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Caso Sorgenia, solo la punta dell’iceberg

Il caso Sorgenia è la punta dell’iceberg di un sistema energetico senza un progetto di sviluppo che dia il giusto spazio a fonti rinnovabili e tradizionali. Equilibrio da ritrovare tra tutela dell’ambiente, salvaguardia dei consumatori e investimenti.

LA STORIA DI SORGENIA

La storia di Sorgenia non è che la punta di un iceberg che da tempo naviga nelle acque del nostro sistema energetico. E, come sappiamo, con gli iceberg è facile farsi molto male…
La storia è semplice. A metà dello scorso decennio, Sorgenia ha portato a compimento una serie di investimenti in impianti di generazione “tradizionali”, ovvero centrali a gas, installando quattro centrali moderne e relativamente efficienti. Purtroppo per Sorgenia, allo stesso tempo in Italia si stava compiendo anche la rivoluzione delle rinnovabili, insieme a una netta discesa del prezzo del carbone. Questo è rilevante perché se le rinnovabili (solare o eolico) producono, hanno la precedenza sull’elettricità prodotta dalle centrali tradizionali. E, tra queste ultime, le poche (ma significative) centrali a carbone sono oggi meno costose di quelle a gas.
Il risultato di tutto questo è che centrali programmate per funzionare oltre cinquemila ore l’anno producono talvolta meno della metà di quanto potrebbero. E spesso non basta a far quadrare i conti. Che tutto ciò sarebbe un giorno avvenuto era evidente da tempo, e fu infatti affrontato da una legge del 2003, la legge Marzano, che prevedeva i cosiddetti capacity payment. Si tratta di una remunerazione che le imprese ricevono (a spese dei consumatori: non è denaro dello Stato, ma comunque sempre dalle nostre tasche proviene) non in ragione di quanto producono, ma per il fatto che la loro capacità produttiva è comunque a disposizione. (1)
Intendiamoci. Lo sviluppo delle rinnovabili non ha reso inutili le centrali tradizionali. Se il vento cade o il cielo si oscura troppo, eolico e fotovoltaico non bastano più, e avere centrali tradizionali a riserva, pronte a entrare in funzione, è necessario per consentirci di tenere accesa la luce. I capacity payment hanno senso. Il problema è quanto ha senso spendere per questa partita.

MANCA UN PIANO COMPLESSIVO

Finora i capacity payment non sono costati tantissimo. Tuttavia, la legge in vigore prevedeva l’entrata in funzione dal 2017 di un sistema molto più oneroso per i consumatori, la cui attuazione, però, è stata ritardata diverse volte, tra l’altro perché appariva troppo costosa. Stime di pochi mesi fa parlavano di un sistema che dal 2017 sarebbe potuto costare ai consumatori circa un miliardo di euro all’anno. Quando già paghiamo oltre otto miliardi per la sola energia solare, un simile esborso sarebbe sostenibile per le nostre famiglie e le nostre imprese? Qualcuno lo dubita.
Il problema di Sorgenia è simile a quello di altre imprese, private o a controllo pubblico locale. Peggiore solo perché gli investimenti sono più recenti e meno ammortizzati e l’onere finanziario da coprire maggiore.
Una legge apposita per Sorgenia non è neppure concepibile. E comunque, ripeto, questa è la punta dell’iceberg.
Il nuovo sistema elettrico che stiamo costruendo per il paese prevede una base molto elevata di energia da fonti rinnovabili, ma non vedo come possa non essere affiancata da una base di centrali tradizionali. Carbone o gas? Se in Europa ci fosse una politica ambientale coerente, il carbone sarebbe probabilmente fuori gioco; resta invece “economico” solo perché il sistema europeo di pagamento per le emissioni di gas serra prevede ancora prezzi bassi per chi inquina. E forse il sistema di remunerazione della capacità “a riserva” dovrebbe essere disegnato anche in modo da dare coerenza a un sistema che, come troppo spesso avviene, si sta sviluppando senza un piano complessivo, senza una vera visione di lungo periodo.
Un’altra considerazione, che temo non piacerà a nessuna delle imprese oggi coinvolte dal problema di impianti sotto-utilizzati, è che non possiamo pensare di pagare le stesse imprese due volte. Oggi, gli impianti rinnovabili gravano pesantemente sulle tasche dei consumatori (2) e lo stesso forse avverrà presto per le centrali a gas, spiazzate proprio dall’esplosione delle rinnovabili. La stessa impresa può pensare di essere sussidiata per le centrali rinnovabili da un lato e per quelle tradizionali – spiazzate dalle rinnovabili – dall’altro? Mi parrebbe una pretesa un po’ eccessiva.
Ma urge ridare coerenza all’intero sistema. Non per salvare un’impresa, che purtroppo ha forse ecceduto in esuberanza nei suoi investimenti passati, ma per ritrovare un equilibrio tra esigenze dell’ambiente, tutela dei consumatori, incentivo a investire. Non sarà facile, e non sarà senza costi. Ma è sistema che è rimasto senza timone per troppo tempo, e non ce lo possiamo permettere.

