La direttiva Mifid disciplina i servizi di investimento nell’Unione Europea. Presto ne entrerà in vigore una versione profondamente rivista, che aumenta la trasparenza verso i risparmiatori. Soprattutto in Italia, comporterà la fine di prassi obsolete che hanno regolato il mercato negli ultimi decenni.

La direttiva Mifid, che disciplina i servizi di investimento nei paesi dell’Unione Europea, è stata approvata nel 2004 e, dopo l’emanazione di direttive applicative (di secondo livello), è stata recepita nei diversi ordinamenti nazionali, Italia inclusa, nel 2007.
La direttiva conteneva clausole di revisione che prevedevano una manutenzione della normativa alla fine del primo triennio di applicazione.
I primi tre anni di vita della Mifid hanno coinciso con una fase di profonda instabilità dei mercati finanziari: ciò ha reso ancor più indispensabile, anche in virtù di impegni assunti nel quadro degli accordi del G20, una revisione della normativa al fine di assicurare una maggiore protezione degli investitori e una maggiore uniformità nell’applicazione nei diversi paesi europei.
La revisione è stata avviata nel 2010 con una pubblica consultazione; nell’ottobre 2011 la Commissione europea ha adottato un testo che costituisce la proposta di modifica della direttiva – più precisamente, si tratta di una proposta di una nuova direttiva (Mifid 2) e di un regolamento (Mifir).

LA PROPOSTA DELLA COMMISSIONE EUROPEA

Le tematiche sulle quali si sofferma la proposta della nuova direttiva sono molteplici, trasparenza e integrità dei mercati, high frequency trading, istituzione e gestione di Otf (Organised Trading Facility), regole di trasparenza pre e post trading, accesso ai mercati europei da parte di intermediari di paesi terzi.
Nell’ambito della protezione degli investitori sono introdotte alcune novità importanti nella disciplina del servizio di consulenza in materia di investimenti.
In primo luogo, si trova una conferma dell’ampia definizione di consulenza finanziaria e della sua rilevanza nell’ambito dei servizi di investimento.
La novità più rilevante è l’introduzione di una specifica tipologia di consulenza definita “indipendente”, nella quale si prevede l’obbligo di considerare, per le raccomandazioni di investimento, un’ampia gamma di emittenti e di strumenti finanziari, in particolare non limitandosi agli strumenti o prodotti finanziari emessi o gestiti dalle società del gruppo di appartenenza, e il divieto di percepire “incentivi” da società terze, ossia le retrocessioni di commissioni da parte delle società-prodotto.
Il Recital n. 52 della proposta della Commissione europea chiarisce infatti che “al fine di definire ulteriormente il contesto all’interno del quale viene prestato il servizio di consulenza in materia di investimenti (…) risulta appropriato stabilire le condizioni per l’offerta di questo servizio, quando esso viene prestato su base indipendente. Al fine di rafforzare la protezione degli investitori e di accrescere l’informativa ai clienti in merito al servizio ricevuto, risulta appropriato restringere ulteriormente la possibilità per le società di investimento di accettare o ricevere incentivi da terze parti, e particolarmente da fornitori di prodotti finanziari nell’ambito del servizio di consulenza e di gestione patrimoniale”.
Vengono quindi introdotti nuovi obblighi di comportamento per tutte le società e gli intermediari che offrono questo servizio alla clientela “retail”: il cliente deve essere preventivamente informato su la tipologia della consulenza offerta (indipendente o non) e se il monitoraggio delle raccomandazioni viene effettuato su base continuativa.

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LA POSIZIONE DEL PARLAMENTO EUROPEO

La proposta della Commissione europea ha suscitato molte discussioni e opposizioni tra alcune associazioni rappresentanti delle banche e degli altri intermediari, soprattutto in Francia e in Italia. I paesi del Nord Europa, in particolare Gran Bretagna (nella quale sta per entrare in vigore la normativa nazionale Retail and Ditribution Review) e Olanda, ne sono invece i maggiori sostenitori.
Le opposizioni allo schema della Commissione hanno trovato riscontro nella posizione assunta dal Parlamento europeo, e in particolare dalla commissione per i problemi economici e monetari, (Econ), che ha formulato alcune proposte di modifica del testo, sulla base di un rapporto elaborato da Mirkus Ferber.
Gli emendamenti della commissione Econ cancellano di fatto la tipologia di “indipendenza” nel servizio di consulenza e sostituiscono il divieto della percezione degli incentivi con un obbligo di maggiore trasparenza e disclosure alla clientela. Viene altresì consentito ai diversi Stati membri di introdurre disposizione più vincolanti in tema di incentivi.
Il Parlamento europeo ha approvato la proposta, in seduta plenaria, il 26 ottobre.

IL COMPROMESSO DEL CONSIGLIO EUROPEO

Il Consiglio europeo, prima con la presidenza danese, poi, dopo il 30 giugno, con quella cipriota, ha proposto numerosi testi di compromesso che costituiscono la base per la negoziazione che si svilupperà nei prossimi mesi (il cosiddetto trilogo) tra Commissione, Parlamento e Consiglio europeo.
Si prevede che la negoziazione produrrà l’esito finale, il compromesso “politico”, nei primi mesi del 2013. Se i tempi verranno rispettati, occorreranno circa altri diciotto mesi per l’approvazione delle direttive applicative (di secondo livello); il recepimento negli ordinamenti nazionali dovrebbero quindi verificarsi entro la fine del 2014 o nei primi mesi del 2015, quando finalmente la nuova direttiva sarà definitivamente in forza in tutti i paesi europei.

ALCUNE PARZIALI CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE

Nei prossimi mesi il negoziato tra le istituzioni europee approderà a un testo definitivo della direttiva Mifid 2 che, con molta probabilità, introdurrà una forte soluzione di continuità rispetto alla prassi di mercato prevalente in molti paesi europei e segnatamente in Italia.
L’industria dei prodotti finanziari è infatti strutturata in modo tale che la remunerazione della distribuzione di questi prodotti, che ne assorbe la maggior parte del valore aggiunto, avviene secondo modalità non trasparenti.
Il cliente, acquistando e detenendo un prodotto finanziario, paga le relative commissioni, ma non conosce come queste somme vengono distribuite tra i soggetti coinvolti, fabbrica-prodotto, distributore-promotore, banca depositaria eccetera.
Non è quindi di facile identificazione il conflitto di interesse che grava sul soggetto che distribuisce i prodotti finanziari: fino a che punto cioè la raccomandazione di un prodotto finanziario è coerente con l’interesse del cliente? Oppure il suggerimento deriva da un interesse del promotore o distributore rappresentato da un maggior guadagno (incentivo) e quindi soggetta a distorsioni?
La linea guida alla quale si ispira la proposta della Commissione europea è il ristabilimento di un maggiore grado di fiducia degli investitori nei riguardi dell’industria finanziaria, così gravemente compromesso dalla crisi finanziaria degli ultimi anni.
L’industria dei prodotti finanziari è chiamata a una importante sfida di maggiore trasparenza ed equità nei confronti dei risparmiatori, nella quale emergeranno nuove professioni e declineranno le prassi obsolete che hanno regolato il mercato in questi decenni. Alcuni vinceranno, altri cambieranno mestiere. Nella speranza che il risparmio e la sua gestione ne escano rafforzati.

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* Massimo Scolari è Segretario generale di Ascosim, associazione delle Sim di consulenza

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