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Due turni “con quote di Parlamento”

La sentenza della Corte costituzionale ha reso inevitabile la modifica della legge elettorale. Ma l’accordo sul sistema da scegliere è ancora lontano. Ecco una proposta di compromesso tra uno e due turni, e tra maggioritario e proporzionale. Soglia di sbarramento e rappresentanza delle minoranze.

QUALE LEGGE ELETTORALE?

La scelta fra sistema elettorale proporzionale e sistema maggioritario, ineludibile dopo che la Corte costituzionale ha bocciato il premio di maggioranza e le liste bloccate, ha un sicuro rilievo teorico, perché occorre garantire sia la rappresentanza in Parlamento delle istanze di quei cittadini che non si identificano con le idee dei due partiti maggiori, sia la governabilità, che col maggioritario ha più garanzie di successo. D’altra parte, si sente l’esigenza di limitare il numero di partiti, perché la dispersione attuale non rispecchia altrettanti distinti modelli di società.
Il problema ha pure un rilievo dal punto di vista pratico perché il Parlamento è costituito attualmente da deputati e senatori di molti partiti che vedrebbero compromessa la loro permanenza qualora si scegliesse un sistema maggioritario e quindi ne ostacolano l’adozione. Così, la legge elettorale è rimasta in panne per anni prima della sentenza della Consulta. Anche adesso che le forze politiche sembrano indirizzarsi verso un maggioritario a doppio turno nascono tensioni all’interno del governo proprio per questi motivi.

LA PROPOSTA

Un compromesso tra sistema proporzionale e sistema maggioritario è quello che chiamerò “consultazione a due turni con quote di Parlamento”. Con una legge elettorale di questo tipo:

  • si garantisce una rappresentanza a tutti i partiti;
  • vengono favoriti i due partiti maggiori;
  • le quote dei partiti in Parlamento sono decise dagli elettori con il loro voto come chiede la Consulta.
  • sono possibili le preferenze come chiede la Consulta.

Lo scopo della “consultazione e a due turni con quote di Parlamento” è quello di facilitare un accordo in Parlamento tra sostenitori del proporzionale e sostenitori del maggioritario che possa abbreviare i tempi di definizione del nuovo modello elettorale e risolvere così un problema che affligge il paese.
Il metodo è molto semplice: in un primo turno si vota una quota del Parlamento in modo proporzionale fra tutti i partiti e in un secondo turno la rimanente quota in modo maggioritario esclusivamente fra i due partiti che hanno raggiunto il maggior numero di suffragi al primo. La tabella 1 fornisce un esempio per un Parlamento di cinquecento deputati.

Tabella 1 – Numero di deputati eletti al primo e secondo turno in dipendenza della scelta della percentuale di Parlamento eletta al primo turno
Schermata 2014-12-31 alle 21.07.01

La frazione di Parlamento eletta al primo turno rappresenta anche il rapporto tra numero di parlamentari e numero di voti ottenuti da un partito minore.
Il vantaggio percentuale che ottengono complessivamente i due partiti che passano al secondo turno è pari allo svantaggio complessivo dei partiti che non passano. La tabella 2 indica come varia il vantaggio in una possibile situazione italiana.

Tabella 2 – Percentuale di deputati complessivi dei due partiti maggiori in funzione dei voti ottenuti complessivamente al primo turno e della percentuale di Parlamento eletta al primo turno (tra parentesi il vantaggio ottenuto in termini percentuali)
Schermata 2014-12-31 alle 21.07.12