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(1) Cosa sono i capacity payments? In un sistema elettrico c’è sempre eccesso di capacità di generazione: alcuni impianti si attivano solamente nelle fasi di picco, quando la domanda è elevata, e quindi remunerano l’investimento funzionando “poche” ore ma percependo un prezzo molto elevato. Se non si vuole che il prezzo all’ingrosso dell’energia salga a livelli troppo elevati, si fissa un tetto a questo prezzo, il che impedisce di remunerare gli impianti nelle fasi di picco, e si distribuisce invece a tutti i produttori (non solo a quelli che si attivano nelle fasi di picco) un pagamento a compensazione del prezzo calmierato. In questo modo i bilanci dei generatori rimangono in equilibrio e il prezzo non sale troppo nelle fasi di picco.
(2) Togliere gli incentivi elargiti in passato alle rinnovabili è molto difficile, perché i benefici sono stati incassati da una pluralità di soggetti ( per esempio, chi aveva un terreno e ha venduto il diritto di costruzione o chi ha sviluppato un progetto e poi l’ha ceduto). In altri termini, molto spesso l’attuale titolare è quello col cerino in mano, ma i soldi li hanno già incassati altri che hanno gestito le fasi precedenti di costruzione dell’impianto.  E poi c’è il principio giuridico del legittimo affidamento: se hai investito fidandoti delle leggi in vigore, non è di norma consentito “espropriarti” a posteriori… Ma sulla possibilità di applicare questo principio in questo caso il dibattito è aperto…

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21 commenti

  1. Filippo R.

    Chi in Italia ha maggiormente usufruito dei finanziamenti per le rinnovabili, e in che misura?

  2. Enrico

    L’ultima riga della seconda nota sembra in contrasto con il senso dell’articolo, di per sé condivisibile. Lamenta il fatto che il settore è rimasto senza timone per molto tempo e apre un dibattito sulla possibilità di rinunciare, solo per questo settore, a uno dei pochi principi che ha tenuto il “timone” dritto per tutto il sistema? La stabilità e l’affidabilità del quadro giuridico, che verrebbe seriamente compromessa da un intervento retroattivo, non farebbe male solo a chi ha il “cerino in mano” nel settore delle rinnovabili, ma pregiudicherebbe la possibilità di fare affidamento sulle regole stesse in sede di valutazione del rischio di un investimento, di qualsiasi tipo, nel nostro paese.

    • edoardo beltrame

      I business plan dei più recenti Cc si basavano su 8000 ore annue. Solo un funzionamento “a tavola” poteva garantire un rendimento vicino al 60%. L’ingordigia di imprese e banche ha fatto il resto. Il cerino acceso è rimasto in mano alle banche che finanziavano il 100% degli impianti fotovoltaici.
      In Italia è così: quando ci sono da fare i soldi in fretta sono tutti bravi! Sorgenia è solo la punta della bolla dell’energia che sarà la prossima ad esplodere. Oggi il prezzo all’ingrosso in borsa è 50 euro a Mw/h e gli incentivi ai primi conti energia fotovoltaica sono pari a 10 volte tanto. Non c’era nessuno al timone? Diciamo che tutti sentivano il vento e facevano i tattici. Sta per tornare il sole, guardatevi le bollette e fate quattro conti, se ci riuscite!

  3. Si potrebbe valutare di creare una scala di priorità per l’immissione in rete non limitata alle rinnovabili che si basi sul grado di pulizia della fonte energetica: prima le fonti rinnovabili poi quelle a gas e poi altre. Il capacity payment è necessario al momento ma in prospettiva vanno considerati anche i sistemi di accumulo. A quanto ho letto i picchi di prezzo si sono abbassati perché coincidevano con i picchi di produzione delle fonti rinnovabili che aumentano l’offerta di energia proprio nel momento di maggior richiesta. Questo fattore calmierante, se esiste, andrebbe considerato nella valutazione su quanto effettivamente ci costano le rinnovabili?
    La necessità di mantenere gli impianti tradizionali come backup delle rinnovabili non va confusa con la necessità di remunerare gli investimenti ad ogni costo.

