Più della curiosità per l’esordio dell’Argentina, nella notte di domenica a tenermi incollato alla tv (con tanto di proiettore per l’occasione) ci ha pensato il debutto della Bosnia-Erzegovina, unica nazionale alla prima presenza assoluta in quest’edizione dei Mondiali. Una nazionale giovane (in tutti i sensi) e di belle speranze che, dopo 18 anni di oblio, ha riportato agli onori della cronaca un paese martoriato dalla guerra più brutale combattuta in Europa dopo il 1945.
Per la cronaca, Džeko e compagni non hanno affatto sfigurato di fronte a Messi, Agüero e Di María, mettendo più volte in difficoltà l’albiceleste e portando a casa un’onorevolissima sconfitta per 2-1. Ma al di là dell’ottima prestazione dei ragazzi di Sušić, il pensiero è volato altrove: chiunque sia stato da quelle parti non ha potuto fare a meno di pensare alla gloriosa nazionale jugoslava e a quanto sarebbe competitiva oggi, se la terribile guerra fratricida non avesse smembrato il paese. Ipotizzarne la formazione odierna non è altro che un divertissement, certo, ma quel pizzico di inevitabile malinconia lo rende qualcosa in più di un mero esercizio di stile.
L’ultima volta che la nazionale con la fiamma cucita sul petto si presentò ai Mondiali lo fece in casa nostra, nel 1990: eliminò la Spagna agli ottavi e uscì immeritatamente al turno successivo con l’Argentina di Maradona, complici quei rigori che sarebbero poi stati fatali anche all’Italia. All’epoca brillavano le stelle di Stojković, Savićević e Prosinečki, oggi la squadra sarebbe nelle mani di fuoriclasse come Jovetić e Pjanić e di vecchie glorie come Vidić e Ivanović; in porta ci sarebbe l’interista Handanović e davanti due punte di primissimo piano come Džeko e Mandžukić. Una nazionale del genere sarebbe tra le favorite d’obbligo per il titolo. Ma tutto ciò, ovviamente, resterà confinato nelle pagine o nei pensieri di qualche nostalgico. Jugonostalgija la chiamano i diretti interessati. Un sentimento più diffuso di quanto si possa pensare: si respira un po’ ovunque, non solo nelle strade di Belgrado, l’ex capitale federale, e coinvolge anche individui che nel 1991 erano poco più che neonati.
Quella dell’ex-Jugoslavia è una storia fatta di tragedie che stonano con la futilità di una partita di pallone; eppure, ironia della sorte, per molti la prima avvisaglia del conflitto ormai imminente si consumò in uno stadio. A meno di un mese dall’inaugurazione di Italia ’90, a Zagabria i padroni di casa della Dinamo ospitano la capolista Stella Rossa di Belgrado. La tensione è alle stelle e la partita non viene nemmeno giocata per via degli scontri sugli spalti. I tafferugli si spostano sul terreno di gioco e Boban, il croato che poi approderà al Milan, rifila un calcione a un agente di polizia serbo: quel calcio è rimasto nella memoria collettiva a sancire un distacco ormai fatalmente incolmabile. Il Mondiale seguente fu doppiamente amaro: all’eliminazione si aggiungeva il malinconico sapore dell’ultima volta.
Ora, a 24 anni di distanza, in Brasile sono approdate due squadre figlie di quello smembramento: la Bosnia, appunto, e la Croazia, che ha messo alle strette i padroni di casa nella partita d’esordio, salvo poi soccombere sotto i colpi di Neymar…e dell’arbitro. Chissà che in caso di buoni risultati di queste due nazionali qualcuno prenda seriamente in considerazione l’idea di un ritorno a una nazionale “federale”. Nel frattempo, il proiettore resta pronto per le grandi occasioni.
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