Nel tentativo di guadagnare consenso politico, il nuovo sistema di continuità territoriale definito per la Sardegna impone un modello rigidamente pianificato che finisce per impedire lo sviluppo dell’isola. E grava sui contribuenti, sardi e non sardi.
Cosa sono gli oneri di servizio pubblico
Nel trasporto aereo europeo, gli oneri di servizio pubblico (Pso) consentono agli stati di garantire collegamenti essenziali con aree svantaggiate – come isole o regioni periferiche – dove il mercato, da solo, non assicurerebbe voli regolari o a prezzi accessibili. Lo stato o la regione possono quindi imporre un servizio minimo e compensare economicamente le compagnie aeree per mantenerlo.
Uno strumento utile e legittimo, ma che richiede equilibrio e proporzionalità: se l’intervento pubblico diventa eccessivo o mal mirato, rischia di trasformarsi in un sussidio inefficiente e distorsivo del mercato, più che in un diritto di mobilità. È proprio in questo quadro che nasce la continuità territoriale della Sardegna, la più importante e costosa applicazione italiana di un regime Pso.
Fino a che punto, però, lo stato può intervenire nel mercato, senza alterarne le regole e scoraggiare la concorrenza? È proprio questa la domanda che nasce oggi di fronte al nuovo modello di continuità territoriale della Sardegna.
La continuità territoriale della Sardegna
La continuità territoriale aerea della Sardegna è nata con una finalità chiara: garantire ai residenti dell’isola il diritto alla mobilità alle stesse condizioni economiche dei cittadini della penisola.
Un principio di giustizia territoriale pienamente condivisibile, riconosciuto anche in sede europea come compensazione per uno svantaggio geografico permanente.
Partito circa vent’anni fa, il sistema aveva progressivamente trovato un assetto stabile: le tariffe ridotte per i residenti erano compensate da quelle piene pagate dai non residenti, soprattutto nei mesi estivi. Le compagnie aeree, da parte loro, garantivano un’elevata flessibilità operativa, pur in regime di monopolio, triplicando o addirittura quadruplicando la capacità offerta nei mesi di picco estivo rispetto a quella disponibile in inverno. Un modello bilanciato, gestito per moltissimi anni – sostanzialmente fino al periodo pre- pandemico – da vettori che accettavano, in regime di esclusiva, di operare anche in bassa stagione, sostenendo così un meccanismo che, pur con i suoi limiti, riusciva a funzionare senza gravare sulle finanze pubbliche.
Già con il bando del 2021-2022, scritto sull’onda emotiva del blocco pandemico, si erano manifestate le prime avvisaglie di un uso progressivamente distorto dello strumento della continuità territoriale, con un’estensione sempre più ampia dei benefici e del numero di voli “minimi onerati”, che di fatto impediva ai vettori di operare senza contributi pubblici.
Oggi, con il nuovo bando in vigore dal 2026, l’equilibrio si rompe definitivamente, forse per un eccesso di decisioni dettate dalla ricerca di consenso politico: la regione e il ministero dei Trasporti intervengono direttamente, raddoppiando le rotte sottoposte a oneri di servizio pubblico e mettendo sul tavolo una pioggia di fondi pubblici, stavolta – paradossalmente – anche per sostenere tariffe agevolate estese ben oltre i residenti effettivi, snaturando la logica stessa su cui la continuità territoriale si era fondata e legittimata.
Residenti, non residenti e “quasi residenti”
Il nuovo schema stravolge il concetto di residenza: non solo i cittadini anagraficamente sardi potranno usufruire delle tariffe agevolate, ma anche un’ampia serie di categorie “equiparate”. Ne fanno parte disabili e accompagnatori, studenti universitari fino a 27 anni, giovani sotto i 21, over 70, militari, lavoratori con sede stabile in Sardegna e atleti tesserati in società sportive locali.
A tutto questo si aggiunge la figura dei cosiddetti “quasi residenti”: chi si reca sull’isola per lavoro, i parenti fino al terzo grado (dai figli ai bisnipoti), chi assiste un familiare ai sensi della legge 104/92 o chi è tutore di un residente. Per queste categorie è prevista una tariffa di poco superiore a quella dei residenti, ma comunque ampiamente inferiore al costo effettivo del volo, tanto che in molti casi non copre nemmeno le spese operative della compagnia aerea.
Il risultato è che una quota ormai maggioritaria dei passeggeri potrà volare a prezzi sottocosto, riempiendo gli aerei con biglietti non remunerativi e costringendo lo stato a compensare le perdite con fondi pubblici.
Un’estensione così larga rende impossibile ogni controllo e trasforma una misura di equità in un sussidio indistinto, dove il criterio non è più il bisogno ma, nella migliore delle ipotesi, una sorta di estrazione della lotteria, in cui sarà più facile vincere che perdere il biglietto a tariffa agevolata.