  4. visve

    La mancanza di visione strategica accompagnata da un assurda (quantitativamente parlando) incentivazione delle fonti rinnovabili, dettata da interessi anche politici e regionali, ha portato al costo attuale, eccessivo per i consumatori. E’ intrinseco che un impianto solare, connesso in rete, richieda un analogo impianto di riserva ( a gas, ad esempio); che occorre installare, quindi, una potenza quasi doppia e che la riserva non sarebbe mai stata utilizzata pienamente, come tale. I costi per limitare l’inquinamento ambientale sono questi! Due autovetture per lo stesso scopo da utilizzare in alternativa; ciò dà sicurezza e vantaggi ambientali, ma costa. Gli europei e, principalmente gli italiani possono permetterselo? La Cina fabbrica e vende a noi il solare, mentre a casa propria installa centrali a carbone!

    • maurigras

      La Cina costruisce centrali a carbone, centrali nucleari e una quantità impressionante di centrali fotovoltaiche (12GWp l’anno scorso, quest’anno tra i 13GW e i 15GW). Il fatto che gli incentivi in Italia siano stati gestiti in modo approssimativo dovrebbe farci guardare a chi invece gli incentivi li ha saputi utilizzare e gestire bene (ad esempio la Germania e la Francia). I 500.000 impianti in Italia sono per la maggior parte di piccola taglia, questo significa che molti contribuenti pagano l’incentivo come me e lei, ma incassano l’incentivo per l’impianto che hanno montato sul loro tetto. Anche questa è una redistribuzione del reddito, alla base della quale c’è la produzione di energia pulita. Nel resto del mondo gli impianti continuano a farli, in alcune parti dell’emisfero senza neppure gli incentivi. Ma i costi per un impianto sono tanti e tra questi i cosiddetti “soft costs”.

  5. Alessandro

    Qui più che una pagamento di capacità c’è da augurarsi un fallimento per investimenti effettuati su super garanzie (politiche). Se Sorgenia fallisce c’è da aspettarsi che l’acquisto all’asta possa essere in linea con il prezzo che il mercato può riconoscere ad un impianto disponibile ad entrare in funzione. Se proprio lo stato deve entrare a gamba tesa sul mercato lo faccia con sistemi di bacini (pompaggi) pubblici: pagare per pagare, preferisco pagare rinnovabile e non fossile!

  6. Piero

    Non vi sono ragioni per fare una norma per il cp che costi agli italiani 1 miliardo annuo, penso che acquistare l’energia all’estero costi meno, non ha senso produrre ancora energia con i metodi tradizionali e dare loro gli incentivi. Sul caso-Sorgenia: se non ha i soldi, se i soci non vi investono non vi è ragione perché lo faccia lo stato italiano.

  7. GIOVANNI VERGERIO

    Non condivido del tutto l’opinione dell’autore. Il caso-Sorgenia non è la punta dell’iceberg ma il classico esempio di errore imprenditoriale aggravato dalla cecità/incapacità del sistema finanziario che si è preso un rischio tipico dell’imprenditore e non del banchiere. Negli anni 90 sul mercato elettrico inglese le iniziative
    che non avevano la copertura di forniture bilaterali consistenti non avevano accesso al finanziamento. Nel momento in cui Sorgenia è entrata nel business elettrico era già evidente che i piani industriali basati su un esercizio base load di
    lungo periodo non erano realistici, oltretutto la società non aveva esperienza nel business elettrico e non aveva accesso a contratti gas particolarmente favorevoli per cui l’esplosione delle rinnovabili ha solo aggravato una situazione già compromessa in partenza. Per la parte finanziaria le banche dovrebbero pagare senza sconti l’errore
    relativo al rischio assunto e i manager responsabili dei finanziamenti erogati a Sorgenia dovrebbero essere chiamati a rispondere davanti ai loro azionisti. Per quanto riguarda il Capacity Payment ritengo che questo meccanismo debba essere messo in atto senza indugio. Il costo rappresenta una frazione dei benefici che le fonti rinnovabili non programmabili apportano al sistema e una frazione degli incentivi erogati. Dato che i costi non sono
    elevati questi dovrebbero essere posti a carico della produzione non programmabile presente e futura. A mio avviso, non si tratterebbe in questo
    caso di intervento regolatorio retroattivo ma di semplice presa d’atto dei costi che il sistema sostiene per allocare l’energia elettrica prodotta con le fonti non programmabili.

