegiale). Le motivazioni sembrano essere varie, sia di tipo formale, che sostanziale. Per conoscerle in dettaglio bisognerà attendere 30 giorni.
Tra i rilievi della Corte vi sarebbe una richiesta di spiegazioni sull’affidabilità delle previsioni relative al piano tariffario e al volume di traffico previsto. Avevamo dettagliatamente discusso questo tema esponendo il ruolo giocato dalle stime di traffico, a nostro avviso molto discutibili, se si vuole che il gettito raccolto con le tariffe ipotizzate sia sufficiente a coprire i costi manutenzione ordinaria e straordinaria, come dichiarato dall’amministratore delegato della società Stretto di Messina.
Il progetto del ponte sullo Stretto
Il ponte sullo Stretto è un’opera di cui si parla da quasi un secolo e la questione emerge puntualmente in ogni legislatura, con la maggioranza che in genere preme per la sua realizzazione e la minoranza che si oppone. Si rivendica il beneficio dell’opera per le realtà locali che si concretizzerebbe, con stime che secondo alcuni sarebbero discutibili, in abbattimento dei costi e tempi di trasporto per i traffici commerciali, convenienza per molte attività imprenditoriali a situarsi in Sicilia (l’idea è che prima non lo avrebbero fatto per l’assenza del grande collegamento), maggiore comodità per i cittadini che potrebbero passare da una sponda all’altra in minor tempo e soprattutto diminuzione dell’inquinamento.
L’impossibilità di finanziare con capitali privati un’infrastruttura potrebbe essere classificata come tipico fallimento del mercato, a cui può rimediare lo stato, se si ritiene che l’opera possa aumentare il benessere dei cittadini che ne fruirebbero. Sembra essere questa la decisione oggi presa dai nostri politici.
Tariffe e costi di manutenzione
Una volta costruito, però, il ponte avrà bisogno di una manutenzione ordinaria annuale e di una straordinaria da programmare su base pluriennale. La gestione dovrebbe essere affidata alla società Stretto di Messina. È una società a capitale interamente pubblico, dove il socio di maggioranza è il ministero dell’Economia, che dovrebbe attenersi a criteri efficienza ed economicità. Come sarà finanziata la gestione della manutenzione ordinaria e straordinaria? Il ministro Salvini, commentando l’approvazione da parte del Cipess, ipotizzava pedaggi pari a 10 euro per le auto. Successivamente Pietro Ciucci (amministratore delegato della società) ha sostenuto che le tariffe sarebbero state attorno ai 4 euro per le moto, 7 euro per le automobili e 10 per i camion. Il Centro studi Unimpresa parlava di 10 euro per le auto e 20 per camion. Insomma, una gran confusione.
Se teniamo buona, in via cautelativa, l’ipotesi dei 10 euro per le auto e 20 euro per i mezzi pesanti, ipotizzando volumi pari a due milioni di auto e un milione di camion (i numeri del 2022 sono di circa 1,7 milioni per le auto e 800mila per i mezzi pesanti), i ricavi annui arrivano a 40 milioni di euro. Nello scenario descritto dalla società Sdm, i costi di gestione e manutenzione annuali ammontano a quasi 70 milioni, a cui bisogna aggiungere i costi per la manutenzione straordinaria spalmati su trent’anni, pari quasi 44 milioni all’anno. Il totale fa poco più di 113 milioni all’anno. La tariffa ne coprirebbe il 35 per cento. Il resto dovrebbe finanziato con trasferimenti a carico della fiscalità generale. Per evitare l’esborso dei contribuenti, le tariffe dovrebbero aggirarsi mediamente per una sola tratta attorno ai 28 euro per le macchine e 56 per i camion, ben lontane dalle tariffe proposte dalla società Sdm, ma molto simili a quanto si paga oggi per il traghettamento.
I conti fatti dalla società Stretto di Messina
Tuttavia, si afferma che queste tariffe generiche possano garantire il completo finanziamento delle spese di gestione e manutenzione del ponte. Ciò sarebbe deducibile dai dati inclusi nel piano economico finanziario, che però non è pubblico. Gli unici numeri trapelati relativi al piano fanno riferimento a un articolo del Sole24ore di agosto: lì, contrariamente a quanto avvenuto nelle interviste rilasciate sia dal ministro che dall’amministratore delegato della società, si entra nel dettaglio delle tariffe per tipologia di mezzo e, soprattutto, si fanno ipotesi sui flussi di mezzi che passerebbero dal ponte nel 2032 e nel 2062.
I mezzi che attraversavano lo Stretto nel 1991 erano circa 3,8 milioni, nel 1999 si è arrivati all’incirca a 3 milioni e nel 2022 a più o meno a 2,6 milioni. Quindi dal 1991 al 2022 si è registrato un calo di attraversamenti del 46 per cento. Verosimilmente, la tendenza alla diminuzione degli ultimi trent’anni, pur con qualche fisiologica ripresa dal 2011, è dovuta al forte incremento dell’uso del trasporto aereo. Nel piano approvato dal Cipess (Comitato interministeriale per la programmazione economica e lo sviluppo sostenibile) il numero di mezzi che si ipotizza attraverseranno il ponte nel 2032 è di oltre 4,5 milioni: una crescita del 71 per cento in dieci anni. È una previsione che richiederebbe qualche giustificazione, visto quanto si è verificato negli ultimi decenni. Fra l’altro, il dato smentisce un documento ufficiale della società Sdm, dove si prevedono, per il 2032, circa 3,6 milioni di attraversamenti.
