Negli Stati Uniti sarà la Corte suprema a decidere se i dazi imposti da Trump violano principi costituzionali. Nella Wto, l’ostacolo ai ricorsi è nel funzionamento delle procedure per la risoluzione delle controversie, messo in stallo proprio dagli Usa.
Piovono critiche sui dazi
Attirano critiche i dazi che nel corso del suo secondo mandato il presidente Trump ha imposto sulle merci provenienti da altri paesi. È per lo più negativa l’opinione degli studiosi di economia, per la loro incidenza sugli scambi. È critica, altresì, l’opinione dei banchieri centrali, come Jerome Powell, presidente della Federal Reserve statunitense, e Fabio Panetta, governatore della Banca d’Italia, per via dell’impatto negativo sull’inflazione.
Anche la maggior parte dei giuristi ha espresso un giudizio negativo, ma per altri motivi. Negli Usa gli ordini presidenziali che hanno imposto le tariffe hanno ricevuto varie critiche dal punto di vista dei principi costituzionali, in alcuni casi accolte dalle corti federali sia in primo grado, sia in appello.
All’interno della World Trade Organization, il Brasile ha presentato un ricorso contro le tariffe.
Può essere interessante analizzare gli argomenti utilizzati e i possibili esiti nei due casi.
La clausola di necessità invocata da Trump
Cominciamo con le motivazioni addotte dal presidente americano per introdurre i dazi. Sono riassumibili in due punti. I dazi sono definiti “reciproci” perché – secondo lui – le altre nazioni avrebbero ingiustamente applicato barriere tariffarie e non tariffarie nei confronti dei beni e servizi prodotti negli Usa. Sono, inoltre, considerati necessari perché quelle barriere avrebbero dato luogo a una vera e propria emergenza economica. Per porvi rimedio, il presidente deve necessariamente esercitare i poteri eccezionali di cui ritiene di disporre.
Sullo sfondo, vi è la clausola di necessità (la necessary and proper clause) stabilita dall’articolo I, sezione 8, della Costituzione degli Stati Uniti. Si tratta di una sorta di “norma di chiusura”, perché consente l’adozione di tutte le leggi che risultino necessarie per l’esercizio dei poteri previsti dalle disposizioni precedenti. Tuttavia, la Costituzione attribuisce quella potestà legislativa al Congresso, non al presidente. Infatti, i ricorsi presentati alle corti federali da avvocati di orientamento sia democratico, sia liberista, come Ilya Somin, hanno lamentato la violazione del principio della separazione dei poteri.
Le corti federali hanno accolto quei ricorsi. Hanno escluso che vi sia un’emergenza nazionale in atto, che giustifichi dati di tipo ritorsivo contro vari paesi. Soprattutto, hanno scartato la tesi che il presidente possa esercitare poteri eccezionali. Quella tesi è in contrasto con il principio della separazione dei poteri, posto alla base della Costituzione. L’articolo 1, sezione 8, prescrive che non il presidente, bensì il Congresso “avrà il potere (…) di fissare e riscuotere tasse, diritti, imposte e dazi”. Secondo i giudici, è indispensabile evitare che siano riuniti il potere della borsa e il potere della spada, altrimenti chi li detiene potrebbe abusarne, mettendo a rischio libertà e democrazia.
La tesi del presidente non ha un fondamento nemmeno nelle disposizioni legislative invocate dai suoi legali per giustificare l’imposizione dei dazi. Ciò spiega perché i decreti siano stati annullati.
Sono opportune, però, due avvertenze. La prima è che la Corte federale di appello ha consentito che i dazi continuino a produrre effetti, fino alla conclusione del giudizio (per questo, il presidente ha scritto sui social media che “ll tariffs are still in effect!”). L’altra avvertenza è che l’ultima parola spetta alla Corte Suprema. Non solo all’interno della Corte vi è una maggioranza ampiamente favorevole al presidente, il quale ha nominato tre dei nove giudici (Gorsuch, Kavanagh e Coney Barrett), ma in più di un caso ha mostrato un’evidente propensione a interpretare in senso ampliativo i poteri presidenziali.