  8. Giuseppe

    Ma perché non usciamo del tutto dal carbone in Italia? Le centrali a carbone inquinano moltissimo con grandi danni per la salute dei cittadini (si vedano i mega-impianti inquinanti di Brindisi e Civitavecchia). Sorgenia è un’azienda moderna, che ha puntato sul gas che è molto più pulito, andrebbe incoraggiata. Proprio non capisco.

  9. Renzo Ceola

    Trovo più che condivisibile quanto esposto dal Prof. Scarpa e credo che un riordino di tutto il settore energetico sia necessario anche per alleggerire gli oneri ora a carico del consumatore. Credo però che vadano approfonditi almeno due aspetti:
    uno generale e cioè se la liberalizzazione del mercato dell’energia abbia portato qualche beneficio ai consumatori ed uno particolare: Surgenia vuol appioppare al sistema bancario 600 milioni di sovraindebitamento. Il gruppo De Benedetti (che ha in cassa le centinaia di milioni di euro avute da Berlusconi quali risarcimento del lodo Mondadori) è disposto a metterne solamente 100. Continuando così la situazione del sistema bancario arriverà prima o poi al punto da richiedere gli aiuti statali, che pagheranno ancora i consumatori. Sui sempre molto attenti organi di stampa del gruppo di tutto questo si parla poco: moralisti sì, ma fuori casa.

    • Franco_8

      Tutto esatto, ma quei soldi già sono stati consegnati ai diretti interessati un mesetto fa 🙂

    • Piero

      Non ne vuole mettere nemmeno 100.

  10. Franco_8

    Ottimo articolo per chi è all’oscuro di questo mondo e può coglierne una visione d’insieme a grandi linee che risulti anche abbastanza comprensibile!

    Per quanto irrilevante ai fini della comprensione del lettore, metterei mano alla nota 1 che mi sembra molto lontana dalla realtà: il capacity payment è un “affitto” che si paga ai produttori che hanno e mettono a disposizione del sistema la loro flessibilità (accendendo/spegnendo una centrale, o anche solo modulando la produzione fra minimo e massimo) e questa flessibilità serve a tenere sempre in equilibrio il sistema quando la programmazione non corrisponde alle reali esigenze, dal caso scolastico dell’avaria di un’altra centrale che era programmata per girare ma deve fermarsi, alla stima dei consumi non accurata, fino a (soprattutto) stime non corrette della produzione da rinnovabile, che è sicuramente la maggior fonte di incertezza.
    A fronte di questa disponibilità (che è un affitto fisso, che viene pagato che si usi o meno), i produttori vengono pagati profumatamente per ogni MWh addizionale prodotto (o ben rimborsati per ridurre la produzione).
    Tutto il meccanismo si basa sulla revisione delle stime, per cui se per dire c’è un’anomalia eolica nella + inutile delle ore notturne, si attiva anche lì. Chiaramente però le ore + soggette ad un errore di stima sono quelle diurne perché abbiamo tanto fotovoltaico e prevederlo correttamente è un’impresa titanica!

  11. rob

    Il problema energetico in un Paese come il nostro può trovare validissime alternative, dividendo percentualmente le fonti a cui approvvigionarsi. Ma mi pongo un’ingenua domanda: quanto vale la fonte idroelettrica in un Paese che è formato da una catena di monti posti orizzontalmente ( Alpi ) e una catena di monti posti verticalmente (gli Appennini)? Aggiungo con il 70% della popolazione che vive e opera in pianura o inizi collina? Con le tecnologie di ultima generazione, quanta energia produce un fiume come l’Adige dalla sorgente al mare compreso? Una semplice centralina posta nel quartiere Chievo a Verona produce energia per 16 mila famiglie, in un parco con pista ciclabile e resti di “archeologia industriale primi anni’ 50”. Uno spettacolo! Verrebbe da dire visto il momento che qualsiasi cosa in questo Paese dovrebbe essere fatto con l’obiettivo di creare una “Grande Bellezza”. Ma le grandi cose sono patrimonio solo per grandi uomini, questa è la fonte energetica che ci manca in assoluto.

