Una donna su tre ha subito una violenza fisica o sessuale nel corso della propria vita. L’indagine Istat sul tema conferma una situazione difficile, pur qualche progresso. A preoccupare è la visione stereotipata dei ruoli sociali espressa dai più giovani.
I numeri dell’indagine Istat
Il 21 novembre 2025 Istat ha pubblicato i primi risultati dell’indagine “Benessere e sicurezza delle donne”, che ha raggiunto circa 17.500 donne italiane. La ricerca, che è armonizzata a livello internazionale (si vedano le indagini Eurostat e Eige-Fra), rivela che il tasso di prevalenza della violenza maschile sulle donne nel nostro paese è simile al dato medio rilevato a livello europeo: in Europa, una donna su tre ha avuto un’esperienza di violenza fisica o sessuale nel corso della propria vita. In Italia la percentuale è del 31,9 per cento. Si tratta di circa 6 milioni e 400mila e, certamente, il numero assoluto spaventa molto più della percentuale, quando si pensa che così tante donne, di età compresa tra i 16 e i 75 anni, sono state minacciate o hanno subito tentativi di strangolamento o soffocamento, oppure sono state molestate con contatto fisico non voluto (19,2 per cento) o addirittura subito uno stupro o un tentato stupro (5,7 per cento).
La violenza sessuale avviene soprattutto nel contesto domestico, contrariamente all’immaginario costruito su questo reato. Infatti, i partner, attuali ed ex, sono responsabili della quota più elevata di tutte le forme di violenza fisica rilevate, con quote superiori al 50 per cento.
Figura 1 – Donne italiane dai 16 ai 75 anni che hanno subito violenza nel corso della vita da un uomo, per forme di violenza subita e tipo di autore. Anno 2025 (per 100 donne con le stesse caratteristiche)

Riguardo alle violenze fisiche all’interno della coppia, 323.530 donne vivono situazioni legate ai maltrattamenti fisici (il 2,2 per cento di quelle attualmente con un partner), mentre sono il 15,9 per cento quelle che le hanno subite da un ex, ovvero 1 milione e 720mila.
La violenza è anche psicologica ed economica
Anche per quanto riguarda i dati sulle forme di violenza psicologica, l’indagine rivela quanta strada ancora rimane da percorrere nelle relazioni coniugali o di convivenza e negli equilibri di potere nella coppia. Subiscono, infatti, violenza psicologica il 17,9 per cento delle intervistate. Vive in questa condizione il 3,5 per cento delle donne che sono attualmente in coppia, e il 27,9 per cento delle donne l’ha subita da parte di ex partner.
Cosa significa subire violenza psicologica per le donne che vivono in coppia? Significa sperimentare gravi situazioni di isolamento (10,6 per cento), di controllo (12,6 per cento), di svalorizzazione e violenza verbale (9,6 per cento), significa subire minacce e intimidazioni (8,8 per cento).
Tra le donne che riportano di aver subito questa forma di violenza dall’ex partner, il 21 per cento dichiara di aver avuto paura di esprimere la propria opinione in sua presenza. L’indagine rivela inoltre che il controllo sulla vita della donna arriva a condizionare le scelte di pianificazione familiare (il 3,2 per cento delle donne che vivono in coppia e il 6,4 per cento l’ha subito da parte di un ex) e limitazioni all’accesso di cure mediche (rispettivamente l’1,8 per cento e il 6,4 per cento).
L’indagine offre dati anche sul fenomeno della violenza economica. Peraltro, la sentenza n. 1268 del 13 gennaio 2025 della Corte di Cassazione – Sez. VI – ha permesso di fare un importante passo in avanti nella definizione di questa forma di violenza, dando elementi concreti che aiutano a configurarla nel delitto di maltrattamenti, di cui all’art. 572 del codice penale. In linea con la legislazione sovranazionale e in particolare con la Convenzione di Istanbul, la Corte di Cassazione definisce come reato tutte quelle condotte volte a osteggiare la coniuge nella ricerca di una attività lavorativa, imporle un ruolo casalingo sulla base di una unilaterale e discriminatoria ripartizione dei ruoli, costringendola così ad abbandonare le proprie ambizioni professionali, imponendo un sistema di potere asimmetrico all’interno del nucleo familiare. La pronuncia assume particolare rilevanza poiché, facendo espresso richiamo alla normativa europea, riconosce quella economica come una peculiare forma di violenza equiparabile a quella fisica e psicologica.
L’indagine dell’Istat rileva un insieme di comportamenti che rientrano in tale fattispecie di reato per le donne in coppia: impedimento di conoscere il reddito familiare (2,5 per cento), di avere una carta di credito o un bancomat (1,9 per cento), di usare il proprio denaro (2,7 per cento) di lavorare (3,3 per cento) e il danneggiamento delle cose e degli oggetti personali (2,3 per cento). Il 10,2 per cento delle donne ha subito queste forme di violenza da parte dei partner precedenti.
Figura 2 – Donne italiane dai 16 ai 70 anni che nei 5 anni precedenti l’intervista hanno subito violenza fisica o sessuale da un uomo, per alcune caratteristiche della violenza e tipo di autore. Anni 2014 e 2025 (per 100 vittime con le stesse caratteristiche)