Ovviamente, nel caso in cui si verifichi la prevista crescita degli attraversamenti, date le tariffe ipotizzate, si riuscirebbe a coprire i costi gestione e manutenzione annui dal 2032 in poi. Tuttavia, se, ad esempio, gli attraversamenti fossero pari a quelli del 2022, sarebbero necessari 50 milioni di trasferimenti per finanziare interamente quelli annuali. In parte sarebbero finanziati con un contributo di circa 36 milioni delle ferrovie – sono comunque soldi pubblici, non legati alle tariffe. Inoltre, pare che nel piano economico e finanziario sia previsto per il 2062 un incasso di 300 milioni che significherebbe, date le tariffe unitarie ipotizzate, avere attraversamenti di 10,5 milioni di mezzi, ovvero un incremento in trenta anni del 131 per cento rispetto al dato del piano economico finanziario, che salirebbe al 200 per cento se si utilizzasse la stima per il 2032 fornita dai documenti ufficiali della società. Infine, l’incremento sarebbe di circa il 300 per cento rispetto al dato (l’unico certo) del 2022.
Un confronto con il Golden Gate
Le stime fin qui esaminate si basano su dati forniti dalla società Stretto di Messina. Può rivelarsi utile allora una semplice analisi che usi come benchmark un’opera simile come il Golden Gate di San Francisco, ipotesi molto prudenziale visto che il ponte sullo Stretto avrebbe una lunghezza quasi tre volte maggiore. Se ne ricavano costi di gestione e manutenzione che sarebbero pari a circa 200 milioni annui. Nessuna delle tariffe ipotizzate sarebbe sufficiente a coprirli, nonostante la generosa crescita del traffico ipotizzata. Inoltre, se immaginassimo (come sarebbe realistico fare) di parametrizzare i costi del Golden Gate alla reale lunghezza del nostro ponte avremmo una cifra non inferiore a 500 milioni di euro di costi operativi e di manutenzione. Solo esodi biblici dal continente verso la Sicilia e viceversa, superiori anche ai 10,5 milioni previsti per 2062, potrebbero portare al pareggio per i costi di gestione e manutenzione.
Si può legittimamente decidere per la costruzione del ponte, ma la cosa importante è essere chiari e trasparenti sui costi di costruzione, manutenzione e gestione dell’opera, senza farsi guidare dalle sirene elettorali. Altrimenti, il rischio è di incorrere successivamente in spiacevoli sorprese, che potrebbero anche concretizzarsi in una drastica diminuzione di altri servizi e investimenti pubblici di cui invece il Sud avrebbe un disperato bisogno nel processo di recupero del gap infrastrutturale con il Nord. Basta pensare al disastro nella sanità pubblica delle regioni meridionali o allo stato dei trasporti interni e alla rete ferroviaria.
* L’articolo originale è stato pubblicato su lavoce.info il 26 settembre 2025.
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Professore associato di Politica economica, Dipartimento Pau – Università Mediterranea di Reggio Calabria.
Direttore del Centro Studi delle Politiche Economiche e Territoriali del Dip. Pau dell’Un. Mediterranea di RC.
Direttore del Master II° livello in Economia dello Sviluppo e delle Risorse Territoriali, Culturali e Ambientali dell’Un. Mediterranea di Reggio Cal.
Ha coordinato 20 ricerche in campo nazionale ed internazionale in qualità di Chief Researcher, ha tenuto oltre 40 seminari nazionali ed internazionali in qualità di invited speaker, ha partecipato presentando papers e comunicazioni ad oltre 100 workshop e convegni nazionali ed internazionali. svolgendo anche funzioni di Chairman e di Discussant. Ha pubblicato oltre 150 lavori di cui 23 monografie e 50 articoli su riviste nazionali e internazionali.
È stato consulente di numerosi enti pubblici e società private fra cui l’Ocse, la Presidenza del Consiglio dei Ministri, l’Isfol, Il Censis, la regione Calabria, la CRUI, l’Isfort.
E’ iscritto all’albo dei Revisori Legali dal 2000 ed è Presidente dell’Organismo Indipendente di Valutazione dell’Azienda Ospedaliera Bianchi Melacrino Morelli di Reggio Calabria e del Consiglio Regionale della Calabria
Si è laureato in Economia all'Università Cattolica di Milano. Ha conseguito il Master in Economics a Louvain-la-Neuve e il dottorato in Economia Politica all'Università Federico II di Napoli. E' stato Marie Curie post-doc fellow alla LSE. Si occupa di temi di economia pubblica e political economy con particolare riguardo alla finanza locale. Ha insegnato all'Università Cattolica di Milano e all'Università di Novara e Ferrara. E' professore ordinario di Scienza delle Finanze presso quest'ultima Università e research affiliate presso l'IEB dell'Università di Barcellona. Ha svolto e svolge attività di consulenza per vari enti pubblici. È stato membro del comitato direttivo della Siep (Società Italiana di Economia Pubblica) per il periodo 2015-2021. È redattore de lavoce.info. @leonziorizzo su Twitter.
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