Il vantaggio percentuale ottenuto complessivamente verrebbe diviso tra i due partiti maggiori in modo proporzionale alla percentuale di voti ottenuti al secondo turno. È possibile anche definire un modo di divisione del vantaggio così che sia garantita la maggioranza assoluta al partito maggiore.
Ma analizziamo più in dettaglio i meccanismi della proposta. Nel primo turno, dunque, si elegge una frazione di parlamentari a partire dai candidati di tutti i partiti. La scheda presenta i simboli di tutti i partiti, ma senza possibilità di aggregazione degli stessi (questo vincolo dovrebbe alla lunga portare a una riduzione del numero di partiti perché quelli minori sono penalizzati dal sistema elettorale) e per ogni partito è indicata la lista dei candidati; l’elettore ha la possibilità di esprimere le preferenze per i soli candidati del partito prescelto (non si parla in questa proposta della scelta del capo del governo). I candidati si possono presentare in un solo collegio.
Nel secondo turno si elegge la rimanente frazione: la scheda conterrà i soli simboli dei due partiti che hanno ottenuto il maggior numero di voti a livello nazionale al primo turno. La croce sull’uno o l’altro comporterà la scelta dei candidati con maggiori preferenze tra quelli che non erano stati eletti.
Il fatto che il passaggio al secondo turno venga determinato in base alla maggioranza a livello nazionale rende relativamente poco rilevante la dimensione del collegio. Assumendo un parlamentare ogni centomila elettori e di conseguenza un Parlamento di 400-500 deputati, le dimensioni ottimali dei collegi elettorali dovrebbero essere intorno a un milione di elettori, in modo da eleggere circa dieci deputati, coincidendo talvolta con le attuali circoscrizioni. I rappresentanti dei partiti minori verrebbero eletti quasi esclusivamente utilizzando i resti, contati prima a livello di circoscrizione e poi a livello nazionale. Dunque, le attuali circoscrizioni appaiono adeguate in quanto garantiscono i diritti delle minoranze.
Il sistema proposto rappresenta un compromesso tra un turno e due turni e tra proporzionale (con eventuale soglia di sbarramento al primo turno) e maggioritario. La discussione sarebbe soltanto nel definire l’ampiezza della quota di parlamentari da eleggere al primo turno: i sostenitori del proporzionale la vorranno più alta, quelli del maggioritario più bassa. A mio avviso, un valore pari o inferiore al 50 per cento darebbe i migliori risultati.
In alternativa al sistema a due turni appena descritto potrebbe essere utilizzato un sistema a un solo turno con due preferenze (di partito). Funzionerebbe così: all’elettore vengono consegnate due schede, una uguale a quella per il primo turno del sistema prima descritto e una simile a quella del secondo turno.
L’unica differenza sistema a due turni è che nella seconda scheda l’elettore vede i simboli di tutti i partiti invece che quelli dei soli due partiti che hanno ottenuto il maggior numero di voti al primo turno. I voti che andranno a partiti diversi dai primi due saranno annullati.
In una situazione come quella italiana in cui tre partiti superano il 20 per cento, è presumibile che gli elettori votino per il loro partito sia sulla prima che sulla seconda scheda, per non indebolirlo qualora risultasse tra i primi due. In questo caso, tutti i voti sulla seconda scheda del partito risultato terzo verrebbero annullati. Se la percentuale complessiva dei primi due partiti è del 65 per cento, quella del terzo del 25 per cento e quella dei rimanenti del 10 per cento, il 71 per cento dei voti degli elettori che potrebbero dare un contributo nuovo alla scelta tra i due partiti maggiori verrebbe annullato.
È questo lo svantaggio maggiore del sistema ad un turno con due schede: l’elettore non sa quale sarà la situazione in base alla quale effettuare la seconda scelta. La situazione, invece, è nota nel sistema a due turni, e ciò consente di indirizzare correttamente la scelta. Credo che questo fatto compensi sufficientemente il maggior costo del sistema a due turni.

