Nell’ultimo decennio, l’Italia è rimasta il fanalino di coda in Europa per quantità, qualità e creazione di capitale fisso. Il nostro sistema economico non perde solo produttività, ma anche un altro fondamentale fattore produttivo. La qualità degli investimenti di medio e lungo termine.
DISTRUZIONE DI CAPITALE?
Il capitale fisso è quella porzione del capitale totale che è investito in immobilizzazioni tangibili e intangibili: terreni, impianti industriali, edifici, veicoli, proprietà intellettuale e tanto altro. (1) Questi asset sono utilizzati per più anni prima di essere sostituiti e forniscono l’infrastruttura di base del sistema economico, influenzando a loro volta la produttività di altri fattori. Negli ultimi tempi, la creazione di capitale in Italia, al netto del consumo di capitale fisso (ammortamenti) ristagna, dopo decenni di crescita ininterrotta. Nella stessa Spagna, che pure è reduce da un’enorme bolla speculativa nel settore immobiliare che ha messo in ginocchio l’economia nazionale, la formazione di capitale è ancora in un trend positivo rispetto all’Italia. (2)
Figura 1 – Creazione di capitale lordo al netto del consumo di capitale fisso
Fonte: Ameco
L’incapacità di creare nuovo capitale è un forte segnale di disagio economico, che potrebbe riflettere una malattia di lungo termine del nostro sistema economico, legato alla fatica di rinnovarne e incrementarne i volumi. Infatti, il peso del capitale fisso del settore privato sul sistema economico è cresciuto fortemente negli ultimi anni, spingendo molta disponibilità economica di cassa verso ammortamenti di capitale fisso. La caduta del Pil potrebbe aver influito sostanzialmente negli ultimi tre anni, ma la tendenza già in precedenza era in forte ascesa, anche in relazione ad altri paesi che hanno avuto perdite di Pil comparabili (la Spagna, per esempio). Il trend è confermato anche per il consumo di capitale fisso rispetto alla creazione di nuovo capitale.
Figura 2 – Consumo di capitale fisso sul Pil
Fonte: Ameco
Figura 3 – Consumo di capitale fisso del settore privato rispetto al nuovo capitale creato
Fonte: Ameco
Il valore degli ammortamenti di capitale fisso tende a crescere quando l’immobilizzazione invecchia e si avvicina alla fine del suo ciclo di vita, anche con produttività e rendimento costanti. In altre parole, la combinazione di scarsa creazione di nuovo capitale e invecchiamento del capitale fisso potrebbe rilevare una graduale perdita di capitale fisso e quindi di pezzi del nostro sistema economico. La perdita di capitale fisso è dovuta a diversi fattori. E, potrebbe non essere una perdita, ma solo un alleggerimento degli investimenti di imprese italiane che gradualmente passano dalla produzione all’acquisto di alcuni fattori produttivi, ipotizzando che non investano maggiormente in beni intangibili (fenomeno che sarebbe catturato da questo indicatore). Tuttavia, anche qualora sia in atto questo alleggerimento, se utilizziamo la redditività del capitale fisso come indice di qualità degli investimenti, non ci sono prove sufficienti che la qualità del capitale sia cresciuta. (3) L’Italia è infatti il paese con la più scarsa redditività del capitale fisso tra i paesi occidentali più avanzati.
Figura 4 – Ritorno netto sullo stock di capitale, 1995-2015 (2005=100)
Fonte: Ameco
LA TENTAZIONE DELLA SVALUTAZIONE MONETARIA
Questa situazione ci dovrebbe far riflettere anche sulla qualità del nostro tessuto imprenditoriale e infrastrutturale. Si cerca molto spesso di addebitare la scarsa produttività e i bassi investimenti in Italia all’ingresso nella moneta unica, che avrebbe fatto crollare la competitività del nostro sistema economico e ridotto gli investimenti esteri. Tuttavia, in altri importanti paesi che hanno adottato l’euro, il crollo della redditività del capitale è avvenuto solo con la crisi finanziaria del 2007-2008 e da allora solo alcuni (come la Francia) non si sono ancora ripresi mentre l’Italia resta una volta di più il fanalino di coda. La combinazione di scarsa creazione di nuovo capitale, invecchiamento del capitale fisso e bassi ritorni sul capitale netto sono una specificità tutta italiana tra i primi cinque paesi europei, che ci impone una riflessione seria sulla mancanza di competitività del nostro sistema economico. Si tratta di un problema di lungo termine che difficilmente potrebbe essere risolto da temporanee o permanenti svalutazioni monetarie, poiché una moneta più debole non crea di per sé le condizioni per una maggiore e migliore qualità d’investimenti privati. L’Italia ha bisogno di maggiori investimenti privati in capitale fisso, ma anche di infrastrutture pubbliche capaci di migliorare quei servizi che potrebbero creare le condizioni per realizzarli, dalla giustizia civile agli aeroporti. Anche la qualità di questi investimenti è essenziale per far ripartire la competitività. La svalutazione monetaria potrebbe consentire un incremento (temporaneo) della quantità d’investimenti esteri, ma non sarebbe sufficiente a garantirne la qualità (per esempio, in ricerca e sviluppo) per la quale sono necessarie condizioni di certezza legale e stabilità finanziaria di lungo termine, che certo non si avrebbero con un ritorno alla lira. Ci dovremmo oltretutto interrogare sulla governance delle aziende del nostro tessuto imprenditoriale e sulla sua capacità di rinnovarsi nel tempo. Alcuni definiscono questi problemi delle imprese italiane come la maledizione del capitalismo familiare, incapace nel lungo termine di rinnovarsi senza la disciplina del mercato. Ma questa è un’altra storia.