  12. silvano

    l’articolo lascia un po’ perplessi. nel settore si è prodotta una discontinuità che ha molte cause. tra queste si deve includere anche (finalmente) una diversa percezione delle problematiche ambientali che tende a facilitare la crescita della produzione di energia da
    fonti rinnovabili. Quando si determina una discontinuità strutturale c’è chi ne beneficia e chi risulta penalizzato. E’ possibile che il legislatore segua poco/male questa evoluzione del sistema (“ …il carbone sarebbe probabilmente fuori gioco; resta invece “economico” solo perché il sistema europeo di pagamento per le emissioni di gas serra prevede ancora prezzi bassi per chi inquina”). Appare però troppo assolutorio attribuire alla Sorgenia solo un eccesso di “esuberanza nei suoi investimenti passati”.

  13. Massimo Matteoli

    Anche i benefici ambientali hanno un costo, come stiamo purtroppo imparando ogni giorno di più. Bisogna iniziare ad avere la consapevolezza che il “pianeta ha la febbre” e l’unica cura possibile è ridurre in modo consistente e veloce l’uso dei carburanti fossili. Ma voglio rimanere sul tema meramente economico e di interesse del consumatore: il problema è che non basta dire che paghiamo molti soldi per gli incentivi, bisognerebbe cercare di spiegare cosa succederebbe se invece che dal sole o dal vento quell’energia fosse prodotta con centrali convenzionali. Su questo argomento qualche tempo fa un ricercatore del Cnr rilevò sul Sole-24 Ore che l’aumento della produzione fotovoltaico (a parte i benefici ambientali e per la nostra bilancia dei pagamenti) svolgeva un importantissimo effetto calmiere nella “borsa” elettrica e alla fine secondo i suoi calcoli faceva addirittura diminuire la bolletta per i consumatori. Forse un qualche risparmio si potrebbe avere con il carbone, ma sfido
    chiunque a realizzare una centrale di questo tipo in Italia (a parte che in questo caso la discriminante ecologica sarebbe fortissima e più che fondata). In poche parole se sostituissimo la produzione da fonti rinnovabili con quella da centrali convenzionali a trarne beneficio non sarebbero i consumatori ma le imprese proprietarie di quelle stesse centrali. Avremmo cioè un danno per l’ambiente ed un aggravamento dei nostri conti con l’estero a fronte di un risparmio nullo se non peggio per i consumatori. Ad oggi non ho visto nessuna risposta, anzi semmai qualche conferma, nascosta in noiosissime relazioni dell’Autorità per l’Energia che non a caso, penso, hanno scarsa diffusione sulla stampa. A buon intenditor poche parole.

    • Rinaldo Sorgenti

      @ Massimo Mattioli:
      Quando si dice il pregiudizio ed i “luoghi comuni” a proposito del Carbone: “A parte che in questo caso la discriminante ecologica sarebbe fortissima e più che fondata.”
      Purtroppo, l’abituale demonizzazione e fuorviante comunicazione porta molti a credere che con il Carbone si creerebbero chissà quali danni ambientali ed alla salute, dimenticando che grazie alle tecnologie, di cui i moderni impianti termoelettrici sono obbligatoriamente dotati (leggi comunitarie che impongono stringenti limiti alle emissioni), questo non è più un problema.
      L’esempio ce lo danno tutti i grandi Paesi avanzati che fanno ricorso al Carbone come prima fonte per la generazione elettrica a casa loro, tra questi la Germania, gli Usa, il Giappone, ecc. ecc.!
      Per quanto riguarda il costo dell’elettricità per i consumatori, non è affatto vero che le ultime rinnovabili abbiano fatto scendere i prezzi. Esattamente l’opposto, perché anche quanto queste fonti quotano quel particolare giorno – magari una domenica assolata – zero, poi ricevono il prezzo marginale offerto dall’ultimo entrante, oltre, naturalmente, ai lautissimi incentivi. Il tutto va come noto sulla bolletta dei consumatori. Una vera e propria beffa, ben mascherata e speculativamente sostenuta da taluni.
      Invece, se la produzione elettrica si facesse con un sistema davvero diversificato ed equilibrato, è evidente che gli impianti che sarebbero in grado di produrre a costi marginali più bassi, lavorerebbero di più offrendo un prezzo minore rispetto agli impianti che utilizzano combustibili più costosi e questo comporterebbe dei costi in borsa ovviamente più bassi. Difficile osservare il perchè le Borse elettriche del Nord Europaoffrono cronicamente prezzi di circa 30 Euro x MWh più bassi della Borsa italiana? E se anche solo semplicemente si moltiplicano questi 30 € x MWh per i 320 TWh consumati nell’anno in Italia , il maggiore costo per il sistema Paese è circa 10 Miliardi di €! Si potrebbe quindi fare qualcosa con questi 10 Miliardi di € ogni anno sperperati, oltre a sostanzialmente3 migliorare la nostra bolletta energetica Paese e ridurre sensibilmente il rischio strategico per gli approvvigionamenti energetici?
      Cose indiscutibili da semplicemente osservare e poi meditare.