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Appendice e ulteriori tabelle

1 – Calcolo della percentuale di seggi in Parlamento Pp in funzione delle percentuale di voti ottenute al primo e secondo turno p1 e p2 e della frazione di parlamentari eletta al primo turno q1

Pp =p1* q1 + p2 * (1-q1)

Tale funzione è riportata in forma tabellare in funzione di p1 e p2 nelle tabelle A1, A2 e A3 per diversi valori di q1. La colonna p2=0 indica le percentuali dei partiti che non sono passati al secondo turno

2 – Calcolo del vantaggio Dpc nella percentuale di seggi in Parlamento ottenuto complessivamente dai due partiti maggiori

Dpc = p1min * (1-q1) = (100 – p1mag) * (1-q1)

Ove p1min, p1mag indicano rispettivamente le percentuali ottenute complessivamente dai partiti minori e maggiori al primo turno

3 – Calcolo del vantaggio ottenuto da ciascuno dei due partiti maggiori in funzione della percentuale di voti ottenuta al secondo turno

Dp = p1min * (1-q1) * p2 /100

4 – Determinazione del modo di ripartizione dei deputati tra i due partiti del secondo turno in modo che sia garantita la maggioranza assoluta al primo partito.

Sia f1 la frazione di deputati da assegnare al partito che vince al secondo turno perché ottenga la maggioranza assoluta.

Deve essere:

0,5  *  q1 * (1- p1min/100) + f1 * (1-q1)= 0,5

cioè:

f1 = (0,5 – 0,5 * q1 * (1- p1min/100) /  (1 – q1)

cioè:

f1 =  0,5 * (1 – q1 + q1 * p1min/100) /  (1-q1)

f1 = 0,5 + 0,5* (p1min/100) * q1/(1-q1)

La frazione di deputati eletti al secondo turno che deve essere assegnata al primo partito in modo da garantire la maggioranza assoluta è indicata in tabella A4 in funzione della percentuale di Parlamento eletta al primo turno e della percentuale di voti ottenuta complessivamente al primo turno dai 2 partiti maggiori

Tabella A1 – Percentuale di parlamentari pr in funzione delle percentuali di voti al primo e secondo turno per q1 =25%
Schermata 2014-12-31 alle 21.08.10

Tabella A2 – Percentuale di parlamentari pr in funzione delle percentuali di voti al primo e secondo turno per q1 =50%
Schermata 2014-12-31 alle 21.08.15

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Tabella A3 – Percentuale di parlamentari pr in funzione delle percentuali di voti al primo e secondo turno per  q1 =75%
Schermata 2014-12-31 alle 21.08.19

Tabella A4 – Percentuale di deputati eletti al secondo turno che deve essere assegnata al primo partito in modo da garantire la maggioranza assoluta in funzione della percentuale di Parlamento eletta al primo turno e della percentuale di voti ottenuta complessivamente al primo turno dai due partiti maggiori (Valori superiori a 100 indicano che la maggioranza assoluta non è ottenibile)
Schermata 2014-12-31 alle 21.08.23

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15 commenti

  1. Luigi Di Porto

    MI sembra troppo complicato. Un buon sistema elettorale deve essere semplice perché il cittadino deve capire cosa sta facendo, deve sapere chi sta eleggendo. In una democrazia rappresentativa io devo sapere chi sto delegando a rappresentarmi.
    Non capisco perché ci si voglia impedire di scegliere direttamente i nostri rappresentanti.
    In ogni circoscrizione di 100.000 abitanti (dimensione che permette di conoscere e valutare le persone in lizza) chi prende più voti va al parlamento, si può al massimo fare un doppio turno per evitare che qualcuno passi con percentuali troppo basse.
    Se un partito non eccelle in nessuna circoscrizione se ne sta a casa, vorrà dire che non avremo più i partiti di Casini, Vendola, Alfano, Monti e ce ne faremo una ragione.
    Mi sembra che sistemi così complessi servano più alla classe politica che alla cittadinanza.

    • Pierino

      Il sistema proposto nel commento, basato su collegi uninominali di dimensioni ridotte, non risolve uno dei problemi che si vorrebbero risolvere con la nuova legge elettorale, cioè quello della governabilità. Garantire governabilità e rappresentatività richiede necessariamente un certo grado di complessità e di compromesso tra esigenze diverse.