Un bando da 400 milioni che blocca il mercato
Con il nuovo bando, lo stato e la regione mettono sul piatto 95,7 milioni di euro l’anno, ovvero quasi 400 milioni in quattro anni. E pensare che fino a pochi anni fa quelle stesse rotte erano sostenibili senza un euro di sussidio, grazie al naturale equilibrio tra domanda, stagionalità e tariffe libere sui non residenti.
Oggi, invece, la continuità territoriale si trasforma in un sistema rigido, che paga le compagnie non per innovare o attrarre passeggeri, ma per restare confinate dentro regole e vincoli amministrativi. Il paradosso è che il vincitore della gara diventa monopolista per tre anni, ma privo della libertà d’impresa necessaria a far crescere davvero il mercato.
Degli 80 punti su 100 che determinano l’aggiudicazione della gara, la maggior parte riguarda parametri tecnici e burocratici che poco interessano il passeggero sardo: l’età media degli aerei, le connessioni con altri voli, l’utilizzo dei finger aeroportuali e perfino le riduzioni sulle tariffe dei non residenti. Nessuna attenzione, invece, alla qualità del servizio, che si misura nella puntualità, nella regolarità operativa o nell’assistenza a bordo.
Conta solo la capacità di garantire le attività minime pianificate con il minor livello di ricavi possibile, anche nei periodi di massima domanda.
Il risultato è paradossale: da un lato, il bando regionale aumenta a dismisura il numero di passeggeri che volano a tariffe scontate, riducendo i ricavi medi per volo; dall’altro, premia anche quei vettori che scelgono di abbassare ulteriormente i prezzi per i pochi “veri non residenti” rimasti.
Sulla carta, il sistema sembra garantire stabilità e tariffe basse per tutti, ma a guardarlo più da vicino mostra crepe evidenti e rischia di generare più danni che benefici.
Tutti contenti allora?
A prima vista, il nuovo sistema sembra far felici tutti: residenti e non residenti, che volano a tariffe basse, e la politica, che può rivendicare di aver difeso il “diritto alla mobilità”.
In realtà, si tratta di un equilibrio fragile, destinato a non reggere nel momento in cui la domanda in Sardegna esplode, cioè nei mesi del picco estivo.
Il nuovo modello della continuità territoriale potrebbe forse funzionare d’inverno – quando circa un terzo degli aerei di medio raggio in Europa resta a terra per manutenzione o per assenza di domanda – ma diventerebbe insostenibile d’estate, quando le compagnie impiegano la loro flotta sulle rotte turistiche più redditizie: Sardegna (fino a ieri), Sicilia, Grecia, Spagna, ovvero dove il mercato libero consente tariffe flessibili e margini più elevati.
Con questo schema, quindi, la Sardegna, nei prossimi tre o quattro anni, invece di attrarre più voli e turisti, rischia di vederne di meno, proprio perché vincolata dal naturale interesse economico dei vettori aggiudicatari all’impiego dei soli aeromobili necessari a garantire i collegamenti minimi previsti dal bando.
Il sistema, insomma, finirà per bloccare la capacità aerea estiva ai livelli “minimi previsti dal bando”, peraltro ampiamente inferiori a quelli registrati storicamente (esclusi gli anni della pandemia), mettendo così a rischio anche le attività della ricettività, della ristorazione e del turismo di fascia alta: proprio quei settori che più contribuiscono alla crescita dell’isola. Alla fine, dulcis in fundo, a pagare saranno pure i contribuenti italiani, sardi e no, con i 400 milioni di euro di fondi pubblici stanziati per il quadriennio. Ma il prezzo più alto lo pagherà la Sardegna, destinata a cedere terreno in competitività, occupazione e prospettive di sviluppo.
Le inevitabili domande
Alla luce di queste premesse, resta inevitabile porsi alcune domande. Non sarebbe più razionale aprire il mercato, lasciando che la competizione determini i prezzi e riconoscendo un contributo diretto ai soli residenti e invalidi non abbienti, come accade in altri paesi europei?
Quali operatori potranno davvero vincolarsi per tre anni consecutivi, sapendo che il bando impone la disponibilità – per l’intero pacchetto di rotte – di otto aeromobili in inverno e sedici in estate, a fronte di ricavi plafonati e margini ridotti? E a quale prezzo?
È sostenibile per lo stato e la regione impegnare fino a 400 milioni di euro in un sistema che limita la concorrenza, senza garanzia di risultati in termini di sviluppo economico o turistico?
Ha senso che collegamenti strategici – come quelli da e per Cagliari, che valgono milioni di passeggeri l’anno – siano gestiti secondo una logica amministrata, più vicina al controllo pubblico che all’efficienza industriale?
La domanda finale, in fondo, è semplice: la Sardegna può continuare a crescere se resta legata a un modello rigidamente pianificato che, nel tentativo di acquisire consenso politico tra chi vi risiede (e vota), finisce per impedire lo sviluppo del suo potenziale turistico ed economico, mantenendo l’isola isolata proprio nel nome della “continuità”?
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