Segnali positivi, ma anche nuove preoccupazioni
Rispetto alle precedenti edizioni dell’indagine, Istat raccoglie diversi segnali positivi, ma anche due importanti indicazioni negative.
Tra gli elementi positivi va segnalata una crescita di consapevolezza da parte delle donne che subiscono violenza: ad esempio, le donne che avevano un partner violento al momento dell’intervista, lo hanno poi lasciato in quasi la metà dei casi (45,9 per cento), mentre per un altro 26,3 per cento la violenza è stata solo una delle motivazioni della separazione. Aumentano dal 30,1 al 36,3 per cento le vittime che considerano un reato la violenza subita dal partner e raddoppia la percentuale delle richieste di aiuto ai centri antiviolenza e agli altri servizi specializzati (dal 4,4 del 2014 all’8,7 per cento del 2025). Muta la percezione della gravità attribuita dalle vittime alle violenze subite: l’82,3 per cento giudica l’episodio molto o abbastanza grave, contro il 77,7 per cento del 2014.
Peraltro, si tratta di dati in linea con quanto emerso da altre fonti inerenti la protezione delle donne, come le chiamate al numero di pubblica utilità 1522 (il numero contro la violenza e lo stalking) e la rilevazioni sulle prestazioni e servizi offerti dai centri antiviolenza.
La protezione che manca
È invece un segnale negativo la scarsa propensione alla denuncia: rispetto al 2014 non aumenta la quota di chi denuncia la violenza da parte dei partner (intorno al 10 per cento le denunce delle violenze subite negli ultimi cinque anni) e non aumenta la condivisione con altri delle esperienze vissute. Il 22,5 per cento delle vittime della violenza nella coppia non ne ha mai parlato e lo ha fatto per la prima volta con l’intervistatrice. La percentuale sale al 37,8 per cento se la donna è ancora in coppia con il partner violento.
Le poche denunce sono forse dovute anche alla scarsa fiducia nel lavoro delle forze dell’ordine e, in generale, al sistema di protezione legale. Infatti, rispetto al 2014, diminuisce la soddisfazione verso polizia e carabinieri dal 48,7 al 38,2 per cento per le vittime che hanno denunciato la violenza subita dai partner. Molte di loro ritengono che l’intervento non sia abbastanza incisivo: il 55,1 per cento auspica un’azione più decisa nei confronti del colpevole, il 37,7 per cento chiede un aiuto immediato più concreto, il 21,3 per cento vorrebbe ricevere maggiori informazioni e il 4,2 per cento una maggiore tempestività. Il 29 per cento desidererebbe che la denuncia fosse presa in considerazione più seriamente e che fosse offerto un sostegno più attento e partecipe; il 23,4 per cento chiede protezione e supporto per allontanarsi da casa, mentre il 44,6 per cento ritiene necessario l’allontanamento del violento dalla propria abitazione. I dati sembrano dunque confermare quel vuoto di protezione emerso drammaticamente in alcuni recenti fatti di cronaca, con: vittime di femminicidio che avevano presentato denunce a cui non sono seguite misure di protezione concrete; o quando ci sono state sono risultate poco efficaci.
Quel che accade alle giovanissime
Il secondo segnale di peggioramento riguarda la giovane età delle vittime di violenza, e anche in questo caso ne sono una spaventosa conferma gli ultimi femminicidi. Se si confrontano i dati del 2025 con quelli del 2014, emerge un aumento significativo delle violenze subite dalle giovanissime – tra i 16 e i 24 anni: si passa dal 28,4 al 37,6 per cento, mentre nelle altre fasce d’età i dati sono in diminuzione o stabili. L’incremento riguarda in particolare le violenze di natura sessuale, che crescono dal 17,7 al 30,8 per cento, mentre le violenze fisiche mostrano variazioni più contenute.
Questo dato può stupire, ma non più di tanto se lo si avvicina ai risultati di un’altra indagine Istat, pubblicata a luglio 2025, sul tema degli stereotipi di genere e l’immagine sociale della violenza tra le nuove generazioni. Come si vede dai dati (figura 3), tra i giovani è ancora alta la percentuale di coloro che ritengono la donna parzialmente responsabile della violenza subita.
Figura 3 – Ragazzi e ragazze (14-19 anni) molto o abbastanza d’accordo con alcune affermazioni sulla violenza sessuale, Anno 2023, per 100 persone dello stesso sesso ed età

Esiste inoltre una visione stereotipata dei ruoli sociali delle ragazze e dei ragazzi, a testimonianza del lungo lavoro da fare sull’educazione e sul rispetto. Perché mancanza di rispetto della diversità, di riconoscimento del valore dell’altro e delle sue decisioni sono esattamente gli elementi alla base degli sforzi per ridurre gli squilibri di genere e dei comportamenti di violenza, basati appunto sul genere, nella nostra società.
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Ricercatrice senior presso l'ISTAT è stata Esperta Nazionale distaccata presso l'Istituto Europeo per l'Uguaglianza di Genere (EIGE). Dottore di ricerca in Analisi dei Sistemi Sociali e delle Politiche Pubbliche presso l'Università di Roma, ha svolto attività di ricerca socio-economica adottando un approccio di mainstreaming di genere e supportando gli stakeholder e i policy maker nella pianificazione, nel
monitoraggio e nella valutazione dell'impatto di programmi e progetti gender-responsive. All'ISTAT, ha
contribuito allo sviluppo del data warehouse del Sistema Integrato della Violenza contro le Donne, adottando l'approccio multi-source.
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