Il ricorso del Brasile alla Wto
Dalla cornice giuridica nazionale passiamo a quella del commercio globale, con le argomentazioni che il Brasile ha sottoposto all’organo di risoluzione delle controversie della World Trade Organization e le repliche dell’amministrazione Usa.
Le argomentazioni del Brasile vertono sia sul metodo, sia sul merito. Nel metodo, ciò che viene contestato è che gli Usa hanno adottato misure unilaterali di tipo ritorsivo, ma ciò non è consentito dalla Wto. Lo consente, infatti, soltanto all’esito del procedimento previsto a tal fine. Si tratta, quindi, di una rappresaglia autorizzata. In questo caso, invece, gli Stati Uniti hanno agito “come se” vi fosse un verdetto del Wto, senza averlo nemmeno richiesto. Nel merito, secondo il Brasile, i dazi statunitensi sono ingiustificati, soprattutto nella parte in cui fanno riferimento al processo cui è stato sottoposto l’ex presidente Bolsonaro, una vicenda considerata un affare interno. Inoltre, violano l’obbligo di concedere la clausola della nazione più favorita agli altri membri della Wto.
È vero che nessuna norma della Wto può essere intesa nel senso che impedisca a uno dei suoi membri di adottare tutte le misure che reputi necessarie per la protezione degli interessi essenziali della sua sicurezza, compresa la revoca dei vantaggi connessi con la clausola della nazione più favorita. Lo stabilisce l’articolo XXI del Gatt 1994 (General Agreement on Tariffs and Trade). Tuttavia, ci si può chiedere se un’affermazione di tipo apodittico sia coerente con questa norma. La tesi sostenuta dagli Usa è che essa lasci alle parti contraenti una piena discrezionalità, non sindacabile dagli organi di risoluzione delle controversie della Wto. Ma varie pronunce dei panel istituiti dall’Organizzazione in passato hanno affermato che quegli organi sono competenti a controllare le misure prese per tutelare la sicurezza nazionale: lo hanno fatto, per esempio, nella controversia attivata dall’Ucraina nel 2016 nei confronti delle limitazioni al transito dei suoi beni nella Federazione Russa verso altri stati. In attesa che il panel sia costituito e si pronunci, si possono dunque esprimere ragionate perplessità sulla linea seguita dagli Usa.
Anche in questo caso, però, è necessaria un’avvertenza, che riguarda il funzionamento delle procedure per la risoluzione delle controversie. Possono essere attivate per quanto concerne i panel, cioè gli organi contenziosi di primo grado. Allo stato attuale, non è possibile farlo per l’organo di appello, perché da diversi anni gli Usa si sono astenuti dall’effettuare le designazioni necessarie, dando luogo a una situazione di stallo. Di conseguenza, numerosi appelli rimangono in sospeso, sicché risulta fortemente indebolita la funzione di risoluzione delle controversie della Wto, una delle principali innovazioni introdotte dall’accordo di Marrakech nel 1994.
Questo problema di ordine istituzionale si aggiunge, quindi, all’introduzione di dazi per motivi di sicurezza nazionale, mettendo in crisi la cornice giuridica faticosamente concordata per disciplinare il commercio globale. Ne risultano vieppiù rafforzate le tendenze protezionistiche che emergono da più parti.
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Savino
Gli ordini esecutivi di Trump giuridicamente valgono molto meno dei nostri decreti legge. Negli USA, oltre alla questione di esercitare legislazione, sono proprio le funzioni di Governo federale ad essere tripartite tra Presidente (e suo Gabinetto), Parlamento e Corte Federale con pesi e contrappesi, ad esempio è vero che il Presidente ha alcuni poteri di veto, ma non può mettere nemmeno piede in Parlamento nei 4 anni di mandato (tanto è incompatibile col ruolo parlamentare, mentre il vicepresidente lo è automaticamente, presiedendo le sedute comuni dei due rami). Poi c’è il da fare il confronto di sovranità e di competenza con i poteri federali dei 50 Stati (con legislativo, esecutivo e giudiziario federale).