  2. Roberto

    Io parto dal presupposto che il sistema elettorale debba essere semplice, trasparente e che garantisca la governabilità.
    Trovo buona la proposta di legge elettorale che prevede il doppio turno con il 50% dei seggi assegnati a ciascun turno.
    Naturalmente va precisato che i seggi vengono assegnati ai partiti ed al ballottaggio vanno i 2 partiti che hanno ottenuto più voti al primo turno, questo per ribadire la necessità di eliminare le coalizioni che tanti problemi hanno creato a livello decisionale.
    Per quanto riguarda l’assegnazione dei seggi, anch’io sono favorevole alle preferenze però non prenderei in considerazione le circoscrizioni/collegi ma le regioni.
    Ogni candidato può presentarsi in una sola regione (si potrebbe stabilire che sia la regione di residenza) e viene eletto, all’interno dei seggi assegnati al partito, chi ha la percentuale più alta di preferenze in rapporto ai votanti per regione.
    Per l’assegnazione dei seggi al secondo turno va bene la proposta dell’articolo, quindi adattandola al mio sistema sarebbero scelti i candidati non eletti al primo turno con la maggiore percentuale di preferenze sempre in proporzione regionale.
    Sulla proposta delle 2 schede in un unico turno invece non sono d’accordo perché troppo complessa e rischia di creare confusione nelle scelte dei cittadini.
    Se proprio si vuole fare un turno unico si può utilizzare una soglia di sbarramento alta (ad esempio 10%) ed utilizzare questo residuo come premio di maggioranza al primo partito, ma potrebbe non bastare a garantire la governabilità.
    Altrimenti si potrebbero assegnare i seggi in base alla percentuale di voti realmente ottenuta e dare un premio di maggioranza al primo partito basato sulla percentuale dei non votanti, in questo modo si incentiverebbe le persone ad andare a votare però rimarrebbe il rischio di ingovernabilità (a meno di non aggiungere anche uno sbarramento e sommarlo al premio di maggioranza dei non votanti).

    • Pierino

      Concordo con la maggior parte delle osservazioni di Roberto, vorrei sapere dove trovare il suo sistema. L’ allargamento dei collegi a dimensione regionale rischia di allontanare troppo i candidati dalla base elettorale. L’ipotesi delle due schede in un turno unico era stata considerata nell’articolo ai fini di una possibile riduzione dei costi ma scartata per la sua inefficienza. La proposta di dare un premio di maggioranza basato sulla percentuale di non votanti non risolve il problema della governabilità, come già affermato nel commento.

      • Roberto

        Il mio sistema me lo sono studiato da solo confrontando le varie proposte lette.
        Io credo che l’allargamento dei collegi a dimensione regionali sia la scelta migliore perché riduce sensibilmente la possibilità di voto di scambio che spesso accade nelle piccole circoscrizioni italiane.
        Inoltre viene ribadita l’importanza delle regioni e di avere una sola possibilità per i candidati.
        Con la proposta di dare un premio di maggioranza in base alla percentuale dei non votanti si corre il rischio di non avere la governabilità ma sicuramente si hanno molte più chance di governabilità rispetto al sistema proposto dall’articolo.
        Esempio attuale: con un PD al 30% basta una percentuale di non votanti del 20% (alquanto verosimile essendo su quei livelli già nelle scorse elezioni) per raggiungere la maggioranza assoluta.
        Se proprio si vuole andare sul sicuro basta mettere uno sbarramento del 5% e inserire anche quei voti delle minoranze non elette come premio di maggioranza.