  14. maurigras

    L’articolo è fatto bene e riporta spunti corretti, ma come spesso accade in Italia da due anni a questa parte, si omettono 3 informazioni importanti (Dati Gme, Gse, Autorità dell’Energia):
    – al 2009 (la serie storica da me trovata arriva al 2009 purtroppo) la capacità installata era pari a 105 gw; di questi 6 (sei) erano della categoria “Altri impianti”, principalmente fotovoltaico ed eolico. Oggi il fotovoltaico è quasi a 18 gw, peccato che dal 2000 al 2009 gli impianti tradizionali siano aumentati da 56,4 gw a 76,7 gw (+20,3 gw) di cui +15 gw dal 2004 al 2009;
    – a giugno del 2013 l’acquisto di energia offerta è stato di 23,4 TWh, l’offerta di 40,6 TWh, il solare ha coperto quasi il 16% di tale energia (un mese estivo per analizzare l’apporto del solare in estate, ma durante tutti i mesi dell’anno l’offerta di energia è superiore tra il 50% e il 100% rispetto alla domanda);
    – il prezzo totale del gas è salito tra il III 2009 e il II 2013 del 30% (la materia prima del 70%).
    Concordo, è mancata e manca ancora una politica strategica nazionale/europea, ma la causa del nostro malessere è da ricercare nei troppi investimenti negli impianti tradizionali con poca lucidità sulle prospettive di crescita e sulla trasformazione del mercato (in recessione la domanda energetica diminuisce e sono partite le politiche di efficienza energetica). La strategia però non si fa con il “capacity payment” per impianti che senza le rinnovabili non sarebbero comunque in grado di sostenersi economicamente (l’offerta è talmente elevata che il prezzo del mercato non permette la loro sopravvivenza) ma si fa attraverso lo studio di un mix di soluzioni produttive che deve vedere come principale investimento lo “storage”. Perché il futuro è nelle tecnologie di accumulo che scaricano la rete di molti problemi legati alla non prevedibilità delle rinnovabili e permette di avere energia quando serve al consumatore, pulita e a buon prezzo. Il “capacity payment” si fa con una riserva pagata agli impianti turbogas a ciclo combinato che producono, non agli impianti privati fatti da imprenditori che ora corrono da Pantalone per recuperare i soldi investiti in un’attività di impresa non andata a buon fine. Un’ultima curiosità: nei primi anni 2000 una società energetica italiana era tra le più importanti nel settore della produzione di pannelli fotovoltaici, il suo nome è di tre lettere e il Ceo si chiama Paolo S. Molto intelligentemente sono usciti dal mercato appena dopo il 2005. Fa riflettere il fatto che oggi un’altra società, Egp (Enel), costruisca impianti fotovoltaici in tutto il mondo e che abbia una fabbrica importante in Sicilia (per cui ha ricevuto un finanziamento Cipe da 49 milioni di euro).
    E’ arrivato il momento di affrontare il problema energetico con serenità ed equilibrio, ma a questo deve contribuire l’informazione altrimenti vivremo un’altra lunga stagione/generazione di equivoci.
    La ringrazio per lo spazio concessomi.

    • Massimo Matteoli

      Commento estremamente interessante che dimostra due cose:
      -la cecità dei nostri pseudo “grandi imprenditori”,che mentre da tutto il mondo venivano in Italia ad investire nel solare, lo hanno platealmente snobbato a favore delle centrali tradizionali:
      – le ragioni per cui paladini del “mercato” chiedono l’intervento dello Stato a carico di Pantalone.
      Purtroppo in Italia nessuna di queste due cose è una novità.

  15. fabiana

    Sono passata da poco a Sorgenia ma devo dire che la pubblicità non mente: serietà e convenienza non mancano ma quello che più mi ha convinto è l utilizzo d energie rinnovabili, una grande innovazione. il rispetto dell ambiente è essenziale, soprattutto oggi che l’inquinamento sta dilagando.

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