Se il turismo internazionale cresce, altrettanto non si può dire per viaggi e vacanze degli italiani. Il calo strutturale riguarda anche vacanze brevi e viaggi di lavoro. Trasporti più veloci e tecnologie consentono infatti riunioni e lavoro a distanza.
Alla comunicazione corrispondono fatti?
Da quando è stato re-istituito il ministero del Turismo, e in particolare sotto il dicastero Santanchè iniziato a ottobre 2022, la comunicazione istituzionale del settore ha fatto passi da gigante: infografiche periodiche, comunicati a getto continuo, e recentemente anche un vero e proprio epinicio in occasione dell’audizione parlamentare del ministro del 10 dicembre scorso.
E le buone notizie da comunicare ci sono. Se si considera il periodo 2019-2024, è aumentato il numero di presenze (notti) di stranieri nelle strutture ricettive da 221 milioni a 254 milioni, e secondo la Banca d’Italia la spesa dei turisti stranieri in Italia è passata da 44 a 54 miliardi di euro.
Ma nelle tante pagine del testo portato dal ministro alla Commissione attività produttive, che illustra con dovizia di particolari le azioni svolte e i successi conseguiti, c’è un altro dato che rimane tra le pieghe, forse perché non altrettanto lusinghiero: la domanda interna di viaggi e vacanze non tiene il passo con quella dei turisti stranieri che scelgono l’Italia.
Le diverse fasi nei dati Istat
Al di là di tanti dati “glamour”, magari episodici o solo presunti, la domanda nazionale, quella che conta quanti italiani si dedicano al turismo e come lo fanno, viene rilevata con estrema serietà e sistematicità dall’Istat, mediante una apposita indagine campionaria lanciata nel 1959 e condotta ogni anno.
L’indagine registra a consuntivo quanti viaggi in totale gli italiani hanno fatto nel corso degli anni e dalla serie storica emerge una tendenza piuttosto netta: c’è stata una forte crescita tra il 1997 e il 2010, arrivando fino a 107,6 milioni, in media quasi due viaggi per persona residente; si è poi verificato un crollo nei sei anni successivi, con un valore del totale viaggi che si è più che dimezzato; un “ripresina” ha caratterizzato il periodo 2015-2018; ma già dal 2019, e quindi prima del Covid, le cose hanno cominciato a peggiorare, aggravate come ovvio dalla pandemia e dai relativi divieti; anche la successiva stagione di “revenge travelling” sembra essere stata di scarsa consistenza e di brevissima durata; la curva negativa si è quindi riallineata verso il basso fino a tutto il 2024, e anche i dati per il 2025 -ovviamente ancora provvisori- non sembrano avere invertito la tendenza.
Figura 1
Una crisi senza precedenti
Si può ben dire, quindi, che siamo in piena crisi strutturale, con un volume fisico di consumo che si è ridotto dai 107,603 milioni di viaggi nel 2009 a 45,857 nel 2024: in 15 anni abbiamo perso 61,746 milioni di viaggi, ben oltre la metà del nostro record massimo. E la meta non fa differenza: l’andamento tra viaggi in Italia e all’estero è simile.
L’indagine Istat non ci consente di valutare l’aspetto economico, ma è evidente che un dato così devastante non fa certo bella figura in un comunicato del ministero del Turismo.
Indicare le cause non è facile né immediato, ma la riduzione del potere d’acquisto correlata all’inflazione e alla compressione dei salari devono per forza aver giocato un ruolo fondamentale nel mortificare questo come altri consumi.
Ci sono però aspetti corollari molto interessanti da considerare, proprio grazie alla chiarezza e all’affidabilità della fonte dei dati.
Il ruolo pro-ciclico delle microvacanze
Da quando l’Istat, nel 1997, ha iniziato a rilevare anche i viaggi brevi da una a tre notti, oltre a quelli “lunghi” di quattro e più notti, è apparso chiaro che il nuovo fenomeno avrebbe fortemente influenzato sia i comportamenti degli italiani, che gli atteggiamenti delle imprese turistiche: in una parola, il mercato.
Si era ipotizzato che le vacanze brevi avrebbero in qualche modo sostituito quelle lunghe in momenti di congiuntura economica negativa. Le serie storiche di lungo periodo dimostrano il contrario; la quota di vacanze brevi sul totale, infatti, è massima quando le vacanze sono tante, minima nei periodi avversi.
Non si tratta quindi di prodotti sostitutivi o complementari, ma semmai aggiuntivi: non “il pane o le rose”, ma “il pane e le rose”.
L’agonia dei viaggi di lavoro
Vale anche la pena analizzare separatamente le due fondamentali componenti dei viaggi: le vacanze-leisure e gli spostamenti lavoro-business.
Figura 2
Istat – come correttamente prescritto dalle convenzioni statistiche internazionali – rileva solo i viaggi che danno luogo a pernottamenti. E il dato sulle notti trascorse fuori casa dagli Italiani per lavoro è passato da un massimo di 102 milioni nel 2003, a un minimo nell’ultimo anno disponibile, di 13, 7 milioni.
Quindi in 21 anni il turismo italiano ha perso quasi 89 milioni di notti di viaggi per lavoro, un segmento che è ormai ridotto al lumicino. Poco sembra aver contato il Covid, mentre tra le altre concause certamente pesano la velocità, l’efficienza e la convenienza dei trasporti, dall’alta velocità ferroviaria al point-to-point delle linee aeree low cost. E conta l’enorme diffusione dei sistemi di connessione online, che sostengono la grande tendenza al lavoro da remoto, quando non addirittura il nomadismo digitale.
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