        • Pierino

          Mi farebbe piacere conoscere il sistema che Roberto ha studiato e vorrei sapere dove trovarlo.
          Nel mio sistema esiste una dimensione minima dei collegi elettorali, dell’ordine di 500 mila elettori, mentre la dimensione massima è determinata dalla possibilità di un candidato di essere conosciuto da tutta la sua base elettorale, se il
          voto preferenziale deve essere significativo. E’ corretto peraltro preoccuparsi delle misure che consentono di ridurre il voto di scambio. E’ anche essenziale che un candidato si presenti in un solo collegio se deve essere il rappresentante
          di un gruppo di elettori .
          Il premio di maggioranza è stato bocciato dalla sentenza della Corte Costituzionale.
          Nel sistema proposto nell’articolo, con il 25% dei seggi assegnati al primo turno e il 75% al secondo, un partito che raggiunge il 30% dei voti al primo turno deve raggiungere il 57% dei voti al secondo per ottenere la maggioranza assoluta; con il 33% dei seggi assegnati al primo turno e il 77% al secondo, un partito che raggiunge il 30% dei voti al primo turno deve raggiungere il 60% dei voti al secondo per ottenere la maggioranza assoluta; valori questi non difficili da raggiungere.
          Rispetto ad un sistema che assegna tutti i seggi del secondo turno al partito che vince il secondo turno (cosa diversa dal premio di maggioranza in quanto risultato di un’elezione) il sistema proposto nell’articolo penalizza i partiti minori a
          vantaggio di entrambi i partiti maggiori e non solo di quello che vince il secondo turno.

          • Roberto

            Il sistema che ho studiato non lo può trovare da nessuna parte perché è frutto del mio ragionamento in base alle varie proposte lette in molti articoli.
            In definitiva ho cercato di trovare il miglior sistema possibile che rispetti 3 principi: semplice, equo e che garantisca la governabilità.
            La proposta dell’articolo è valida, però l’unica possibilità per garantire l’equità è di assegnare il 50% dei seggi per turno.
            Naturalmente se si alza la percentuale di seggi assegnati al secondo turno si hanno maggiori possibilità di governabilità però a discapito dell’equità.
            Per quanto riguarda la scelta dei candidati, come già detto per me il miglior sistema è quello allargare le preferenze su base regionale.
            Con i collegi si ha il problema della scelta delle circoscrizioni, inoltre se troppo piccoli c’è sempre il rischio del voto di scambio.
            Per questi motivi è inutile complicarsi la vita, abbiamo le regioni, utilizziamole in modo intelligente ai fini elettorali.

          • Roberto

            Continuo dal precedente post.
            Se si vuole invece un sistema a turno unico, la scelta migliore è quella di utilizzare la percentuale di non votanti come premio di maggioranza.
            Come già detto in precedenza i rischi per la governabilità sono inferiori rispetto al sistema proposto dall’articolo, sempre prendendo in considerazione l’unico sistema possibile per me, cioè quello che assegna il 50% dei seggi per turno.
            Se poi si vuole avere la certezza della governabilità basta aggiungere, al premio di maggioranza dei non votanti, uno sbarramento del 5%.

  3. rob

    qualsiasi sistema elettorale scelto su una architettura del Paese formata da almeno 5-6 livelli di potere è inutile e non funziona. Qualsiasi scelta politica decisionale dovrà fare i conti con i veti di Regioni, provincie, comuni, città metropolitane, circoscrizioni etc. Infatti la legge che si vorrebbe modificare è frutto proprio di un clan che con lo spezzettamento dei poteri ha costruito la propria fortuna e ha distrutto il sistema-Paese. Il cemento armato sopra i muri di pietra e calce non regge, crolla!

  4. Roberto

    Guardando i dati dell’appendice numerica, con il sistema elettorale proposto e l’attuale situazione tripolare italiana, non è così semplice raggiungere la maggioranza assoluta per il primo partito.
    Utilizzando il sistema con 50% di seggi assegnati per turno (che per me è quello più giusto) ed ipotizzando che il primo partito al primo turno prenda una percentuale di voti del 30% o 35% nel secondo turno dovrebbe prendere almeno 70% o 65% di voti.
    Naturalmente per avere una maggioranza più solida che garantisce una migliore governabilità servono percentuali al secondo turno ancora più alte.
    Con questo sistema alle scorse elezioni difficilmente il primo partito avrebbe raggiunto la maggioranza assoluta dei seggi e anche adesso non so se il PD di Renzi ha la capacità di raggiungere queste percentuali così alte di voto, in particolare al secondo turno.