(1) In linea con la definizione di capitale fisso dello European system of national and regional accounts (Esa95), si usa qui quella più ampia, che include gli intangibles.
(2) Non si possono trarre conclusioni sul valore assoluto del capitale fisso poiché il calcolo di attivi come gli intangibles è soggetto a diverse interpretazioni a livello nazionale che potrebbero sottostimare o sovrastimare il valore finale. In ogni modo, è improbabile che queste correzioni inficino le conclusioni esposte in questo contributo.
(3) Non è un caso che i ritorni più alti sul capitale fisso siano in Giappone, Stati Uniti e Germania.
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Salvo Danilo
Finalmente qualcuno che ha colto il nocciolo del problema principe dell’economia italiana. Pochi investimenti, il resto è la conseguenza: bassa produttività, basse competenze dei lavoratori ad ogni livello ed alta disoccupazione.
rob
La nostra è solo e soltanto una crisi di cultura detto in parole povere: saper leggere e scrivere! Oltre 30 anni di follie delegando le competenze di uno Stato (se fosse stato serio) alle Regioni sono questi i risultati. Senza più sistema Paese non ci sono più grandi porgetti, grandi imprese, ricerca, scuola, etc. Adesso tutti cascano dal pero mostrando la migliore qualità dell’ Italiano: la mancanza (non la perdita) della “memoria storica”! Ma qualcuno, come la nostra storia millenaria ci insegna, si ricorda di ricordarcelo.
maurizio
Ma chi è quel pazzo che vorrebbe investire ancora in italia, tasse da capogiro +/-50%, burocrazia disarmante, consumi a zero, costo del lavoro eccessivo, gli imprenditori che son rimasti son dei veri eroi (furbetti esclusi), poi penso ai miei figli, e mi chiedo che futuro gli sto dando in italia, la mia italia, il paese più bello del mondo.
rob
Tutto ciò è stato permesso proprio perché è un Paese di analfabeti. Provi solo a pensare di cosa abbiamo parlato negli ultimi 30 anni. Un paese civile avrebbe permesso che sottosegretario agli Esteri fosse tale Razzi? Un Paese civile avrebbe permesso un ministro delle Riforme tale Umberto Bossi? Quindi concludo sostenendo che il nostro problema è solo culturale. Una società civile, produttiva, di iniziativa che è stata messa all’angolo da una minoranza (spero) di Masanielli. Come ne usciamo?
Massimo
Vorrei fare una domanda: come si incastra la debolezza strutturale dell’economia italiana con la politica economica? In particolare la politica economica dettata dall’Ue con il fiscal compact e le altre regole vanno in direzione contrastante o possono in qualche modo aiutare una ristrutturazione dei fondamentali?
Maurizio Cocucci
La Ue non detta alcuna politica economica. Il Fiscal Compct ad esempio è un trattato sottoscritto dai capi di Stato o di Governo, ovvero dal Consiglio d’Europa, quindi l’impegno a rispettarlo non viene da Bruxelles ma da Roma. La Gran Bretagna e la Repubblica Ceca hanno rifiutato di sottoscriverlo. Il principio di non aumentare il debito pubblico rispetto al Pil non va a favore di altri, ma di noi stessi perché piaccia o meno i deficit devono essere sostenuti da prestiti sui quali noi dobbiamo pagare gli interessi (oltre al capitale), interessi che oggi ci costano il 5% circa del nostro Pil e quindi sottraggono ingenti risorse finanziarie ai cittadini e alle imprese. La necessità di abbattere questo costo è quindi prioritaria, che unita a una lotta all’evasione e a una rivisitazione del fisco può dare respiro al reddito disponibile delle famiglie e far ripartire quindi la domanda aggregata interna, vera causa della debolezza della nostra economia.
rob
La domanda aggregata riparte se girano soldi e la gente li ha per spenderli tutte le altre considerazioni sono seghe mentali. Nei porti italiani non c’è più in imbarcazione altro che favolette. Provi ad abbassare le tasse e poi vedi dove vanno a finire tutte quella pleteora di dipendenti pubblici sparsi per 7-8 livelli di potere tra Stato a finire all’ultima circoscrizione. Si sta facendo economia con i velox e con gli accertatori di sosta, ma ci rendiamo conto.
Maurizio Cocucci
Complimenti all’autore. E’ riuscito ad inquadrare il nucleo della nostra debolezza, debolezza che ci accompagnerà per diverso tempo se non provvederemo a correggere queste anomalie.
Marisa Manzin
Presumendo che i dati sul capitale investito in immobilizzazioni siano prelevati dai bilanci di un certo numero di aziende, bisogna pure tenere in considerazione che, mentre in Italia si continuano a rivalutare i cespiti, come leggevo solo qualche settimana fa sul Sole 24 ore, in altri paesi, come ad. in Germania, le rivalutazioni sono proibite.
Ciò aggrava ancor di più il quadro per le imprese italiane.
Guest
Molto utile. Anche a prova di affabulatori blablablologhi della premiata ditta ”Osteria romana &C” . R&D, per molti una locuzione dal significato criptico. Per taluni distruggerebbe addirittura il capitale (forse i profitti di breve periodo, ma vale la riserva iniziale sugli affabulatori).