    • Pierino

      E’ vero che, nella attuale situazione, in caso di divisione dei seggi del secondo turno in modo proporzionale ai voti ottenuti, il raggiungimento della maggioranza assoluta è problematico. Per garantire la maggioranza assoluta occorre ripartire i seggi del secondo turno assegnando al primo partito una percentuale prefissata dei seggi dipendente dalla percentuale di voti ottenuta complessivamente dai primi due partiti al primo turno e dalla percentuale di seggi assegnata al primo turno, come indicato in tab. A4. Se il meccanismo appare troppo complesso esiste sempre la possibilità di assegnare tutti i seggi del secondo turno al partito che vince il secondo turno. In questo caso è necessario limitare i seggi assegnati al secondo turno al numero minimo che garantisce il raggiungimento della maggioranza. La tabella seguente indica le percentuali di seggi dei due turni che garantiscono il raggiungimento del 50% dei seggi del Parlamento per assegnati valori della percentuale di voti ottenuta al primo turno.

      % di voti al primo turno 25 30 35 40 45
      % di seggi al 1mo (2do) turno 66 (34) 71 (29) 76 (24) 82 (18) 90 (10)

      Per garantire la governabilità ad un partito che ottenga il 30% dei voti al primo turno è necessario assegnare il 71% dei seggi al primo turno di conseguenza il 24% al secondo. Questo valore, che sembrerebbe alto se considerato premio di maggioranza, è in realtà il risultato di una scelta dell’elettorato tra due partiti.

  5. Davide

    Difficile da capire,troppo a mio avviso ,penso che per giungere ad una soluzione valida del problema posto dalla definizione della nuova legge elettorale,sarebbe utile un gesto di umiltà da parte dei legislatori: Noi non siamo in grado di legiferare in materia elettorale tenendo in conto gli esclusivi interessi del paese,quindi copiamo ciò che fanno in altri paesi .Dovrebbero semplicemente COPIARE ,ma senza sbagliare però! Non provassero neppure a inventarsi alcunché. Mi permetto di suggerire l’introduzione della legge elettorale in vigore in Germania.Senza modifiche,mi raccomando.

  6. Francesco Scorza

    Ma perché un elettore dovrebbe votare al secondo turno se non è rappresentato il proprio partito?

    • Pierino

      Un elettore ha la possibilità di scegliere di mandare al governo, tra i due partiti rimasti in lizza, quello che più si avvicina alle proprie idee politiche. Chiare differenze esistono tra gli attuali schieramenti per quanto riguarda le politiche fiscali, le politiche dell’immigrazione, la concessione della cittadinanza, le unioni tra persone dello stesso sesso, la scuola pubblica, l’euro; meno chiare su altri aspetti vitali per il nostro Paese.

  7. Carlo Lombardi

    Dal Fast Vote allo Slow Vote
    Un sistema elettorale maggioritario a un turno e mezzo?
     
    In una situazione di disamore nei confronti delle istituzioni rappresentative della nostra Repubblica, situazione resa evidente dalle ultime elezioni e sempre più confermata dai sondaggi d’opinione, il rimedio può essere soltanto quello di tornare a dare con più evidenza e semplicità alla cittadinanza un ruolo di scelta dei propri rappresentanti politici: ciò è tanto più vero se il Parlamento avrà di fronte, come si ipotizza, un premier con poteri accresciuti.
     
    E’ opinione diffusa che in un sistema rappresentativo e parlamentare – quale è  e rimarrà il nostro – il Parlamento deve restare autonomo e sovrano. Tuttavia, perché sia effettivamente così, autonomi e sovrani debbono sentirsi i suoi componenti, legati da un rapporto di responsabilità politica soprattutto al proprio elettorato, senza alcuna sudditanza nei confronti di partiti e movimenti, anche se ad essi si riconosce un ruolo-guida.
     
    Il sistema di voto maggioritario in collegi uninominali, quale quello in parte previsto per le elezioni nazionali dalla legge Mattarella (il cosiddetto Mattarellum),  pare il più adatto per ottenere questi risultati: rispetto alle ipotesi di ripartizione proporzionale dei voti, si darebbe infatti alla scelta dell’elettore un potere maggiore di sanzione positiva o negativa, sia a livello di collegio che nazionale, con un rilievo pronunciato anche dei piccoli numeri (l’elezione presidenziale americana del 2000, in cui poche centinaia di voti hanno determinato il vincitore, insegna…), mentre i candidati di partiti e movimenti sarebbero naturalmente avvantaggiati.
     
    Si possono avanzare obiezioni anche al voto in collegi uninominali. Una delle più fondate è che le candidature con possibilità di elezione possono essere scelte quasi esclusivamente dai partiti politici e diventare così materia di negoziato (è quello che è successo in Italia dal 1994 al 2001), in contrasto con l’idea che i candidati alle elezioni vengano decisi dai cittadini anche quando sostenuti da partiti e movimenti, e non dalle loro segreterie “nelle segrete stanze”. Il doppio turno di votazioni andrebbe in quest’ultima direzione, ma è possibile che, in un sistema politico frammentato come il nostro, una quota rilevante dei votanti “soccombenti” al primo turno  non torni alle urne dopo due settimane.
     
    Per questo e per consentire una scelta più ponderata all’elettorato sarebbe bene dar luogo ad processo pubblico di selezione dei candidati nazionali, distribuendolo su più date, attraverso un turno di votazione ‘primaria’. Va sottolineato in proposito come, nell’esperienza più significativa di votazioni ‘primarie’ (quella americana), non ci troviamo davanti a un fatto puntuale, ma ad un processo lungo, che coinvolge la popolazione a più riprese ed è pertanto in grado al termine di selezionare anche chi è partito con poche speranze.
     
    Questo carattere di processo (si potrebbe dire di ‘Slow Vote’) è probabilmente uno dei fattori tipici che assicurano capacità di ricambio al sistema e andrebbe importato anche da noi. Se le primarie si fossero svolte in una volta sola su tutto il territorio degli Stati Uniti – come è successo sinora in Italia – è da dubitare che un outsider come Obama avrebbe potuto emergere.
     
    Da queste considerazioni nasce la proposta di un turno prolungato di elezioni “primarie” (meglio se con voto  trasferibile, secondo il sistema “australiano” o del second best,  per rafforzare il meccanismo della responsabilità politica verso il proprio collegio elettorale), seguito – dopo un congruo periodo di tempo, in modo da calmare gli animi – dalle votazioni effettive per il Parlamento.
     
    Questo è lo schema:
     i) tra i sei e i quattro mesi precedenti alle elezioni, in collegi elettorali uninominali ridisegnati privilegiandone la contendibilità, vengono indette le elezioni primarie per la scelta dei candidati presenti al turno finale di elezioni;
    ii) lo stesso giorno non può essere chiamato alle urne più del quindici percento del corpo elettorale nazionale, in modo da evitare significati generali della consultazione, che altererebbero la responsabilità politica anzitutto verso il proprio collegio ;
    iii) chi si candida alla rielezione, può presentarsi solo nel collegio che lo ha già eletto;
    iv) il voto è trasferibile da candidato a candidato, anche tra liste differenti, in modo da limitare il “potere di ricatto” delle formazioni maggiori riguardo all’inutilità di votare quelle minori e rafforzare il meccanismo della responsabilità politica, consentendo più libertà all’elettore di penalizzare un candidato della propria parte giudicato negativamente;
    v) passano al turno elettorale finale i tre candidati del collegio che hanno riportato più voti: a livello nazionale si dovrebbero così creare poche  formazioni,  alcune con forte radicamento territoriale, mentre – anche se depotenziato – verrebbe mantenuto un certo potere negoziale delle liste più piccole, da esercitare eventualmente attraverso accordi di desistenza relativi al turno finale di elezioni;
    vi) entra in Parlamento il più votato nel collegio alle elezioni finali.
     
    Avremmo anche in Italia un sistema elettorale ‘buono, pulito e giusto’, per di più facilmente comprensibile da tutti, finalmente.
     

    Carlo Lombardi

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